sabato 31 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 291° pagina.


«L’attacco al Santuario sarebbe stato il primo atto dimostrativo di una setta che vuole liberare il vostro regno dall’attuale classe sacerdotale. Le Tre Madri del Fato ti aspettavano solo per parlarti di questo».

«E perché non mi hanno chiamato prima?».

«Perché sapevano che saresti venuto di tua sponte, naturalmente! Ma dovevi venire quando tu fossi stato convinto che era il momento di farlo. Tu non sei una persona facile da convincere, ti fidi solo di ciò che qualcuno ti ha dimostrato come vero. Sapevano che stava per succedere qualcosa di grave nel tuo paese, ma non sapevano cosa. Sempre per quel discorso che noi non possiamo vedere le cose che vengono dall’Altrove. E quindi loro volevano sentire dalla tua bocca cosa fosse successo».

«Non riuscirò mai a capirvi veramente….».

«Non importa. Non è noi che devi capire, ma cosa sta succedendo. Noi non possiamo farlo, ricordatelo sempre».

«E come faccio a dimenticarlo? Mi sento maledettamente solo…..».

«Gli Uomini sono sempre soli, chiusi nelle stanze sbarrate delle loro menti…. è la vostra condizione naturale. Eppure non ne siete mai contenti».

Poco dopo giunsero Prukhu e Menkhu, che portavano in mano, avvolte nei loro mantelli, le sette spade prese agli aggressori. Ridevano di gusto.

Ma le loro risate morirono loro sulle labbra, prima quando videro il morto a terra trafitto dalla spada, e poi quando guardarono di fronte a sé, nel bosco, nella stessa direzione in cui aveva guardato l’aggressore di Velthur prima di suicidarsi.

Con quell’ultimo gesto, il riso che si era mutato in sconcerto, si mutò in terrore. Prukhu lasciò andare a terra le spade che teneva in mano, Menkhu fu come percorso da un brivido e si strinse tutto in se stesso, come a voler diventare più piccolo.

Velthur si voltò di scatto a guardare nella loro stessa direzione, ma non vide assolutamente niente, solo il bosco che si perdeva nel fondovalle, dove si sentiva il rumore lontano di un torrente.

«Figlio, vedi anche tu quello che vedo io?».

«Eccome, se lo vedo! Andiamocene via subito, padre!».

«Un momento, cos’è che vedete? Noi non vediamo nulla! Tu, Azyel, vedi qualcosa laggiù?».

«No, non vedo niente neanche io, ma non ho la vista di un Sileno, come non ce l’hai tu. Tu sai, vero, cosa possono vedere, no? L’hai scoperto quella mattina d’inverno di sette anni fa sulla barca lungo il fiume…. ricordi?».

Improvvisamente Velthur si ricordò di quell’episodio che aveva dimenticato in mezzo ai tanti ricordi dolorosi e tremendi di quel periodo. O meglio, aveva dimenticato cosa aveva significato per lui. La scoperta di una parte della vita dei Sileni che non aveva mai conosciuto prima.

La capacità di vedere l’Invisibile.

Si voltò di nuovo verso i due amici, che continuavano a fissare apparentemente il nulla, quasi ipnotizzati da una misteriosa visione.

«Cosa state vedendo, allora? Uno spirito? Un’altra delle misteriose figure luminose ed evanescenti che vedete fra le ombre?».

«No, Velthur, no…. » balbettò Prukhu «Magari vedessimo solo quelle. Vediamo ben altro…. Ma non te lo possiamo dire! Possiamo solo dirti che ce ne dobbiamo andare tutti quanti! Subito!».

«E lasciare quest’uomo qui? Non possiamo! O mi dite che cosa state vedendo, o io non mi muovo!».

Anche Azyel sembrava spaventarsi sempre più.

«Non possono dirtelo perché riguarda i misteri del belk, Velthur! Riguarda i segreti dell’Altrove, e loro sarebbero capaci di farsi uccidere, pur di non rivelarli! Fa come ti dicono, e lascia questo posto anche tu. Torniamo alla strada!».

Velthur emise un grugnito di rabbia, poi si chinò sul morto, lo voltò su di un fianco e gli estrasse la lama dal cuore.

«Anche se ha cercato di uccidermi, non è giusto lasciare il suo corpo ai lupi, ai corvi e agli avvoltoi. Sarà meglio che mi diate prima o poi delle buone ragioni per fare quello che stiamo facendo!

LOVECRAFT 321: LA BIBLIOTECA PREUMANA NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO"

venerdì 30 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 290° pagina.


fosse fermato all’improvviso a pochi metri da lui, congelato con un braccio in alto, con gli occhi sbarrati come di fronte a un’apparizione improvvisa.

L’uomo calò lentamente la spada, come a voler cessare le ostilità. Sembrava non vedere più Velthur, ma guardare qualcosa che era oltre di lui.

Poi all’improvviso, continuando a fissare un punto del bosco oltre il fondovalle, si piantò la spada dritto nel cuore e crollò in avanti senza un gemito. Il suo corpo rimase riverso con le braccia aperte, con la lama scintillante e lorda di sangue che torreggiava dritta fuori dalla sua schiena.

Nel bosco calò di nuovo un silenzio assoluto, nemmeno rotto dai versi degli uccelli.

Velthur aveva corso ancora per alcuni metri, prima di accorgersi di non essere inseguito. Quando si voltò, aveva visto giusto in tempo il pellegrino folle togliersi la vita.

Avvicinandosi per guardare il corpo, vide la corteccia di un ippocastano là accanto trasformarsi in una figura simile a quella umana, o meglio fatata.

Azyel era rimasto nascosto là accanto, travestito da albero. L’espressione dello Gnomo non era meno sconcertata di quella del medico.

«È opera tua? L’hai spinto tu a uccidersi?».

«Noi queste cose non le facciamo! Per noi la vita è sacra, e avrei potuto benissimo proteggerti senza ammazzare nessuno. Io gli ho fatto apparire di fronte l’immagine di sua madre che gli diceva di non uccidere, non gli ho detto che doveva ammazzarsi con la sua spada! Non capisco perché l’ha fatto….».

«Tu sapevi che sarebbe successo questo, naturalmente! Avresti potuto dircelo prima, e li avremmo evitati!».

«Sì, e questi otto pazzi, o meglio ormai sette, sarebbero andati in giro con le loro pericolosissime spade per ammazzare qualcun altro! Non li avreste affrontati di vostra volontà, se io vi avessi avvertiti. Otto spade di acciaio adamantino, come quella del fabbro Hermen Vanth! Una cosa che a malapena hanno i gendarmi di Arethyan, e nessun altro dei tuoi compaesani. Sai cosa volevano fare, questi pazzi? Sono seguaci di una setta di fanatici, che ricorrono al furto e all’omicidio pur di ottenere i loro scopi. Queste spade le hanno rubate. Ora invece sono in mano dei nostri amici Sileni, i quali, ti assicuro, si sono divertiti molto ad abbattere e disarmare questa banda di assassini scalmanati. Se voi non li aveste fermati, avrebbero causato molti morti. Grazie a voi, molte persone ora sono salve, almeno per il momento».

«Ma perché questo qui si è ammazzato?».

«Non lo so. Nei suoi ultimi istanti di vita, quando gli ho fatto comparire l’immagine di sua madre, ha visto qualcos’altro, qualcosa che non sono riuscito a leggergli nel pensiero. Ho visto un’ombra scura, che lui fissava nel profondo del bosco, e deve essere stata quell’ultima visione a dirgli di uccidersi».

«Allora adesso il bilancio è di tre morti e un ferito».

«Cosa intendi dire?».

«Il primo morto è stato Aralar Alpan, sette anni fa. Il secondo è il giovane che si è sgozzato di fronte all’immagine di Sethlan ad Arethyan, qualche giorno fa. Il terzo è questo qui. Il ferito è la matriarca patrizia Irauni Vipinas, che si è beccata un vaso di metallo in testa da una misteriosa donna dalla pelle verde…. insomma, sta diventando un’epidemia di follia! Siamo nei guai seri…».

«Lo saremmo ancora di più se non avessimo fermato questa banda di fanatici. Le Tre Madri del Fato hanno visto cosa volevano fare. Volevano entrare nel Santuario d’Ambra e uccidere tutti i sacerdoti che vi avrebbero trovato, per “purificarlo”. Poi sarebbero andati in tutti i templi della zona e avrebbero fatto lo stesso con tutti i kametheina, uno per uno. Non gli importava niente di morire. Credono di doversi sacrificare in nome della volontà degli Dei, sono convinti che il Santuario di Silen è guidato da sacerdoti corrotti, come tutto il Veltyan... ».

«Beh, lo è anche per noi Avennarna, anche se non siamo ancora arrivati ad ammazzare la gente, per combattere la corruzione».

LOVECRAFT 320: PEASLEE SI CALA NELL'ABISSO NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO".

giovedì 29 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 289° pagina.


Quel giorno, non si era portato dietro il suo inseparabile ciondolo a tetraedro, perché aveva pensato che fosse offensivo portarlo al collo in presenza della Triplice Regina delle Fate.

Ma siccome senza di esso ormai si sentiva nudo, per l’esigenza di sentire qualcosa al collo si era messo invece una sua catenina con un ciondolo d’oro rosso di significato religioso: la triplice svastica a spirale, simbolo dell’Aventry.

Appena il pellegrino l’ebbe notata, lanciò un urlo rauco e isterico, puntando il dito accusatore contro il medico.

«Abominio! Un malvagio Avennar miscredente e nemico degli Dei si trova sulla nostra strada di pellegrini! Purifichiamo il male, o sorelle e fratelli!».

A quel punto successe qualcosa di veramente sorprendente. Tutti gli otto pellegrini, uomini e donne, estrassero delle corte spade di acciaio adamantino dalle loro bisacce, e si avventarono verso Velthur.

Menkhu e Prukhu furono lesti nel reagire menando grandi bastonate con tutte le loro forze, fino a quando le potenti lame di metallo alchemico tagliarono a fette  i loro stessi bastoni.

Velthur disse loro di scappare. Le sottili lame di trasparente acciaio adamantino potevano tagliare in due anche una roccia. Era il loro straordinario potere che difendeva il regno del Veltyan da ogni invasione ormai da diversi secoli.

Ma cosa ci facessero in mano a un gruppo di apparentemente pacifici pellegrini, non si sapeva.

Certo, qualche arma se la portavano sempre dietro, ma vederli armati quasi come soldati sul piede di guerra non era previsto.

Così  i tre amici si trovarono inseguiti da una banda di furie fanatiche invasate dall’odio religioso.

Scapparono prima lungo la strada lastricata verso Tulvanth, poi Prukhu urlò: «Disperdiamoci nel bosco! Tu Velthur, corri giù nel bosco verso il fondo valle! Ci pensiamo noi due a questi qui!».

Cosa volessero fare esattamente Prukhu e suo figlio, Velthur non lo sapeva, ma poteva immaginarlo.

Se ci fosse stato solo Menkhu assieme a lui, questi avrebbe potuto caricarsi il medico sulle spalle e correre come il vento, seminando quegli scalmanati, ma evidentemente i due Sileni non volevano semplicemente seminarli, ma combatterli e vincerli.

Nel bosco, gli Uomini non potevano battersi facilmente con i Sileni, nemmeno se armati fino ai denti. Il bosco era il loro elemento naturale, e là la loro potenza e astuzia era al massimo. Non per niente l’altro nome dei Sileni era Silvani, la Gente del Bosco.

Prukhu non era per niente rallentato dall’età, perché la vecchiaia pesa sui Sileni molto meno che sugli Uomini, e assieme a suo figlio avrebbe potuto confondere e disorientare gli aggressori, cogliendoli alle spalle uno ad uno, per disarmarli e, se necessario, ucciderli spezzando loro il collo con la sola stretta delle fortissime mani.

Ma se nei primi istanti Velthur era convinto che i due Sileni sapessero il fatto suo, poco dopo cominciò a dubitarne.

Perché gli otto pellegrini fanatici si erano messi ad inseguire soprattutto lui nel bosco, e non i Sileni, dato che era lui l’Avennar, il malvagio miscredente da eliminare a tutti i costi. E tra l’altro, anche il più debole ed indifeso.

Tra l’altro, i boschi di quella valle erano aperti e luminosi, dagli alberi grandi e distanziati, che lasciavano passare la luce del sole; boschi di querce, betulle e ippocastani che permettevano senz’altro a Velthur di correre a perdifiato verso il fondovalle, ma anche ai suoi inseguitori di vederlo da lontano. Non vedeva un posto dove nascondersi.

Solo dopo si accorse di aver sottovalutato i suoi amici, perché sentì le urla degli inseguitori trasformarsi in breve tempo da urla di rabbia e folle odio in grida di dolore e paura. Uno per uno, venivano raggiunti dagli invisibili Sileni e abbattuti a suon di pugni in testa o sonore bastonate con rami raccolti dal terreno, uomini e donne.
L’ultimo inseguitore, un uomo alto e magro, con una faccia patibolare segnata da una cicatrice, stava per raggiungere Velthur, alzando la sua spada cristallina e lanciando un urlo di battaglia come un guerriero che sta per affrontare il nemico. E avrebbe potuto raggiungere il medico, se non si

LOVECRAFT 319: PEASLEE CAMBIA ATTEGGIAMENTO NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO".

mercoledì 28 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 288° pagina.


capiva anche troppo. Alla lista di persone sconvolte da spaventose visioni, si era aggiunta una che era stata anche ferita, e alla fine anche un morto suicida.

Non aveva dubbi che il giovane pellegrino misterioso si fosse tolto la vita spinto anche lui da qualche orrenda visione che gli aveva fatto perdere il senno, o magari per qualcosa di ancora più diabolico, che non poteva comprendere.

Se tutto stava ricominciando sette anni dopo la morte di Aralar Alpan, l’eremita pazzo, allora lo stava facendo in modo molto peggiore di prima. E questa volta bisognava cercare subito l’origine di quella follia, ed estirparla prima possibile.

Dopo il misterioso suicidio del giovane sconosciuto, si decise ad andare di nuovo alle Colline di Leukun per parlare di nuovo con la Triplice Regina delle Fate.

Vi si recò in compagnia di Menkhu e Prukhu, sperando che Azyel se ne stesse fuori dai piedi.

Speranza vana, perché mentre i tre salivano per la strada che andava per le vallette tra le colline fra Aminthaisan e Tulvanth, Azyel si presentò con il suo solito fare vagamente canzonatorio.

«Oh, finalmente, vi siete decisi a venire! Ero sul punto di venire a darvi un esplicito ordine delle Tre Madri, se non vi avessimo visto ancora! Voi due Sileni, siete stati troppo in compagnia degli Uomini, non siete più capaci di sentire quando è il momento di riunirsi al vostro regno natìo».

Prukhu lo apostrofò malamente.

«I rimproveri noi Sileni li accettiamo solo dalle Tre Madri! Se hai qualcosa da dirci diccelo subito, o sparisci altrettanto rapidamente, altrimenti i tuoi trucchi non ti salveranno dalla forza delle mie braccia e di quelle di mio figlio!».

Velthur rise di soddisfazione.

«Ah, dunque non dà fastidio solo a me, questo Gnomo malefico! Sentiamo dunque se ha qualcosa da dire. Forse un messaggio da parte della tua Triplice Regina?».

«Macché! Io seguo solo i loro ordini. Mi hanno detto di accompagnarvi sani e salvi fino alla Reggia di Pietra».

«Sani  e salvi? Perché? C’è qualche pericolo in vista?».

«Su queste strade non si sa mai cosa possa capitare….  si possono fare brutti incontri».

«Menzogne!» sbottò Menkhu «Se saltasse fuori un orso, lo abbatterei con un cazzotto o due. Se saltassero fuori dei lupi, scaglierei il capobranco contro un albero spezzandogli la schiena, e se saltassero fuori dei briganti, non credo che potrebbero fare di più. Non ci sono grosse bande di briganti da queste parti. Le abbiamo eliminate proprio noi Sileni molto tempo fa! Questa zona è sicura per noi e per tutti quelli che ci accompagnano. Demoni dell’Orkhun! Io e mio padre siamo nati e cresciuti in questi paraggi! Che idiozie dici, Azyel? Hai bevuto troppo sidro di frutti di bosco?».

«Staremo a vedere, amici miei….».

Azyel incrociò le mani sul petto, nel gesto tipico del popolo fatato quando compiva la levitazione, e si sollevò lentamente dal suolo, verso gli alberi digradanti nella valletta a destra della strada. La sua sagoma si confuse e mimetizzò rapidamente con la vegetazione, ma ogni tanto si vedeva il suo volto che pareva una maschera fatta di corteccia e foglie, occhieggiare sorridendo sardonicamente fra i rami, per poi riscomparire nel verde.

Non passò molto, che si trovarono di fronte a quello che era evidentemente un gruppo di pellegrini. Cinque uomini e tre donne, con le tuniche giallo-arancio, colore simbolo del sole e del giorno, e le croci ansate di rame al collo, camminavano e cantavano le lodi di Sil, invocando la Sua illuminazione. Se venivano giù da quella strada, significava che provenivano dalle Montagne della Luna, da qualche valle isolata presso la Valle dell’Eydin.

Alcuni avevano l’aspetto di contadini o comunque di plebei, ma altri, dall’aspetto troppo curato, parevano patrizi o comunque benestanti.

Non rimasero sorpresi di vedere due Sileni vestiti da pastori, perché se venivano dalle montagne, dovevano essere abituati a vederli spesso, i Sileni.

Fu quando Velthur si trovò a passargli accanto, che uno di loro rimase colpito da quello che il medico portava al collo.

LOVECRAFT 318: L'ENTRATA AL REGNO SOTTERRANEO NE "L'OMBRA CALATA DAL TEM...

martedì 27 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 287° pagina.


Per fargli capire meglio la volontà popolare, gli imbrattarono la porta di casa con sangue di bue, e con quello stesso sangue scrissero frasi ingiuriose sulla sua facciata.

Pochi giorni dopo il sacerdote ricevette la lettera di destituzione e l’ordine di trasferirsi nell’Ibor Eydinal, la Valle dell’Eydin, in uno sperduto villaggio di montagna. Si faceva sempre così, con i sacerdoti scomodi, quando non si voleva arrivare all’estremo di sconsacrarli, un’infamia che nel Veltyan significava la rovina totale per un kamethei, a qualunque grado della gerarchia appartenesse.

Fu sostituito dal nipote, che a dire il vero non era granché meglio dello zio in quanto ad avidità e corruzione. Ma non successero altri fatti gravi o strani legati all’edicola di Sethlan per molto tempo, e quindi il nuovo sacerdote non fece la stessa fine dello zio.

Loraisan, dal canto suo, rimase sconvolto da quello che era successo. Ma non rivelò a nessuno la fonte dei suoi terrori.

Quando si fu sparsa la voce in paese del misterioso mostro dal braccio nero con l’occhio nel palmo, e vide lui stesso la distruzione dell’edicola di Sethlan, si convinse che fosse stato lui a evocare quell’essere.

Giurò a se stesso che non avrebbe più cercato di usare il farthankar, in alcun modo. Si convinse definitivamente che lui era diverso dagli altri, che qualcosa in lui funzionava in modo diverso dagli altri Uomini, e che ci fosse un lato mostruoso nel suo essere.

Cominciò ad instillarsi in lui la convinzione che fosse un portatore di sventura.

Il suo carattere peggiorò. Le sue fobie divennero ancora più ossessive, e cominciarono a diventare un grosso problema anche per la sua famiglia. Certe volte, la sera, si ritirava in un angolo della cucina, e rimaneva immobile per ore intere, in preda al terrore. Nemmeno la presenza dei familiari lo confortava. Era convinto che niente e nessuno potesse difenderlo dall’involontaria evocazione di misteriose forze oscure.

Ma ogni volta che gli si chiedeva di cosa avesse così paura e perché, non rispondeva mai.

Quando sua madre lo portava al Santuario d’Ambra, il momento più difficile era quando dovevano passare di fronte alla nicchia laterale in cui si trovava l’immagine di Bekigor. Loraisan faceva una corsa tenendosi le mani sugli occhi per non vedere in alcun modo, neanche con la coda dell’occhio, l’immagine del mostro che, lui ne era convinto, aveva evocato dalle profondità dell’Orkhun, dai piedi stessi del trono di Surmanth, Signore degli Spiriti Defunti.

E quando doveva passare per la strada lastricata per andare al paese, pur di non passare di fronte all’edicola di Sethlan, faceva un giro largo nel bosco retrostante.

Si era convinto di essere una specie di stregone, e che questo fatto l’avrebbe inseguito per tutta la vita, portando sventura attorno a sé. Per un lungo periodo soffrì di insonnia, passando ore intere a fissare il vuoto in attesa della spaventosa apparizione dell’occhio rosso. Ma non vide mai niente, nessuna apparizione sorse dal buio della notte, né oltre il buio della finestra, né in alcun altro luogo, né di giorno né di notte.

Non vide mai niente, né udì alcun suono terrificante, né voci proveniente dall’oltretomba, né alcun urlo di morte o di terrore.

Mentre tante persone nel paese e nelle campagne attorno, nel corso di molti anni videro e sentirono cose spaventose sia di giorno che di notte, e tutte le persone che conosceva, prima o poi, dichiararono di essere state testimoni di qualcosa di  strano e misterioso. Lui, che viveva nel terrore di avere le loro stesse esperienze, non vide e non udì mai niente. Mai.







CAP. XXIV: GLI OTTO PELLEGRINI


 Velthur, come Loraisan, viveva di paura anche lui, ma in modo del tutto diverso, ovviamente. Il bambino non poteva rendersi pienamente conto di ciò di cui aveva paura, il medico invece ne

LOVECRAFT 316: RAFFRONTO FRA "I TOPI NEL MURO" E "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO"

lunedì 26 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 286° pagina.


rinfocolarsi da qualche tempo nella zona del Santuario d’Ambra teneva molto in sospeso le autorità teocratiche della regione. Nessuno in alto voleva certo sommosse popolari attorno a quello che era divenuto uno dei massimi centri di pellegrinaggio dell’intero Veltyan.

Erano passati solo tre mesi da quando l’edicola di Sethlan era stata trovata infranta e poco più di un mese che le dicerie della gente avevano ispirato lo scultore e creato Bekigor, e già l’immaginario demone, creato dalla fusione di diverse visioni, stava decidendo del destino di un uomo.

Il suo occhio rosso era diventato il simbolo dell’occhio della coscienza che tormentava i traditori di Sil, le braccia nere con gli occhi bianchi sui palmi delle mani erano invece il simbolo della vendetta divina che colpiva infallibilmente le anime corrotte.

Alla fine i due Shepenna di Enkar si decisero per la rimozione del corrotto Aklein, dopo un altro strano fatto che avvenne alla sacra edicola di Sethlan.

Lo stesso scultore che aveva inventato l’immagine di Bekigor, aveva scolpito anche una nuova statua del rosso e dorato Dio del Fuoco. La nuova immagine sacra era molto più bella della vecchia, che era stata frutto di un’arte popolare di scarsa raffinatezza, risalente a qualche secolo prima, e tra l’altro in cattivo stato, con la vernice smaltata incrinata e scrostata in più punti. Il nuovo Sethlan invece era scolpito in pregevole diaspro rosso, mentre la capigliatura e la barba fiammeggianti erano placcate d’oro. Un’opera costosa e pregevole, fatta con materiali pregiati.

Infatti,  il sacerdote di Sethlan aveva contribuito di tasca sua anziché limitarsi a far pagare lo scultore con le casse dello stato, e non aveva badato a spese. Sperava così di allontanare il rischio di venire destituito, se avesse fatto in modo che la nuova immagine fosse così ben fatta da far dimenticare cosa era successo alla vecchia.

E difatti tutti rimasero ammirati anche di fronte a quest’altra opera dello scultore, che se prima veniva considerato abile ed esperto, ora veniva definito un geniale maestro, un grande artista.

Eppure prima, anche se non mediocre, non lo si poteva definire neanche eccezionale. Sembrava che improvvisamente avesse scoperto in sé un maggiore talento, frutto di una magica ispirazione.

Molti pellegrini si fermavano di fronte all’edicola per fare offerte, e i pentacoli di rame fioccarono molto di più che con la vecchia immagine.

Ma erano passate solo un paio di settimane, che avvenne il nuovo incidente, o meglio la tragedia.

Un mattino di fine primavera, alcuni contadini che stavano andando al lavoro trovarono un giovane pellegrino morto proprio di fronte all’edicola di Sethlan, in un lago di sangue.

Da quel che si riusciva a capire, si era ucciso da solo, piantandosi un coltello nel collo, dritto nella giugulare, dissanguandosi, ed era caduto di fronte all’immagine sacra, imbrattandola con il proprio sangue, come in offerta al Dio del Fuoco.

La cosa doveva essere successa in piena notte. Il giovane doveva essersi recato là quando non c’era nessuno, con il preciso scopo di suicidarsi, come una sorta di assurda autoimmolazione alla divinità.

I gendarmi fecero delle indagini, per cercare di sapere chi fosse. Di lui però non si venne a sapere quasi niente.

Il suo corpo, immerso in una vasca di liquido alchemico conservante, fu esposto al pubblico nel tempio di Surmanth, il Dio dei Morti, come era tradizione fare nei paesi quando si trovava un cadavere senza nome.

Di fronte al sarcofago trasparente passarono tutti i fattori,  i locandieri e i sacerdoti dei santuari che accoglievano i pellegrini, ma nessuno confermò di conoscerlo né tantomeno di averlo ospitato . Qualcuno disse di averlo visto nel Santuario d’Ambra, ma nessuno seppe dire quale fosse il suo nome.

Sembrava quasi che fosse venuto là solo per visitare il Santuario e per togliersi la vita poco dopo.

Alla fine fu sepolto nel cimitero dei senza nome, in un loculo altrettanto anonimo. Il suo corpo si sarebbe conservato un po’ di più degli altri poveretti che non potevano permettersi una sepoltura nel liquido imbalsamante, ma alla fine, finito l’effetto della pozione alchemica, si sarebbe dissolto anche il suo corpo, e di lui sarebbe rimasto solo il ricordo della sua strana, inspiegabile morte.

Per il sacerdote di Sethlan, quello fu il colpo di grazia. Per la gente di Arethyan, quella era la prova inconfutabile che era un sacerdote indegno, e che doveva essere rimosso.

LOVECRAFT 316: SUGGESTIONI NEL DESERTO NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO"

domenica 25 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 285° pagina.


I fini scalpelli e ceselli alchemici, fatti come sottili punteruoli di una lega di rame, mercurio e argento, sbriciolavano in polvere finissima la pietra incisa dalle loro punte, o anche blocchi di vetro, che potevano essere scolpiti in breve tempo senza venire infranti o incrinati.

Lo scultore aveva modo così di foggiare a proprio piacimento e in breve tempo materiali che un tempo erano stati difficilmente utilizzabili. La statua era fatta di tasselli di ossidiana, marmo e vetro rosso, e tutti ne rimasero affascinati e impressionati, considerandola frutto di ispirazione divina.

A furor di popolo, si volle che gli Akapri, i sacerdoti del Santuario d’Ambra, accogliessero la statua demoniaca nel luogo sacro, e dato che ormai la statua veniva venerata da parecchi compaesani impauriti, la posero in una nicchia lungo la galleria sotterranea come voleva lo scultore, illuminata da una potente lampada perenne.

Ai pellegrini faceva abbastanza impressione transitare nella galleria e vedere sbucare all’improvviso alla propria destra questa immagine inquietante con l’enorme occhio rosso al posto della testa, che li osservava passare nella galleria buia.

Più di uno disse che gli pareva che l’enorme occhio-testa li seguisse con lo sguardo.  Ma naturalmente era solo la suggestione dovuta al fatto che, entrando in un luogo così antico e così sacro, ci si sentisse sorvegliati da una presenza ultraterrena e minacciosa, posta a guardia dell’ipogeo.

In qualche modo, le autorità religiose approvavano quella nuova immagine demoniaca perché pensavano che fosse un ottimo deterrernte per i malintenzionati.

Le immagini dei Demoni Oscuri non mancavano mai nei templi dei Thyrsenna, perché erano una parte fondamentale della religione tradizionale.

Nella teologia del culto di Sil e degli altri Dei del Regno Aureo, i Demoni Oscuri degli Inferi non erano nemici degli Dei, ma semplicemente il loro loro lato oscuro, coloro che erano stati incaricati dalla divina volontà di Sil di punire e perseguire i trasgressori della Sua legge.

Essi ubbidivano a Sil, Signora e Anima dell’Universo, esattamente come tutti gli Dei e i Demoni Celesti, e infatti venivano spesso chiamati “la Mano Destra di Sil”, cioè gli strumenti oscuri della Sua terribile giustizia.

Perciò i Demoni Oscuri venivano venerati, pregati e onorati esattamente come tutti gli altri Demoni, per non attirare la loro vendetta, che era sempre in agguato per tutti coloro che avevano mancato alla legge di Sil.

Al Demone Oscuro inventato dallo scultore fu anche dato un nome, naturalmente. La gente lo chiamò Bekigor, cioè semplicemente “occhio rosso”.

Non ci volle molto che Bekigor funestasse ricorrentemente le notti di Arethyan e dintorni. Alcuni dicevano di sognarlo di notte, altri dicevano di aver visto il suo grande occhio rosso brillare nell’oscurità, o di aver visto le impronte dei suoi sei zoccoli nel fango dei sentieri nel bosco.

Finché alla fine qualcuno disse di aver visto il suo grande occhio rosso brillare in un angolo immerso nelle ombre della notte presso la casa del sacerdote di Sethlan, il disprezzato Aklein Laskanua, noto per essere dedito al vizio del bere, a tal punto da presentarsi spesso ubriaco ai sacri riti e per aver fatto cose decisamente poco oneste, come circuire le matriarche più vecchie e rincoglionite per estorcere loro denaro e proprietà, o essere amico e confidente di un noto strozzino di Aminthaisan, oltre che del suo altrettanto corrotto medico, del pari circuitore di anziane proprietarie di fattorie.

Se davvero fu avvistato il terrificante occhio di Bekigor vicino alla casa di Aklein, non lo si seppe mai, ma era giusto quello che la gente di Arethyan aspettava da tempo per metterlo in difficoltà.

Aklein Laskanua era un kamethei etariakh, un sacerdote della plebe, e perciò doveva vedersela soprattutto con il popolo e non con i patrizi del regno, quando non adempiva ai suoi doveri.

Certo, solo gli Shepenna di Enkar potevano destituirlo dal suo incarico nel tempio di Sethlan, o sconsacrarlo per indegnità, ma se il popolo era unanime nel dire che era indegno della carica, la cosa non poteva essere ignorata.
Se poi c’era stato più di un segno divino a confermare tale indegnità, nessuna autorità si sarebbe azzardata a contraddire la convinzione popolare. Tra l’altro, l’isteria religiosa che sembrava

LOVECRAFT 315: IPOTESI DI UN RACCONTO "MARZIANO" SIMILE A "L'OMBRA CALAT...

sabato 24 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 284° pagina.


E poi vide il braccio, enorme e nero, emergere da dietro l’immagine di Sethlan. Un braccio mostruosamente enorme, grande come la gamba di un uomo di media statura, e che tra l’altro aveva solo quattro enormi tozze dita dotate di artigli altrettanto neri. Un braccio che sembrava fatto di fumo solido.

Il braccio si levò quasi come a fare un saluto, con il palmo spalancato, ma sicuramente non era tale, perché in mezzo al palmo si apriva un occhio altrettanto mostruoso, di un biancore spettrale, quasi luminoso, con una piccola pupilla puntiforme.

E il particolare più mostruoso era che quell’occhio si muoveva nel palmo, come se cercasse con lo sguardo attorno a sé.

Naturalmente Vel reagì limitandosi a lanciare un urlo di terrore e a fuggire verso il paese, verso casa sua. Per quella sera, la sua compagna sarebbe rimasta sola.

La mattina dopo, l’edicola di Sethlan fu trovata divelta dal terreno e spezzata in parecchi frammenti.

Le monetine delle offerte erano sparse sull’erba accanto alla strada lastricata, mescolate ai pezzi di marmo, che sembravano essere stati frantumati da un gigantesco maglio. Fin da subito, ben pochi credettero a un puro e semplice atto di vandalismo.

Anche perché le monetine di rame alchemico inossidabile avevano assunto uno strano colore scarlatto. Nessuno aveva mai visto il rame diventare di quell’incredibile colore, almeno non da quelle parti.

Il giovane Vel non poté fare a meno di riferire cosa aveva visto, anche perché era ritornato a casa dai suoi che era letteralmente fuori di sé.

Quando si sparse la voce in paese di quello che era successo, prevalsero due diverse interpretazioni, ugualmente diffuse fra il popolo e i sacerdoti.

La prima diceva che quello che era successo era un segno divino mandato da Sethlan, il quale forse aveva voluto manifestare la sua ira, forse contro i suoi stessi sacerdoti. Infatti il locale sacerdote di Sethlan non godeva di particolare simpatia da parte dei compaesani.

L’altra invece diceva che un Demone Oscuro era stato inviato dagli Inferi per ammonire gli abitanti di Arethyan, che dovevano avere delle colpe particolarmente gravi, per essere redarguiti in questo modo terrificante. Quindi, probabilmente il demone dal braccio nero e occhiuto doveva essere il presagio di una grande sciagura.

Inoltre, le dicerie sul caso dell’edicola di Sethlan finirono con il fondersi con le dicerie che riguardavano quello che aveva visto Arnith Gamarran. Si fece un’associazione fra il mostro con la testa a forma di occhio rosso con il mostro con l’occhio nella mano.

L’isteria religiosa collettiva si nutrì di nuovo del terrore per visioni demoniache, come era successo sette anni prima.

Il locale scultore di immagini sacre, sull’onda di questa isteria, fu colto dall’ispirazione di fare un’immagine di quelle apparizioni demoniache che fosse in qualche modo scaramantica: fece l’idolo di un demone con la testa a forma di occhio rosso, e con due occhi nei palmi delle mani. Aveva inoltre sei gambe, dotate di strani zoccoli rossi. La metà superiore del corpo era umana e coperta di pelo nero, quella inferiore invece pareva quella di un drago squamoso. Il corpo di drago era biancastro, gli otto arti invece erano neri, così come la coda di serpente attorcigliata a spirale. Gli aveva anche dato due grandi ali membranose e del pari nere.

Poi la donò al Santuario di Silen, chiedendo che venisse messa all’entrata dell’ipogeo, nella galleria che collegava la sala sotterranea all’esterno.

In questo modo, pensava di rabbonire i Demoni Oscuri che sicuramente stavano tormentando Arethyan e i suoi abitanti.

La statua era veramente pregevole e impressionante nella sua mostruosità così fantasiosa ed insieme realistica. Le arti alchemiche avevano da lungo permesso ad artigiani ed artisti di raggiungere livelli di raffinatezza e di eccezionalità degli effetti estetici nelle opere prima irraggiungibili.

Dai tempi in cui Larth Turan aveva fabbricato le prime seghe tagliapietre del Veltyan, le arti alchemiche si erano affinate, fino a produrre strumenti molto più raffinati in grado di modellare la pietra a proprio piacimento.

LOVECRAFT 314: RAFFRONTO FRA "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO" E ALTRI RACCONTI.

venerdì 23 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 283° pagina.


Questa volta sentì di nuovo il farthankar, o quello che lui credeva fosse tale, sprigionarsi di nuovo dalla sommità della sua colonna vertebrale verso la spalla fragile, lungo il braccio sottile verso le dita che sembravano sempre più calde, un calore a dir poco fastidioso. Avrebbe voluto immergerle nell’acqua fredda.

Proprio in quel momento, però, si chiese se quella forza che lui aveva suscitato in sé potesse avere anche un effetto negativo. La paura della Presenza Invisibile lo prese anche lì, nella luce del mattino di primavera. Certo, normalmente non temeva che là, sulla strada, potesse comparire uno degli spiriti o dei demoni senza nome che tanto lo ossessionavano, ma aveva paura che quella sera, al calare del buio, essi potessero venire richiamati dalla forza alchemica che aveva cercato di risvegliare in sé.

Poi, gli tornò in mente quello che una volta gli aveva raccontato suo fratello Erkan, di quell’essere misterioso che aveva lasciato l’impronta di sei grandi zampe con quelli che sembravano strani zoccoli, durante la festa del Tinsi Garpen Silal, proprio là, sulla strada che andava da Arethyan ad Aminthaisan, quando Loraisan era ancora in fasce.

Il terrore irrazionale lo colse di nuovo. Era il terror panico di avere invocato quell’essere che nessuno aveva visto, che forse era invisibile, ma che comunque era solido e reale, altrimenti non avrebbe lasciato quelle impronte.

Fuggì, con la sensazione di venire inseguito da un demone che avrebbe potuto uscire improvvisamente dal fiume o dai boschetti di pioppi, querce e betulle.

Quella notte però dormì tranquillamente, non gli capitò mai di svegliarsi fissando il buio, con la tentazione di andare a scoperchiare la lampada perenne della camera sua e dei suoi fratelli maggiori. Non fece neanche sogni che potesse poi ricordarsi.

Ma quella stessa sera, al calare delle ombre, sulla strada lastricata avvenne qualcosa.

Di là passò un giovane di nome Vel, che aveva cominciato a praticare il matrimonio notturno con una ragazza di una fattoria vicina a quella dei Ferstran, sulla stessa collina ai cui piedi vivevano. Quella sera andava a trovare la sua nuova compagna, e mentre passava proprio di fronte all’immagine di Sethlan, si accorse di qualcosa di strano. Ogni edicola sacra, ogni tempietto, ogni immagine pubblica di una divinità del Veltyan veniva illuminata notte e giorno da una lampada perenne, che permetteva a chiunque passasse di là di pregare l’immagine sacra anche col buio, se lo voleva.

Ma quella sera la lampada perenne sembrava non funzionare bene. La sua luce era tremolante, e a tratti si oscurava. Ma non perché avesse l’aria di volersi spegnere, quanto piuttosto perché sembrava che qualcosa come un’ombra nera vi passasse davanti e ne interrompesse la luce.

Incuriosito, si avvicinò per vedere, e rimase sorpreso nel vedere delle volute di fumo nero e compatto che salivano dalla base di pietra bianca dell’edicola verso la sua sommità.

All’inizio, credette che qualcuno avesse appiccato un fuoco, ma poi si accorse che il fumo sembrava esalare direttamente dal terreno, e che non mandava alcun odore di bruciato.

Invece, mandava un fetore sconosciuto, intenso e insopportabile, che non avrebbe saputo a cosa paragonare. Sembrava un nauseabondo miscuglio di incenso, puzza di cimici e puzza di pesce. Un qualcosa che faceva rivoltare lo stomaco, comunque.

A quel punto Vel pensò che qualcuno avesse voluto profanare l’immagine sacra gettandovi sopra qualche sostanza puzzolente, e si avvicinò ulteriormente, coprendosi il naso con la mano.

Poi si accorse che c’era qualcosa che non andava in quel che vedeva.

Il fumo, anziché disperdersi, sembrava rimanere compatto, e anzi diventare sempre più denso e solido, mentre serpeggiava verso l’alto. Assomigliava quasi a quelle masse piumose di polvere e pollini che si tirano fuori con le scope da sotto i mobili, ma molto più grande, e in continuo movimento.

Semplicemente, non capiva cosa stava vedendo.

Poi, da dietro l’edicola, a ridosso degli alberi retrostanti, si formò una enorme figura anch’essa di quello strano fumo solido e puzzolente.

LOVECRAFT 313: L'ARRIVO DI PEASLEE IN AUSTRALIA NE "L'OMBRA CALATA DAL T...

giovedì 22 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 282° pagina.


trasformare la sega di rame rendendola più potente, assieme ai raggi di luna e al farthankar dei Nani?

Troppe le cose che avrebbe voluto capire, e troppo faticoso leggere, troppo faticoso ascoltare il dottore con attenzione mentre parlava.

Capiva perché ci volessero anni per imparare qualcosa a scuola.

Si consolò guardando l’illustrazione di quel capitolo del libro di storia, che rappresentava Larth Turan e i tre Nani attorno alla pietra alchemica. Era la prima raffigurazione dei Nani che vedeva in vita sua. Tre piccoli ometti tozzi e barbuti, seminudi, con berretti non molto diversi da quelli dei Thyrsenna, che tendevano le loro mani sul pentacolo inciso sulla pietra, mentre uno di loro proiettava un raggio di luna con la sua sfera di cristallo.

Ne rimase affascinato, e quella immagine rimase profondamente scolpita nella sua mente per molto tempo.

Quasi come l’aveva sempre affascinato il ciondolo al collo del dottore, che lui diceva essere anch’esso opera dei Nani.

Avrebbe desiderato averne uno uguale, ma il dottore gli aveva detto che probabilmente nessun alchimista umano sarebbe stato capace di creare un oggetto simile. Non si riusciva neanche a capire cosa fosse esattamente. Le linee di luce all’interno del tetraedro trasparente sembravano seguire una geometria del tutto sbagliata, che creavano lati di figure geometriche incomprensibili.

Tornando a casa dalla lezione, Loraisan continuava a guardarsi le mani, a provare ad immaginare cosa significasse usare la forza del farthankar facendola scaturire dai palmi delle mani.

Dunque, anche lui sicuramente aveva il farthankar, in qualche misura. Ma non poteva sapere se era sufficiente per diventare un alchimista.

Come avrebbe desiderato poter fabbricare cose meravigliose e potenti con le sue mani, ma per riuscire a fare questo di fronte a lui si stendeva una lunga strada da percorrere. E per i bambini, anche pochi anni possono sembrare un tempo lunghissimo.

Mentre camminava, si fermò di fronte a una piccola edicola dedicata a Sethlan, il Dio del Fuoco e dell’arte dei fabbri, una delle divinità più venerate dagli alchimisti.

Naturalmente, gli venne in mente di pregare Sethlan di concedergli il potere del farthankar, qualunque cosa fosse, per diventare un buon alchimista.

Avvicinò la mano sinistra ai piedi della statua che rappresentava un uomo massiccio, nudo, con una barba e una chioma di fiamme e un grosso martello che teneva rovesciato verso terra, con i palmi sulla punta del manico, appoggiandosi su di esso. La sua pelle era dipinta di un brillante color ambra, e la barba e le chioma fiammeggianti erano di un colore rosso-arancio. Tutta la sua figura sembrava emanare calore ed energia. Un’aureola di raggi dorati circondava il suo volto ridente e bonario.

Pregò il Dio del Fuoco di fargli capire cosa era il farthankar, di farglielo sentire dentro di sé.

Fosse stata solo suggestione, o fosse davvero lo smuoversi di qualcosa dentro di lui, sentì come un brivido intenso e caldo che gli partiva dalla sommità della schiena per arrivargli alla mano, che sentiva stranamente calda, anzi caldissima.

Pensò che il farthankar dovesse essere una specie di fuoco, di fiamma invisibile che si nascondeva nelle profondità del corpo e della mente, e che scaturiva ogni volta che veniva invocata con l’aiuto degli Dei.

Pensò anche che fosse il caso di fare un’offerta, un omaggio a Sethlan, perché non si poteva chiedere agli Dei senza offrire qualcosa in cambio, anche solo un semplice gesto di cortesia.

Notò che crescevano alcuni gigli rossi al limitare della strada lastricata dove si trovava l’edicola del Dio del Fuoco. Gigli scarlatti con sfumature di rubino e di arancio, come fiamme e sangue.

Gli sembrò l’offerta adatta da dedicare allla divinità del fuoco.

Strappò alcuni fiori dal gambo e li pose sotto l’edicola, sotto la cavità che era stata fatta per le offerte in denaro. Quelle più raccomandate dai kametheina etariakh, ma che Loraisan non poteva permettersi ancora.

Dopo aver offerto i fiori, rifece la supplica a Sethlan bisbigliando una preghiera.

LOVECRAFT 312: LE MISTERIOSE ROVINE AUSTRALIANE NE "L'OMBRA CALATA DAL T...

mercoledì 21 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 281° pagina.


Così Larth chiese loro se volevano venire a vivere con lui, dato che non avevano più rapporti con la loro gente. Nella lontana città dove era nato, i Nani non erano conosciuti se non per lontane e sfocate dicerie e leggende, e non avrebbero dovuto subire le mire bramose di chi era convinto che possedessero immensi tesori. La paura superstiziosa del popolo ignorante per creature considerate mitologiche e stregate, li avrebbe protetti dai malintenzionati.

I tre fratelli acconsentirono, e così Larth li portò fino alla sua città, la lontana Enexi, sulle rive meridionali del Veltyan, nel grande delta del fiume Podu.

Qui Larth e i Nani riuscirono ad organizzare un laboratorio alchemico, dove cominciarono a produrre lampade perenni, seghe tagliapietre e ampolle di acqua rigenerante in gran quantità, e assumendo giovani apprendisti che li aiutassero a produrne sempre di più.

In pochi anni divenne ricchissimo e famoso, poiché tanti volevano comprare i preziosi prodotti e oggetti alchemici, e altrettanti imparare l’alchimia.

Larth Turan fondò la prima grande Corporazione degli Alchimisti, legati tra loro da un patto di collaborazione e fedeltà, e dal giuramento di lavorare sempre per il benessere del Regno Aureo, e in particolar modo per quello dei deboli, degli umili e dei bisognosi. Essi erano legati anche dal patto di tenere segreti le arti alchemiche, e di non rivelarle a chi non facesse parte della Corporazione.

Dopo la morte di Larth, i suoi amici Nani scomparvero misteriosamente. La vita dei Nani, si sa, è molto più lunga di quella degli Uomini, e quindi essi erano ancora giovani e forti quando Larth morì di vecchiaia.

Si dice che vivano svariati secoli, come le Fate. Ma essi furono i primi Nani a vivere nelle città degli Uomini. Quando si seppe che anche i Thyrsenna ora possedevano alcuni dei segreti dell’alchimia, alcuni Nani, anch’essi esiliati dallo Zerennal Baras o da altri regni naneschi, giunsero nelle città degli Uomini e vissero nelle catacombe, lavorando per i Mastri Alchimisti.

Col passare delle generazioni, la prima Corporazione degli Alchimisti si divise in tante altre, a seconda del tipo di alchimia che vi veniva praticata. Infatti, col passare dei secoli gli alchimisti del Veltyan scoprivano nuovi segreti e nuove tecniche in molti campi diversi. C’erano gli Alchimisti Farmaceuti ed Erboristi, che producevano medicine, gli Alchimisti Luminieri, specializzati nel produrre lampade perenni e nel compiere opere alchemiche con la luce, gli Alchimisti Agricoli, che producevano concimi e uccidevano i parassiti delle coltivazioni, gli Alchimisti Fabbri, che producevano materiali alchemici come l’acciaio adamantino o i pentacoli di rame alchemico, fondamentali per molte altre opere alchemiche, gli Alchimisti Vetrai, che fabbricavano le sfere di cristallo alchemico e gli specchi alchemici. E così via.

E il loro potere e la loro ricchezza divennero immensi, tanto che le città divennero il loro dominio, sfidando il potere dei kametheina di Sil….».

Velthur si interruppe, con grande dispiacere di Loraisan.

«E dopo? Cosa successe, quando gli alchimisti divennero tanto ricchi e potenti?».

«Quello lo vedremo un’altra volta. Ora comincia a rileggere tu cosa ho letto io, e vediamo anche cosa hai capito di tutto quello che ti ho narrato. Dicevi di voler sapere cosa è l’alchimia, no? Ora ti ho raccontato come è nata l’alchimia nel nostro paese. Prova tu a dirmelo con le tue parole».

«Beh, non è che abbia capito molto. Cioè…. i Nani hanno insegnato qualcosa a Larth Turan, qualcosa che si fa con i raggi di luna, le pietre, lo zolfo, il sale…. e un’altra cosa che non conosco e che non mi ricordo più. Poi ha parlato di qualcosa che si chiama farthankar e non so cosa sia…. una forza magica che avremmo nella mente e nelle mani?».

«Vedi? Non è una cosa semplice da capire ed imparare. Però, se vuoi capire l’alchimia, questa storia dovrai impararla a memoria, e sapermela spiegare bene! Dovrai imparare a dirmi cosa ha fatto Larth Turan e come l’ha fatto, e perché. Solo quando avrai imparato questo, potremo fare il passo successivo, e ti insegnerò altre cose. Ora forza, leggi anche tu quello che ho letto io…. almeno qualche riga. Dovrai leggere e rileggere questo brano fino a quando non te lo dirò io, di smettere».
Loraisan sentì smorzarsi il suo entusiasmo. C’erano troppe cose che non capiva. Cos’era il mercurio? Cos’era il farthankar? Perché la pietra con il pentacolo aveva avuto il potere di

LOVECRAFT 311: IL MISTERO SOTTERRANEO NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO"

martedì 20 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 280° pagina.


ripetendo all’infinito una sorta di cantilena, per ore e ore, mentre il più vecchio di loro passava e ripassava i raggi della luna sulla lama.

Con quella cantilena, essi raccoglievano la loro forza mentale sull’altare alchemico, che trasformava la lama assieme ai raggi concentrati della luna, fino a quando l’astro notturno cominciò a calare oltre le montagne, e il rito cessò.

La mattina dopo,  i Nani dissero a Larth di provare a segare una grossa roccia di ardesia con lo strumento di rame, e all’inizio il giovane guerriero non poteva credere che quella fragile sega di rame potesse dividere quella dura e scura pietra, ma scoprì presto che poteva ridurre in tanti pezzi quel grande macigno. Con quella piccola sega avrebbe potuto tagliare in breve tempo tante pietre per costruire un’intera fortezza.

I Nani gli dissero anche che se avessero ripetuto l’opera alchemica anche quella notte in cui la luna era ancora piena, la sega sarebbe divenuta ancora più potente. Quanta più forza mentale veniva concentrata su di un oggetto, più forte era la trasmutazione alchemica che vi avveniva.

La forza alchemica che veniva generata dalla concentrazione mentale la chiamavano farthankar, cioè “la forza vitale del fare”. Tutte le Sette Stirpi di Kellur possedevano il potere di produrre ed inviare sugli oggetti  il farthankar dalla loro mente attraverso le loro mani, chi più, chi meno.

I Nani, attraverso una pratica durata moltissimi millenni, possedevano un talento alchemico superiore a tutte le altre stirpi. Dopo innumerevoli generazioni avevano appreso moltissime tecniche alchemiche, e il segreto della trasmutazione di molte sostanze per ottenere tutto ciò di cui avevano bisogno.

Anche gli Uomini possedevano in forma latente il talento alchemico, o almeno alcuni di loro, ma non avevano potuto svilupparlo, perché erano una stirpe giovane, di poca esperienza e di poca conoscenza, e poi anche perché il Diluvio li aveva ricacciati nella barbarie.

Nei tempi antidiluviani, una parte del sapere alchemico era stato trasmesso loro dai dominatori del mondo, i Giganti.

Ma quando i Giganti erano quasi tutti scomparsi nei flutti, e gli Uomini erano rimasti da soli, il sapere antico era andato perso in rapido tempo. Perché le arti alchemiche non sono facili da imparare, e come aveva potuto vedere Larth, implicavano un grande impegno, una grande pazienza e una grande autodisciplina. I Mastri Alchemisti antichi erano morti senza trasmettere le loro conoscenze, nella dura lotta per la sopravvivenza nel devastato mondo postdiluviano.

Ora Larth, se voleva, aveva la possibilità di diffondere nuovamente l’alchimia fra gli Uomini e con essa i benefici enormi che portava, la possibilità di produrre in quantità sostanze e oggetti utili o preziosi per il benessere di tutti.

Larth fu entusiasta all’idea, e decise che avrebbe lasciato la carriera del soldato, per dedicarsi all’alchimia per il resto della sua vita.

Rimase con i Nani nella grotta per un anno intero, imparando da loro molti segreti, anche se erano immensamente di più quelli di cui non seppe mai nulla. Infatti ciò che Larth Turan apprese fu una minima parte dell’immenso sapere alchemico dei Nani, che si era accumulato in lunghe ere, già da prima della nascita dei primi Uomini.

Nessun Uomo sarebbe stato in grado di apprendere in una sola vita tutte le tecniche alchemiche degli Elfi delle Tenebre, anche perché erano così tante che nemmeno i tre Nani messi assieme potevano conoscerle.

Tre furono i segreti principali che i tre fratelli insegnarono a Larth: il segreto delle seghe tagliapietre, il segreto delle lampade perenni e il segreto dell’acqua rigenerante, un liquido alchemico che permetteva di curare in brevissimo tempo le ferite, gli eczemi, le infezioni e le bruciature.

Alla fine dell’anno, Larth volle ripartire per tornare a vivere con gli Uomini; ma i Nani, che ormai si erano molto affezionati al loro salvatore, non volevano essere lasciati, anche perché temevano di rimanere di nuovo indifesi di fronte all’attacco di altri briganti.

Essi non erano guerrieri, ma artigiani, e non sapevano come proteggersi dalla violenza degli Uomini.

LOVECRAFT 310: LA FINE ANNUNCIATA DELLA GRANDE RAZZA NE "L'OMBRA CALATA ...

lunedì 19 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 279° pagina.


Con sorpresa, scoprì che si trattava di tre Nani che erano stati inseguiti e braccati dai briganti per farsi rivelare il nascondiglio dei loro tesori, che secondo i malfattori dovevano certamente possedere.

I Nani erano tre fratelli che erano stati esiliati dallo Zerennal Baras, l’antico regno dei Nani fra le Montagne della Luna, per una colpa che vi avevano commesso, e che ora vivevano in quella grotta nella valle deserta, in completo isolamento.

I tre Nani non possedevano certo i grandi tesori che gli Uomini sono sempre convinti possiedano tutti i Nani, e si dispiacquero di non poter ricompensare il loro salvatore con oro, argento e pietre preziose.

Larth disse loro che non gli importava di venire ricompensato con ricchezze, perché aveva fatto solo il suo lavoro. A lui non gli importava che quelli che proteggeva sul territorio del Veltyan fossero Uomini o gente di altra stirpe, bastava che fossero persone indifese e bisognose.

Ma semmai, disse loro, gli sarebbe piaciuto che gli insegnassero qualche segreto, perché si sapeva bene che i Nani non erano solo proprietari di grandi ricchezze ottenute dal sottosuolo, ma anche di molti segreti antichi che provenivano dalle lontane ere prima del Diluvio.

I Nani risposero che in quanto cittadini del Giardino delle Rose, sarebbero stati obbligati a non rivelare alcuno dei segreti della conoscenza nanesca agli Uomini. Ma loro erano dei fuorilegge esiliati, e non sentivano più nessuna lealtà nei confronti dei loro connazionali, quindi gli dissero che gli avrebbero rivelato alcuni segreti dell’antica alchimia, che gli Uomini avevano dimenticato dopo il Diluvio, ma che i Nani conservavano ancora e che avevano tramandato nei millenni.

Il maggiore dei tre fratelli prese le mani di Larth e le guardò a lungo.

I Nani, si sa, possono leggere nelle menti e nell’anima degli Uomini come le Fate, ma in modo diverso.

Le Fate leggono il destino negli occhi degli Uomini, i Nani invece leggono le loro capacità nelle loro mani.

Il Nano gli disse che il giovane Larth possedeva il talento alchemico in maniera sufficiente a potergli insegnare i principi basilari dell’alchimia, ma che doveva anche imporsi una severa autodisciplina, perché per controllare tale talento, ci voleva un lungo esercizio.

I tre Nani gli imposero una scelta: o tornare subito al mondo degli Uomini per seguire la sua carriera di militare, oppure rimanere a lungo con loro, e apprendere i dimenticati segreti dell’alchimia.

Larth accettò la seconda via, e acconsentì a vivere con i Nani nella grande caverna, difendendoli con le sue armi da altri eventuali aggressori, e diventando loro allievo.

Il Nano più vecchio gli spiegò innanzitutto il principio base dell’alchimia, che è contenuto in queste parole: L’alchimia agisce sulla materia, ma parte dalla forza della mente.

Essa non è altro che forza mentale incanalata e addestrata dalle tecniche alchemiche che usano tre principali ingredienti: parole, simboli ed elementi fisici, uniti nella giusta combinazione, guidati dalla concentrazione del pensiero.

Il primo segreto che i Nani gli insegnarono, fu la fabbricazione delle seghe tagliapietre.

Gli mostrarono una piccola sega di rame, poi gli mostrarono una pietra bassa e larga, scolpita a forma di cilindro come un altare circolare, sopra la quale era inciso un cerchio con un pentacolo all’interno, e altri simboli alchemici. La pietra era stata levigata accuratamente, ed era completamente bianca, della roccia tenera delle Montagne della Luna.

Insieme attesero il plenilunio, poi quando una notte sorse la luna piena, i tre Nani, con l’aiuto di Larth portarono la pietra fuori della grotta, sotto la luce della luna, e posero la sega di rame sopra il pentacolo, poi versarono nelle scanalature del pentacolo inciso nella pietra una mistura di sale, zolfo e mercurio.

Tale mistura di queste tre particolari sostanze è il principale composto alchemico, in grado di concentrare la forza mentale degli alchimisti sulla materia da trasformare.
Poi presero una sfera di cristallo, e con essa concentrarono i raggi della luna sulla lama, passandoli e ripassandoli sopra, mentre ponevano le mani sopra il pentacolo riempito della mistura alchemica,

LOVECRAFT 309: L'INCUBO DELLA GRANDE RAZZA NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO".

domenica 18 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 278° pagina.


Aveva sempre avuto la netta sensazione che tutta quella storia fosse troppo grande per la mente limitata di un semplice Uomo come lui, e una parte di lui era convinta che non sarebbe mai venuto a capo di niente. Sperava che, se per caso si fosse arrivati a una tragedia finale come quella della Valle dei Gigli, lui l’avrebbe intuito prima e avrebbe fatto fuggire lontano quanta più gente possibile.

Erano state le tre Regine delle Fate di Leukun a imporgli di occuparsi di quel mistero che nessuno poi era riuscito a svelare, e siccome adesso quelle tre tacevano e non gli avevano mandato messaggeri, nemmeno il viscido e ambiguo Azyel, lui si sentiva del tutto libero di decidere se indagare o meno.

E per il momento, aveva deciso per il no, anche se i racconti dei tre protagonisti delle misteriose apparizioni l’avevano affascinato molto.

Si concentrò tutto su Loraisan perché sentiva che era quello il suo compito. La cosa ormai andava aldilà del mistero che avvolgeva il bambino. Loraisan gli interessava aldilà della sua misteriosa origine. Forse osservare il bambino l’avrebbe portato a capire qualcosa di ciò che stava accadendo, ma anche se non fosse stato così, Loraisan era importante per lui come e più di un figlio.

Ora che il piccolo sapeva arrangiarsi a leggere, anche se lentamente e con fatica,  pensò di fargli leggere un brano di storia, e precisamente la storia della riscoperta dell’alchimia dopo i secoli bui del dopo Diluvio.

Una mattina alla metà del mese dell’Ariete, il primo del nuovo anno, Velthur cominciò a far leggere a Loraisan il suo primo brano di storia della sua vita.

«Bene, oggi 13 Ariete dell’anno 3097 dalla Fondazione del Regno Aureo, potrai cominciare a sapere come è stata introdotta per la prima volta l’antica alchimia fra il popolo dei Thyrsenna e in che cosa consiste. Dici di non essere troppo piccolo per capire di cosa si tratta, e allora adesso vedremo se è vero. Questo è un libro di storia, scritto e stampato apposta per chi comincia a studiare le vicende antiche del nostro popolo e le sue origini….».

«È bello grosso, quel libro….bello spesso».

«Tranquillo. Mica te lo faccio leggere tutto. Almeno non per il momento. Io adesso ti leggerò il brano che voglio che tu impari. Tu poi lo leggerai poco per volta e imparerai a memoria cosa viene narrato in esso. E io risponderò a ogni tua domanda quando non capirai qualcosa, e a mia volta ti domanderò cosa hai capito di quello che hai letto. Vediamo un po’ cosa riuscirai a imparare, e cosa riuscirò io a farti capire. Tieni conto che tuo padre si aspetta grandi cose da te, e ha molta fiducia che io riesca ad insegnarti come farle».

Il dottore cominciò a leggere il brano.

«Ai tempi della Regina Elinai XIII, nell’anno 1973 dopo la Fondazione del Regno Aureo, il giovane Larth Turan stava viaggiando con il suo cavallo attraverso le Montagne Albine, presso i confini nord-orientali del Veltyan. Doveva recarsi dalla Shepen della città di Trinyan, per prestare servizio nella sua guardia personale.

Larth veniva da una famiglia di contadini, ma aveva fatto fortuna prestando servizio nell’esercito, dimostrando di essere un combattente valoroso e capace. Ma era anche un uomo sensibile e di spirito nobile ed elevato.

Mentre viaggiava, si ritrovò in una valle quasi deserta, dove vide una grande colonna di fumo che si levava dai fianchi di una delle montagne, in mezzo al bosco, presso una grande rupe, e da cui si sentivano provenire anche delle urla e degli schiamazzi.

Larth sguainò la spada e si avvicinò prudentemente al luogo, per vedere cosa vi stava avvenendo.

Scoprì che una banda di quattro briganti aveva acceso un fuoco di fronte all’entrata di una grande grotta, come se volessero stanare con il fumo qualcuno che vi era nascosto dentro. Gli uomini schiamazzavano attorno al fuoco, intimando alle loro vittime di uscire se non volevano morire soffocate.

Il giovane Larth sbucò a sorpresa dal bosco e li affrontò con la sua spada, con una furia e una velocità tali che ne uccise subito tre, mentre il quarto fu messo in fuga.

Allora Larth spense il fuoco e gridò a chi stava dentro la grotta di uscire.

LOVECRAFT 308: L'ETICA SOCIALE DELLA GRANDE RAZZA NE "L'OMBRA CALATA DAL...

sabato 17 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 277° pagina.


che, non essendo lui un destrino, non ci sono impedimenti nello sperare che possa avere un qualche talento alchemico».

«Mh, già. Si sa che i destrini non possono imparare l’alchimia…. chissà perché!».

«Un sacerdote di Sil ti direbbe che è perché la destra è la mano dei Demoni Oscuri, la mano dell’oscurità e della distruzione…. noi medici ti diremo che c’è qualcuno che pensa che la mente dei destrini funzioni in modo diverso da quello delle persone normali, è per questo che usano la mano destra anziché la sinistra. Sembra che i destrini abbiano una minore capacità immaginativa, e questo li renderebbe incapaci di apprendere le opere alchemiche. Perché per il talento alchemico è fondamentale la capacità di creare immagini nella mente e concentrarsi su di esse. Ma è solo una teoria, non ne siamo ancora certi».  

«L’importante è che possa cominciare a imparare. Certo che mio figlio è veramente strano. Io vorrei che giocasse con gli altri bambini, e ogni sera con lui è una tragedia. Vive nel terrore di rimanere solo. Per fortuna che siamo una famiglia numerosa, è molto difficile che un membro resti da solo in casa o da qualsiasi altra parte. Però certe volte è proprio noioso con le sue paure. Cioè…. è normale che un bambino sia pieno di paure, ma con lui è quasi sempre così! E quando gli chiediamo di cosa ha tanta paura, non ce lo vuole dire. La sera, ha il terrore di avvicinarsi alle finestre, e di guardare fuori. Se sua madre gli dice: “prendimi il coltello là sul tavolo accanto alla finestra”, e fuori è buio, lui si avvicina guardando in basso, prende il coltello in fretta e furia e si allontana dalla finestra quasi scappando.

Ho provato a chiedergli di cosa avesse paura, ridendo, e lui manco mi ha guardato, si è offeso e ha detto che “non voleva mai guardare dentro il buio”. Ha detto proprio così: dentro il buio! Non so che cosa intendesse, ma credo che sia convinto che se guardasse fuori dalla finestra, vedrebbe chissà quale mostro o spirito…. e adesso ho paura che con le storie stregonesche che hanno ripreso a circolare in paese, me lo spaventino ancora di più!

A proposito: è vero che hai dovuto curare tre persone diverse in tre notti consecutive perché avevano visto dei demoni terrificanti all’inizio dei Tinsina Fuflunal? Uno era Arnith Gamarran, a quanto mi hanno detto. Ho saputo inoltre che, qualsiasi cosa gli sia successa, sarebbe avvenuta proprio quella notte in cui siamo andati a berci qualcosa al Kran Belz, e infatti quella volta mi è sembrato piuttosto ubriaco.  Immagino che anche gli altri erano tutti tipi che avevano bevuto troppo, spero…. magari vino fatato….».

«Magari fosse stato così. Avevo pregato protagonisti e testimoni di non parlarne con nessuno o con il minor numero di persone possibile, ma ovviamente è stato inutile. Da quel che ho capito, stanno ricominciando a succedere le stesse cose che sono successe sette anni fa, quando è nato Loraisan…».

«E che cosa facciamo, allora? Pensi di tornare alle Colline di Leukun per chiedere consiglio alle Tre Madri del Fato?».

«Prima ne parlerò con Prukhu e Menkhu, così magari ci vanno loro, a parlare con la Triplice Regina delle Fate. Io sinceramente preferisco occuparmi di Loraisan. Quella storia mi aveva fatto quasi impazzire sette anni fa, e alla fine si è conclusa con un morto fatto a pezzi. Quello stesso tizio che probabilmente aveva dato inizio a tutto quanto. Credo che adesso la cosa più saggia, forse, è non occuparsene».

«Ma è vero quello che dicono? Che una persona è stata ferita? Ho sentito che la vecchia matriarca dei Vipinas sarebbe stata colpita in testa da un essere misterioso….».

«Sì, è vero. Ormai non vale più la pena nasconderlo….».

«Ma l’altra volta, a parte la morte misteriosa di Aralar Alpan, non ci furono feriti…. Solo tanta paura. Se adesso la gente comincia a venire aggredita…. non è il caso di allarmarsi sul serio?».

«È stato un solo caso, finora. Se ce ne saranno altri, allora vorrà dire che mi rimetterò ad indagare, altrimenti lascio tutto ai gendarmi, ammesso e non concesso che quelli possano capirci qualcosa. Non sono riuscito a capirci molto neanche io, naturalmente….».

E Velthur era in fin dei conti contento di non capire. Si sentiva, in certo senso, deresponsabilizzato.

LOVECRAFT 307: LIMITI NELLO STILE DI HPL NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO"

venerdì 16 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 276° pagina.


le leggende del mio popolo ai suoi nipoti. Tra l’altro, me ne ero dimenticato persino io della leggenda dei bambini verdi, fino a stasera».

Velthur non aggiunse nient’altro e se ne andò, pensando che era ora di consultare di nuovo i suoi libri.

La sera successiva, dopo il lavoro, riuscì a trovare quello che cercava.

Nella sua biblioteca c’era un’altra opera di Perun Oyarsun oltre a L’Ombra delle Leggende, un altro libro che parlava di fatti misteriosi e leggende paurose, intitolato Viaggio oltre le Montagne Albine.

Perun Oyarsun era un uomo che aveva viaggiato anche in terre straniere, soprattutto nei paesi nordici. A volte, gli spiriti più avventurosi lo facevano, al seguito dei mercanti che si spingevano nel Mare Iperboreo per comprare ambra, rame e stagno dai popoli barbarici in cambio di vino, lampade perenni e altri manufatti.

E proprio in quel libro, in cui narrava delle tradizioni e delle leggende dei popoli nordici, ritrovò la leggenda dei due bambini verdi, e della Terra di Mirtin, che lui chiamava Quer Mitrin, perché dai nordici non era considerato una divinità, ma un antico eroe divinizzato. Anche Oyarsun era stato un Avennar, legato al culto dei Querna, i Santi, uomini e donne eccelsi che in passato avevano fatto il bene del mondo.

Perciò Oyarsun aveva considerato Mirtin o Mitrin come un Quer, un Santo. Ed era convinto che fosse un personaggio realmente esistito in carne ed ossa in un passato remoto nei paesi del Nord.

La leggenda, comunque, era stata narrata da Oyarsun nello stesso identico modo in cui l’aveva narrata Kernon, praticamente con le stesse parole.

Era una stranissima coincidenza che, proprio nella casa in cui vivevano gli unici due Gaelna del paese e dintorni, una donna che non sapeva nulla di quella leggenda avesse visto qualcosa che la richiamava. A sentire Kernon e a leggere il libro di Oyarsun, la matriarca Irauni Vipinas aveva davvero visto la misteriosa Terra di Quer Mitrin o Mirtin, immersa in un eterno crepuscolo dove tutto o quasi era colorato di verde.

Come se un incantesimo avesse evocato la porta verso un mondo di verde crepuscolo, direttamente dalle pieghe nascoste della memoria superstiziosa di un selvaggio uomo del misterioso nord.







CAP. XXIII: LE ORIGINI DELL’ALCHIMIA



Loraisan aveva imparato l’alfabeto dei Thyrsenna nel giro di un mese. Velthur era impressionato, ma non sorpreso. Infatti, si aspettava che quello fosse solo l’inizio.

«Legge già quasi meglio di me!» aveva esclamato Larsin, quando Velthur gli aveva mostrato i progressi che stava facendo il figlio.

«Non che ci voglia molto per leggere meglio di me, lo ammetto….. ma io non immaginavo che avrebbe imparato così in fretta!».

«E memorizza facilmente anche tutto quello che legge. Stai sicuro, Larsin, che tuo figlio ha un futuro come sapiente del Regno Aureo. Adesso che sa leggere gli insegnerò la grammatica, la storia, la geografia e la letteratura del nostro paese, e penso che fra una decina di anni potremo fargli fare l’esame di ammissione per qualche Alta Scuola in città».

«E pensi che potrà diventare un medico come te?».

«E chi lo sa? È troppo presto per poter dire a quale campo di studio sia più adatto. Per il momento, posso dire che sembra molto interessato sia alla storia che all’alchimia. Anzi, direi che ne è addirittura affascinato».

«Pensi che possa avere un talento alchemico?».
«È troppo piccolo per poterlo stabilire. Il talento alchemico si può cominciare a valutarlo bene solo nell’adolescenza, a volte addirittura con la maggiore età. Richiede concentrazione mentale e autodisciplina, dopo un addestramento che comincia a dieci anni. Per il momento posso solo dirti

LOVECRAFT 306: IL SISTEMA SOCIALE DELLA GRANDE RAZZA NE "L'OMBRA CALATA ...

giovedì 15 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 275° pagina.


ancora giovani e del tutto ignare del tempo trascorso, come se fossero passati pochi istanti dalla loro scomparsa, e da altre porte ancora sono comparsi esseri spaventosi, a volte solo strani, e altre ancora strani personaggi come i due bambini verdi.

A volte sono comparsi anch’essi da pozzi, altri da antri e caverne profonde, altri improvvisamente comparsi dal nulla nel fitto di foreste buie, altri ancora, come è successo in questa casa, da porte comparse improvvisamente dal nulla su pareti di castelli e fortezze, o addirittura in povere capanne. 

La matriarca Irauni se l’è cavata bene, perché avrebbe potuto rimanere per sempre imprigionata nella Terra di Mirtin. Cosa sarebbe successo se la porta fosse scomparsa mentre lei si trovava dall’altra parte? E cosa succederebbe, se quella porta dovesse ricomparire e lasciar passare non un bambino, ma un essere mostruoso evocato dalle Fate?»

«Ma perché dovrebbe succedere tutto questo? Cioè, perché succede? Le leggende del tuo popolo spiegano anche questo?».

«Scusate, signor medico….. non capisco la domanda….».

«Mi spiego meglio: perché le Fate vorrebbero creare queste porte che fanno passare la gente e altre strane creature da un reame all’altro, da un luogo all’altro, da un mondo all’altro?».

«Non si sa…. Ma alcuni dicono che ubbidiscono a forze maligne, a Dei oscuri e violenti che vogliono stravolgere l’ordine del mondo. Per questo i nostri sacerdoti, i Lukwydaris, ogni volta che scoprono una Porta delle Fate, compiono dei riti di esorcismo contro di essa, per chiuderla definitivamente invocando il soccorso di Lukur, il nostro Dio supremo.

In genere ci riescono. Purtroppo qui non c’è un solo Lukwydar che possa officiare il rito…. io sono solo un contadino, come lo è Nemirarn, l’altra schiava. E non conosco nessun Gael da queste parti».

«Nemmeno io. Tu sei il primo Gael che conosco in vita mia! E non so molto, sul conto dei Gaelna... Senti, Kernon. Voglio poter parlare ancora con te. Mi devi raccontare qualcosa del tuo popolo e delle sue tradizioni. Ma non dire a nessuno, almeno per il momento, che m’interesso a quello che mi racconterai. È un segreto fra noi due. Inventerò la scusa che vengo qui per tenere d’occhio la matriarca, che è una cosa che in ogni caso penso che dovrò fare. È anziana e il colpo che si è presa in testa è proprio brutto».

«A volte la mia signora mi permette di andare al villaggio a bere qualcosa all’osteria.Magari possiamo vederci a casa sua, se non ha nulla in contrario».

«Ah, è generosa la tua signora! Bene, mi piacerebbe bere qualcosa in tua compagnia e farci una chiacchierata ogni tanto. Un’ultima cosa, Kernon. Tu mi hai detto che dentro le Porte delle Fate a volte sono scomparse delle persone che non sono più tornate. Per caso, nelle vostre leggende, capita mai che scompaia non una singola persona, e neanche un gruppo, ma addirittura un’intera comunità… che so, un intero villaggio, o persino la popolazione di un’intera valle?».

«Che io sappia…. no. Cioè, non lo so…. , però una volta, ho sentito una storia, da bambino, credo che me l’abbia raccontata mio nonno, che era un cantore…. Una leggenda di una valle dove c’era una profonda caverna, e un lago, sul cui fondo aveva il suo tempio un Dio degli Inferi, che compariva di notte sotto forma di cervo bianco dalle corna di fiamma. Gli abitanti della valle offesero mortalmente il Dio, che si vendicò portando con sé tutto il popolo della valle attraverso una Porta delle Fate che si trovava nel suo tempio sotto le acque del lago…

È strano, mi ero dimenticato di questa leggenda, ma ora che mi avete fatto quella strana domanda, improvvisamente me ne sono ricordato….».

Velthur rimase a fissare il vuoto per qualche istante, meditando su quello che gli aveva raccontato lo schiavo barbarico.

Sembrava dunque che la vicenda della Valle dei Gigli fosse giunta nel lontano Nord, deformata e ingigantita dal mito. E chissà, forse i sacerdoti e i cantori dei Gaelna sapevano di quella vicenda qualcosa che nemmeno i più sapienti fra i Thyrsenna potevano apprendere.

«Dimmi, la tua signora conosceva la leggenda dei due bambini verdi?».
«No, non gliene ho mai parlato. Lei non voleva saperne niente del nostro paese, e se osavo parlarne minacciava ogni volta di bastonarmi! Una volta l’ha anche fatto, quando ha scoperto che raccontavo le leggende del mio popolo ai suoi nipoti

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martedì 13 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 274° pagina.


«Raccontami questa storia dei due bambini, allora! Voglio sapere tutto quello che pensi tu su questa faccenda,  su cosa può significare e su come possiamo difenderci».

«Eh, ci sarebbero tante storie da raccontare allora, signor medico… …. Ma davvero vi interessano queste storie?».

«Tu sai cosa successe qui sette anni fa, vero? Tu magari non eri ancora arrivato in questo posto….».

«No, infatti io fui venduto alla matriarca cinque anni fa. Ma mi hanno raccontato sì, del Prodigio del Sole Scarlatto…. io non lo so se furono le Fate a fare questo, però so che molti qui lo pensano, anche se la maggior parte dicono che fu un prodigio dovuto alla volontà di Sil».

«In ogni caso, capirai che dopo quello che è successo, sono disposto a credere a molte antiche leggende, da qualsiasi paese vengano. Sentiamo la storia dei bambini nel pozzo, intanto. Racconta».

«È una cosa che successe secoli fa, nel paese dei Brixanna, che sono un popolo molto simile al mio, con una lingua quasi uguale alla nostra, e con uguali costumi e tradizioni. Per questo le loro storie arrivano spesso a noi, e viceversa.

Un giorno, tanto tempo fa, un contadino vide due bambini uscire da un pozzo nei suoi campi, un maschio e una femmina, con la pelle che, a quanto narrano i nostri cantori, “aveva il colore delle foglie”. I bambini parlavano una lingua incomprensibile, portavano vestiti di foggia strana e fatti di un tessuto sconosciuto, e rifiutavano ogni cibo che veniva loro offerto.

Fino a quando non portarono loro un piatto di fave, e su quelle invece si fiondarono mangiando a sazietà.

Il contadino tenne con sé i bambini, ma dopo un mese il maschio morì di malattia, mentre la bambina sopravvisse e divenne una donna. La sua pelle perse il colore verde e divenne rosea come quella di tutti gli altri con cui viveva, perciò la curiosità intorno a lei cessò del tutto. Si sposò persino, ed ebbe dei figli.

Imparò la lingua dei Brixanna e parlò del posto da dove veniva e come avevano fatto, lei e il fratello, ad arrivare nel mondo degli Uomini.

Ella disse di venire dalla Terra di Mirtin, che era immersa in un eterno crepuscolo, senza giorno né notte, senza sole né stelle. Solo la luna splendeva nelle sue fasi in questo strano paese. Un grande fiume li separava da un paese dove invece splendeva perennemente il sole.

Raccontò che il suo popolo infatti non adorava il sole come invece facciamo noi, sia popoli del nord che Thyrsenna,  perché dà poca luce e calore al loro paese, mentre invece adorava come una divinità l’antico eroe Mirtin….».

«E ha anche spiegato chi era questo Mirtin?».

«Ma no, non era necessario spiegare niente! Mirtin, o Mitrin, è un eroe che noi Gaelna conosciamo bene, come anche i Brixenna. Infatti l’antica tradizione dice che visse nel nostro paese, altri invece dicono che visse in quello dei Brixenna. Era un cavaliere eroico, ma anche un mago. Difendeva i poveri e gli umili, e la leggenda dice che in un freddo giorno d’autunno divise il suo mantello per darlo a un povero vecchio che stava morendo di freddo perché non aveva da coprirsi.

E per giunta, con un incantesimo fece diventare il cielo sereno, così che il sole potesse scaldare il povero vecchio.

Per questo, evidentemente, il popolo della Terra di Mirtin lo venerava. Comunque la bambina raccontò che nella Terra di Mirtin tutta la gente aveva la pelle verde, E anche tutto quello che possedevano in quel reame, era verde. Un giorno, lei e suo fratello stavano badando al gregge del padre, quando udirono come un suono di campane che veniva da lontano e che si avvicinava sempre più, finché furono presi come in un vortice che li inghiottì e li lasciò sul fondo del pozzo da cui poi erano usciti.

Noi diciamo che furono portati nel mondo degli Uomini da una Porta delle Fate. E io dico che quello che la matriarca ha visto oltre quella porta, era la Terra di Mirtin».

«Ce ne sono altre, nel tuo paese, di storie di questo tipo?».
«Tante. Io ne conosco molte, il nostro paese è molto ricco di leggende, e alcune ci vengono da altri paesi vicini. Ma le storie più terrificanti sono quelle delle Porte delle Fate. Perché attraverso di esse molte persone sono scomparse per sempre, altre invece sono ricomparse dopo molte generazioni,

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lunedì 12 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 273° pagina.


Il taglio che aveva in testa era molto brutto e profondo, e dovette darle dei punti. Ma Irauni sembrava essersi ripresa dallo spavento e dallo stato confusionale, e descrisse dettagliatamente che cosa aveva visto, per quanto incredibile fosse, e si sentisse addirittura ridicola nel raccontarlo. Il suo scetticismo era stato incrinato non tanto da ciò che aveva visto, ma dalla brocca che si era presa in testa.

«Era come se quella donna, vedendo me, avesse visto un abominio, un mostro. Eppure ai miei occhi era lei che appariva come qualcosa di spaventoso…. tutta verde. Io non pensavo che potessero esistere delle persone dalla pelle verde! Kernon diceva che quella era la porta al Regno delle Fate.

Voi che siete un uomo sapiente, avete mai sentito che le Fate siano in grado di materializzare porte e camere in mezzo a una casa? Mi hanno detto che voi avete avuto alcuni rapporti con le Fate, ma io ho sempre creduto che le loro magie fossero solo trucchi, inganni.

E il luogo che vedevo da quelle strane finestre…. non era un luogo di questo mondo. Ogni cosa appariva verde, immersa in questo strano crepuscolo. Cosa dovremo fare, adesso? Abbandonare la nostra casa?».

«Non lo so, matriarca Vipinas. Non ho risposte, al momento. Certamente, non credo che sia stata colpa delle Fate, ma se notate qualcos’altro di strano o inspiegabile, fatemi chiamare subito, ancor prima dei gendarmi. Forse potrò darvi delle risposte in futuro. Magari con l’aiuto di un esperto mastro alchimista».

Prima di andarsene, Velthur volle parlare con Kernon, il quale continuava a sostenere che bisognava murare il corridoio in cui era comparsa la porta sul regno del verde crepuscolo.

«La porta ricomparirà, prima o poi. È una Porta delle Fate, conduce nel loro regno. Il loro paese può essere dappertutto e in nessun luogo, perché non è un regno di questo mondo. E chi vi entra anche una sola volta, smarrisce la ragione, e la sua vita diventa una lunga malattia senza speranza, carica solo di incubi e follia».

«Cosa ti fa credere che quello che hai visto fosse un incantesimo delle Fate? Io non ho mai sentito parlare di porte che compaiono misteriosamente nelle case degli Uomini. Io ho visto un Regno delle Fate a pochi chilometri da qui. Lo sai che sulle Colline di Leukun esiste una comunità di Fate? Certo,  loro possono creare delle illusioni agli occhi degli Uomini, rendendo invisibili le loro case e i loro averi e le loro stesse persone, ma scherzi così crudeli non li fanno. E il loro regno appartiene a questo mondo, non ad un altro.

Se andrai a raccontare in giro che sono state le Fate a ferire in fronte la tua signora e padrona, le metterai nei guai. Già i kametheina non le vedono di buon occhio. Se si diffonde la voce che aggrediscono  le matriarche degli athumna….».

«No, no, io non sto parlando delle Fate del vostro paese, so bene che sono esseri pacifici e che non fanno scherzi così malevoli. Sto parlando delle Fate del mio, di paese! Quelle sono ben diverse dalle vostre! Il popolo fatato, dalle nostre parti lassù al Nord, è oscuro e feroce!»

Il pregiudizio che quasi tutti i Thyrsenna inevitabilmente avevano nei confronti dei popoli nordici, un pregiudizio da cui non si salvavano neanche i più colti e intelligenti, da un lato spingeva Velthur a non dare retta alle loro credenze popolari, ma dall’altra – grazie all’esercizio del dubbio critico - lo invitava ad ascoltare quell’uomo rozzo dai lunghi capelli rossi, che parlava con uno strano accento. In fin dei conti, alla fine quello che aveva avuto ragione era lui: quella porta non la si doveva varcare, e la matriarca aveva pagato caro il non aver voluto dare retta al suo ignorante e rozzo schiavo.

«Sentiamo: cos’hanno di diverso le vostre Fate dalle nostre? Perché le Fate nordiche sarebbero più cattive? E per caso, hanno la pelle verde anziché bianca come quelle del Veltyan? E poi, perché sarebbero arrivate fino a qui, anziché restarsene nel vostro paese?».

«Beh, sì, alcune nostre tradizioni parlano di Fate dalla pelle verde. Per esempio, c’è la storia dei due bambini usciti dal pozzo….».

Nascosto tra le pieghe della memoria, qualcosa di familiare si agitò nella mente di Velthur. Aveva come l’impressione di aver già sentito parlare di quella storia.

LOVECRAFT 303: IL MONDO DELLA GRANDE RAZZA NE "L'OMBRA CALATA DAL TEMPO".

domenica 11 dicembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 272° pagina.


Verde potevano esserci delle fughe di vapori sotterranei che avevano l’effetto di droghe allucinogene.

Pensò che forse anche in casa sua c’era una di quelle fughe.

Irauni era una donna così scettica e autocontrollata, che persino in quei momenti sconcertanti, riusciva a ragionare su quello che stava vivendo.

Ma quella spiegazione che per pochi istanti confortò la sua ragione, fu spazzata via dallo scontro finale con quell’assurda realtà.

Infatti la donna piangente, udendo i passi dietro di sé, si alzò di scatto e mostrò il suo volto verde pallido.

Un bel volto pieno di lacrime che mutarono in un istante in una maschera che lanciava un urlo spaventoso.

La donna si rialzò in piedi e continuando ad urlare parole incomprensibili afferrò una brocca di metallo verde, piena d’acqua che si trovava presso il grande letto, e la scagliò contro Irauni, colpendola in testa.

La brocca, sotto il fondo, aveva un bordo tagliente che ferì la matriarca sopra la tempia, rimbalzò e proseguì il suo volo oltre la porta aperta.

Irauni, barcollando fece cadere la lampada perenne che aveva in mano, e si diede alla fuga da dove era venuta.

Richiuse la porta dietro di sé con un tonfo pesante e corse urlando per il corridoio, fino alle scale, in fondo alle quali Kernon e Thefren aspettavano, anch’essi sconvolti dopo aver udito l’urlo potentissimo e lacerante.

Fuggirono tutti e tre alla ricerca degli altri occupanti della casa, mentre Kernon continuava a ripetere che doveva dargli il permesso di chiudere il corridoio con delle assi.

Invece, quando trovarono Elori, la sorella minore di Irauni questa, mentre curava la ferita della sorella, mandò la schiava Nemerarn a chiamare i gendarmi in paese, perché venissero subito, e che chiamasse anche il dottor Laran, anche perché non solo Irauni era ferita e perdeva parecchio sangue, ma sembrava delirare. Sul momento, nessuno riuscì a capire cosa fosse successo.

Elori non dette retta alle suppliche di Kernon, che gli pareva diventato ancor più matto di Irauni. Anche Elori non era molto disposta a credere a strane superstizioni sulle Fate.

Quando Nemerarn entrò nella postazione dei gendarmi in paese, raccontò solo che qualcuno era penetrato in casa loro e aveva ferito la matriarca, qualcuno che poteva ancora essere in casa o nei paraggi, e che forse aveva anche rubato qualcosa.

Siccome la famiglia Vipinas, anche se decaduta, era una famiglia di athumna, furono celeri nell’accorrere alla villa. Il dottore arrivò un attimo dopo di loro.

E anche se all’inizio sembrava che dovesse semplicemente essere l’aggressione di un ladro nella notte, temeva di dover scoprire che anche quello era un caso misterioso.

Presentimento che si rivelò esatto nel momento in cui arrivò a Villa Vipinas, nel pieno della notte.

Uno dei due gendarmi, appena lo vide, gli disse subito una cosa molto strana.

«Ben arrivato, dottor Laran. Forse voi ci aiuterete a capire come abbiano fatto a far sparire una porta!».

«Prego?».

«Pare che sia sparita una porta da uno dei corridoi al primo piano della villa dei Vipinas…..».

«Cioè, dei ladri sarebbero entrati in casa, avrebbero ferito in testa la matriarca Irauni e si sarebbero portati via…. una porta?».

«No, no. Non mi sono spiegato. Kernon il Gael, lo schiavo dei Vipinas, dice che la matriarca è entrata per una porta di uno dei corridoi del primo piano, una porta che adesso non c’è più. Al suo posto c’è solo il muro!».

Velthur sperò fino all’ultimo che il gendarme avesse capito, grazie alla sua scarsa intelligenza, chissà che cosa di un caso che in realtà non aveva nulla di magico e di misterioso, e chiese di poter vedere subito la matriarca Irauni.