domenica 31 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 158° pagina.


E prese di nuovo in mano il ciondolo di argento alchemico, tendendolo avanti come esempio di quello che intendeva dire.

«Anche. Ma non solo. Certo, una delle mie ambizioni sarebbe di scoprire il segreto per produrre alchemicamente l’ambra, allora sì che potrei pagarmi l’affitto da solo per il resto della vita, e magari anche costruire un altro grande santuario in cima al monte, ma non è quello il mio interesse principale, come ho già fatto capire….».

«Davvero? Non capisco a cosa alludete….».

«Vi ho parlato dei miei viaggi, dei segreti antichi che ho conosciuto in paesi lontani, e della vana ricerca del luogo d’origine dell’umanità, la Terra Santa dove Sin parlò agli Uomini e ai Giganti. Sono quelli i misteri che desidero svelare con l’alchimia. Con forme di alchimia poco o nulla conosciute nel Veltyan».

«E cioè?».

«Andare oltre. Semplicemente andare oltre, ed esplorare territori nuovi, mondi nuovi. Superare ogni limite, ogni traguardo. Varcare la Soglia, per addentrarci nell’Altrove. Capite cosa voglio dire?».

«No, se non mi date qualche esempio concreto».

«Ve lo mostrerò. Vi darò molti esempi. Guardi qua, vi mostro la mia biblioteca».

Lo invitò ad avvicinarsi agli scaffali, quelli presso la parete divisoria, e gli fece notare come fossero tutti libri di alchimia esoterica. C’erano molti libri che venivano guardati con sospetto o disapprovazione dai benpensanti e dalle gerarchie sacerdotali del culto di Sil, e ce n’erano altri che non aveva mai visto, né ne aveva mai sentito parlare.

«I libri religiosi sono sull’altro lato della libreria, verso il camino. Questi li tengo vicino al mio laboratorio. Comunque, m’interessa prima di tutto farvi vedere questo…».

Prese un grosso volume che si chiamava Misteri dell’Alchimia Antica, e la aprì a una pagina con un segnalibro.

Sulla pagina di sinistra c’era una strana illustrazione che mostrava uno stranissimo oggetto sospeso in aria, sullo sfondo di un paesaggio visto dall’alto con campagne, città, fiumi e montagne. Sembrava una sorta di sottile lastra rettangolare, con complessi disegni geometrici sul lato superiore. Nella parte anteriore della lastra, sedeva un personaggio a gambe incrociate, sopra un cerchio con un pentacolo inscritto, con in mano un cerchio splendente che teneva teso di fronte a sé come un timone, e probabilmente lo era, e che era legato con un sottile nastro al bordo del pentacolo.

Sul lato posteriore, invece, stava un altro personaggio, anch’egli seduto a gambe incrociate, che dava colpi con due martelli sferici  su quella che pareva una campana anch’essa brillante, fissata alla lastra sottostante da un supporto a “U” rovesciata. Come facesse quell’oggetto a volare senza ali non si riusciva a capire, né a cosa potesse servire la campana.

«Questo è quello che le leggende ricordano come un “tappeto volante”, e che gli storici dell’alchimia chiamano “aerolastra alchemica”. Riuscire a realizzarne una, è uno dei miei sogni più ambiziosi».

Velthur pensò che, se prima c’erano ancora dei dubbi che fosse completamente pazzo, ora poteva metterci la mano sul fuoco. Ma i pazzi, si sa, vanno assecondati finché non ti costa niente, se veramente ci tieni alla pelle.

«E come funzionerebbe questa cosa?».

«Fino a poco tempo fa nel nostro paese la si credeva solo una leggenda proveniente dai lontani paesi dell’Oriente, non si aveva la minima idea di cosa fosse. Si credeva che fosse solo un tappeto magico fatto di comunissima stoffa, che con qualche parola magica si librava nel cielo.

Poi un alchimista viaggiatore ha fatto interessanti scoperte nella terra di Edan Synair. Io lo so: fu la nave in cui ero imbarcato a portarlo là, per cercare i segreti dell’antica alchimia della città perduta di Iubar e dei Giganti antidiluviani.
E lui mi rivelò alcune delle cose che aveva scoperto. Fu lui a farmi interessare ai segreti dell’alchimia misterica e dell’alchimia cosmica. Questo libro l’ha scritto lui. Nella terra di Edan

LOVECRAFT 184: L'ARRIVO DI ZAMACONA IN K'N-YAN (O XINAIAN).

sabato 30 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 157° pagina.


soprattutto per i pescatori ed i marinai. Provi ad immaginare quanto può essere utile il soccorso di un Tritone per le vittime di un naufragio, per fare un esempio».

«E a noi è utile l’amicizia dei Sileni e delle Fate, per motivi simili. Così come chi vive vicino al mare ha bisogno dell’amicizia del Popolo delle Acque, così chi vive vicino ai boschi, ha bisogno dell’amicizia del Popoli delle Foreste. E i montanari hanno bisogno dell’amicizia dei Nani, il Popolo delle Montagne».

Mentre salivano per il sentiero che portava all’eremo di Aralar, Velthur continuava a guardarsi attorno, sperando di vedere in lontananza fra gli alberi il riflesso rosso della pelliccia di Menkhu, continando a stringere il ciondolo in mano.

Solo in quel momento Aralar parve accorgersi dell’amuleto, che pure risaltava sul petto di Velthur per il suo scintillio argenteo e cristallino.

«Bello e strano quel ciondolo che porta al collo. Un antico simbolo alchemico, vero? Fa forse parte delle dottrine della sua religione?».

«Oh no, è un regalo di un amico. Non so neanche cosa significhi, esattamente».

Aralar lo guardò in modo strano, come se non fosse convinto di quello che gli aveva detto. Velthur ebbe l’impressione che l’eremita avesse fatto solo finta di non sapere cosa fosse il ciondolo, per metterlo alla prova. Forse, sapeva benissimo a cosa serviva, e perciò stava già sospettando di lui.

«Ne ho uno simile, anch’esso un dono di un amico».

Velthur si sentì mancare il terreno sotto i piedi, e si domandò se avrebbe dovuto prendere altre precauzioni, prima di andare con lui nell’eremo. Forse, un’arma non ci sarebbe stata male.

Alla fine arrivarono di fronte all’eremo, e a Velthur sembrò di entrare nella tana del lupo.

Quando Aralar aprì la piccola porta di legno, si sentì di nuovo quello spaventoso sentore di sostanze alchemiche. La luce di una lampada perenne lasciata scoperta illuminò un ambiente che apparve meno angusto di quanto Velthur si aspettava.

Stranamente, all’interno la casetta di pietra appariva più grande e spaziosa di quanto sembrasse dall’esterno.

Una parete di legno alla sinistra della porta separava l’eremo in due stanze, una più grande e l’altra più piccola, quella appunto di sinistra. La prima cosa che Velthur notò fu la grande libreria che occupava quasi tutta la parete opposta all’entrata, ricolma di volumi di ogni dimensione e colore.

In un angolo c’era un lettuccio miserevole, più un giaciglio con un sottile materassino di sacco riempito di paglia che un vero letto, presso il camino che si trovava sulla parete a destra della porta.

Un piccolo tavolo si trovava fra la libreria e il caminetto, e dava l’idea di servire sia come tavolo da pranzo che come scrivania. Infatti sotto aveva un cassetto che probabilmente conteneva carta, inchiostro e pennino..

«Non mi direte che vi siete portato tutti questi libri da Prini in una volta sola?».

«Ho avuto degli amici che mi hanno aiutato, amici che credevano in quello che facevo.Amici che avevano mezzi per aiutarmi. Uno di loro mi ha accompagnato qui, assieme a due suoi schiavi, con un grosso carro trainato da due buoi, carico di tutti i miei libri e i miei strumenti alchemici, i miei oggetti liturgici. Tutto quello che poteva servirmi.

E quando siamo arrivati qui, abbiamo trovato questa casetta nel bosco abbandonata da molto tempo, in rovina, in un luogo in cui non viveva nessuno e nessuno voleva abitare. Il monte appartiene a un athum che ha la villa oltre Aminthaisan, sulla strada per i monti, e che manco si interessa di questo luogo. Il mio amico paga il mio affitto qui, ma presto conto di pagarlo io, con i miei mezzi personali. Ho un laboratorio alchemico, dietro quella porta….».

«Sì, l’ho capito dall’odore, fin dal primo giorno che sono capitato qui davanti. Ma mi ricordo che l’altra volta che sono stato qui, con i miei amici, mi avete detto che producete miele, formaggio di capra e medicinali di erbe selvatiche».

«Oh sì, ma quelle cose non interessano tanto un ricco patrizio. Gli athumna sono interessati di più alle pozioni e agli strumenti alchemici, vogliono che qualcuno gli dia qualcosa di raro e prezioso, o di inusitato…. non so se mi spiego….».

«Trasmutazione o alterazione degli elementi?»

LOVECRAFT 183: CONFRONTI FRA "K'N-YAN", "LE MONTAGNE DELLA FOLLIA" E "LA...

venerdì 29 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" dI Pietro Trevisan: 156° pagina.


Ora tale culto verrà restaurato, ripristinato. Ricomincerà ad essere invocato come un tempo, e io sarò uno dei suoi sacerdoti. Egli ci spingerà alla conoscenza che regnava nel mondo prima del Diluvio, ma senza gli errori che fecero gli orgogliosi Giganti. E comincerà una nuova Età dell’Oro su Kellur!».

Mentre proferiva quelle parole, Velthur notò che il lampo di follia che pervadeva sempre il suo sguardo si era intensificato, e il suo tono di voce si era alterato. In quei momenti, il timore e la soggezione di Velthur cominciarono  a diventare un vero e proprio terrore.

Capiva di avere di fronte un fanatico religioso, in preda a un delirio di onnipotenza, che probabilmente tramava per rovesciare il potere teocratico del Veltyan con un nuovo culto.

Non era da escludere che, potesse essere legato a una società segreta religiosa capace di ogni sorta di delitto, pur di raggiungere i suoi scopi.

Ma nella sua follia, l’eremita si era accorto di aver parlato troppo. Appena aveva notato il timoroso e imbarazzato silenzio del dottore, riprese quell’aria sorridente che per Velthur spirava falsità da tutti i pori.

«Ma io vi sto annoiando. E poi siete un Avennar, lo so. Voi non potete condividere la mia fede, ma non dovete preoccuparvi. Io non sono uno di quei sacerdoti che guardano dall’alto in basso i seguaci di altre religioni. Io vorrei che nel nostro paese ci fosse un’assoluta libertà religiosa, che non ci fossero tutte le limitazioni che vengono date a chi non è fedele  al culto di Sil e degli Dei tradizionali. In fin dei conti, anche io seguo un’interpretazione molto personale della tradizione, come avrete capito».

«Già, l’ho intuito…. Magari è anche per questo che vi siete ritirato qui? Magari non piacevate alla gerarchia sacerdotale della vostra città? Qualche kamethei athumiakh non gradiva le sue dottrine eterodosse? So che da quelle parti ci sono molte sette esoteriche di cui fanno parte molti sacerdoti, seguaci di dottrine alchemiche e spiritualistiche segrete…..».

«Se permettete, quella è una parte della mia storia che vi racconterò quando ci saremo conosciuti meglio, se riusciremo a conoscerci….».

«Pensavo che voi cercaste la mia amicizia, senza ipoteche e senza remore….».

«Ma sì, certo, sì. Scusatemi, forse è stata la mia vita in mare che mi ha reso un po’ troppo sospettoso. Perdonatemi, dottore, ma non ho piacere a rivangare tutti i più brutti ricordi. L’imcomprensione che ho subìto dopo la mia ordinazione è una delle mie memorie più dolorose, seconda forse solo al mio disastroso viaggio alla ricerca della Terra Santa».

Velthur pensò che era bravo a inventare le scuse, come tutti i sacerdoti.

La conversazione si spostò su argomenti più neutri fino a quando non furono ai piedi del Monte Leccio. Il nervosismo e l’angoscia ripresero Velthur.

Cominciò a tormentare con le dita il misterioso amuleto che aveva ricevuto in dono da Prukhu, l’unica rassicurazione che possedeva al momento.

Poi sentì un richiamo nel bosco, un verso strano di una voce che non era né umana né animale, e che conosceva molto bene.

Lui e Menkhu erano d’accordo che, quando Velthur fosse giunto in prossimità dell’eremo, il giovane Sileno sarebbe stato là ad aspettarlo nel bosco, e avrebbe segnalato la sua presenza con il caratteristico grido dei Sileni.

«È pieno di Sileni qua attorno, non immaginavo quanti, quando sono arrivato qui».

«Sì, parecchi. Qui ai confini del regno ci sono boschi enormi, e quindi i Sileni prosperano.

Noi ci siamo abituati. La maggior parte sono schivi, non si fanno vedere spesso, altri invece convivono con gli Uomini, ma tutti loro qualche scambio con noi ce l’hanno, chi più, chi meno. E non ci sono mai stati motivi di contrasto con loro. Anzi, possiamo dire di essere sempre stati buoni amici».
«Dove vivevo io non c’erano né Sileni, né Fate, né Nani. In compenso, come vi ho detto, c’erano parecchi  Tritoni che si facevano vedere sulle spiagge e nei porti, o nei fiumi e nei canali.,. E anche se spesso uscitano molta paura, con il loro aspetto spaventoso, la loro amicizia è molto utile,

LOVECRAFT 182: L'ENTRATA NEL REGNO DI K'N-YAN

giovedì 28 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 155° pagina.


corrispondevano affatto alle terre che scoprimmo, e non sapemmo trovare niente. Gli scarsi indigeni che trovammo non seppero darci nessuna indicazione utile, perché non avevano mai sentito parlare della Montagna dalle Sette Balze. O forse, fecero finta di non saperne niente, perché non volevano che raggiungessimo un luogo sacro anche per loro.

Passammo tre anni in quelle terre esplorandole in lungo ed in largo, senza ottenerne alcun frutto. Almeno, non il tipo di frutti che volevamo.

Molti di noi morirono di malattia, altri ancora uccisi dagli indigeni, gente selvaggia e primitiva più che ogni altro popolo della Madre Terra.

Quando anche il nostro comandante morì in un incidente dopo aver perso il senno, ci arrendemmo e tornammo indietro, sconfitti e scoraggiati, convinti che gli Dei non volessero che noi raggiungessimo la Terra Santa. È stato allora che ho deciso di lasciare il mare e farmi ordinare sacerdote. Cercavo di dare un senso a quella ricerca che mi era costata anni della mia vita, mi aveva fatto perdere tanti amici e compagni e che apparentemente non mi aveva portato nulla. Ho cominciato a studiare i testi antichi.

Certo, anche prima leggevo molto, quando potevo. I viaggi in mare ti danno molto tempo per farlo. Quando arrivavo in un nuovo paese, cercavo di conoscere le tradizioni e le usanze del posto, e le sue leggende. Ho imparato molte lingue e moltissime cose, ho sfiorato innumerevoli misteri e segreti. Ero un amico dei Tritoni, come molti marinai, e dove mi capitava di incontrarli, cercavo di imparare da loro.

Molti hanno paura dei Tritoni, soprattutto quelli che non vivono vicino al mare, perché hanno un aspetto spaventoso. Ma sono molto saggi, perché sono la stirpe più antica di Kellur, e possiedono la conoscenza più grande. Ancora più dei Nani delle Montagne della Luna, ancora più delle Fate. Solo i Geni, gli Elfi della Luce del lontano Oriente, potrebbero stare alla loro pari nella sapienza, ma dei Geni non si sa più nulla da molto tempo, e molti dicono che siano del tutto estinti.

Quindi loro sono, ufficialmente, i detentori del maggior numero di segreti di questo mondo. E nei lunghi anni per mare ho imparato molte cose da loro, molti segreti.

Anche se nemmeno loro hanno saputo dirmi dove si trovi la Montagna dalle Sette Balze.

E quando sono tornato nella mia città sconfitto e umiliato, quando ormai tutti ci credevano morti, e non volevo più saperne di viaggi per mare, mi sono rivolto a loro, per dare un senso a quella sconfitta. Ci sono molti Tritoni nelle acque attorno a Prini, io sapevo come fare per incontrarli e parlare a loro.

E loro mi hanno detto che c’erano altre vie per varcare la Soglia dell’Altrove, che non era necessario raggiungere la Terra Santa per scoprire i mondi ultraterreni, e che forse la Terra Santa gli Uomini l’avrebbero raggiunta solo quando avrebbero imparato a guardare oltre se stessi già in questa vita, in questo mondo.

Ho attraversato una crisi profonda, ho pregato molto per avere un’illuminazione, e alla fine è arrivata. Ho compreso la mia strada e per meglio seguirla mi sono rifugiato qui, non lontano dai confini del Regno Aureo, dove potevo proseguire in pace i miei studi e la mia ricerca della Luce Divina».

«Una scelta strana. In questa provincia non c’è quasi niente di quello che può interessare un uomo di cultura. Qui non ci sono grandi centri di cultura, nemmeno grandi centri religiosi…».

«Ora uno ce n’è! E diventerà uno dei più importanti centri religiosi e forse anche dei più grandi centri culturali del paese!».

«Sì, è vero…. un’interessante coincidenza!».

«Le coincidenze non esistono. Esiste solo il disegno della Luce di Sil e di quella di Silen. È Silen che mi ha condotto qui, il Dio che governava il mondo prima del Diluvio.

I Giganti che scolpirono la Montagna dalle Sette Balze adoravano Silen, e la scolpirono credendo di adempiere alla Sua volontà! A quel tempo si chiamava Sin, e aveva anche allora come simbolo la falce di luna. Ma non era semplicemente il Dio della Luna come ora. Era il Dio Supremo, e il suo culto era sovrano in tutto il mondo.

LOVECRAFT 181: L'INIZIO DELL'AVVENTURA DI ZAMACONA IN "K'N-YAN".

mercoledì 27 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 154° pagina.


lontane. Ancora oggi, ogni tanto, faccio fantasie infantili di questo tipo. E ancora più spesso ho desiderato conoscere qualcuno che avesse fatto il navigatore».

«A me il mare ha segnato tutta la vita, e mi ha insegnato molto, ma ora sono contento di averci rinunciato. Ho voluto conquistare un orizzonte ancora più grande dell’oceano, un orizzonte che va oltre questo mondo».

«Non volete raccontarmi della vostra vita in mare?».

«Per voi lo faccio, se vi interessa. Sono nato e cresciuto presso la città di Prini, e quindi il mare l’ho visto fin da bambino, ma mio zio era uno scalpellino, mia madre una pescivendola. Mio padre invece, che avrò visto al massimo una decina di volte nella mia vita, era un marinaio e mi ha trasmesso la passione per i viaggi in mare. I miei genitori non erano sposati, i marinai non si sposano con nessuno, nemmeno con il “matrimonio notturno”, si sa, ma ogni tanto si faceva vedere e mi raccontava dei suoi viaggi.

Quelle poche volte che lo vidi, fra un viaggio e l’altro, mi raccontò storie incredibili su paesi lontani oltre l’Oceano Meridionale, e così decisi di seguirne le orme, con grande dispiacere di mia madre e di tutta la sua famiglia.

Avevo il sogno di diventare ricco, di ritornare dai miei viaggi pieno di soldi e di tesori conquistati in lontani paesi, ma erano solo i sogni di un ragazzino. Altri erano i tesori che avrei conquistato: i tesori della conoscenza.

C’è chi percorre le rotte oceaniche solo per poter trovare nuovi mercati con altri paesi e guadagnare soldi e ricchezze in quantità, ma c’è anche chi naviga per conoscere il mondo, per svelare le frontiere dell’ignoto e aumentare la conoscenza del nostro popolo, o per riscoprire antichi segreti dimenticati dai tempi del Diluvio.

Io sono partito con vuoti sogni di ricchezza, e sono tornato con un grande bagaglio di conoscenza che ho voluto mettere a frutto per il bene di tutti e per adempiere alla volontà di Sil.

Ho visto le isole paradisiache dei Mari del Sud, lussureggianti di fiori e di frutta e abitate da selvaggi dalla pelle scurissima, e ho visto gli accampamenti dei nomadi della grande isola desertica di Edan Synair, e ho visto i templi di smeraldo nascosti nelle giungle dell’altrettanto vasta isola di Lankar, dove i Tritoni emergono dalle acque ogni mattina per aggirarsi fra paludi e foreste.

Ho incontrato i Sacerdoti della Fiamma, adoratori di Uri Manelka, il Signore della Luce e della Fiamma, nei misteriosi altipiani d’Oriente, e là ho visto prodigi e misteri.

Ho visto le calde terre dell’Occidente da dove vennero i superstiti dei Giganti secoli fa, e ho visto le ciclopiche rovine delle loro antiche città. Sono stato persino nell’Estremo Sud del mondo, là dove ormai non vive quasi più nessuno, dove si dice che si trova la Montagna dalle Sette Balze, dove furono creati i primi Uomini in un passato immemorabile….».

«E l’avete vista???».

«No, purtroppo no. Feci parte di una spedizione che era partita proprio per cercarla. Il comandante era un uomo molto religioso. Cercava la Terra Santa dove gli Uomini possono toccare il Cielo degli Dei. Molti marinai cercano la Terra Santa nella speranza di poter parlare con gli Dei stessi e accedere alla visione di Sil su questa terra. È il grande miraggio dei marinai thyrseniakh, il grande sogno che tutti vorremmo realizzare, ma che per il momento nessuno ha conquistato.

O almeno, nessuno che si sappia. Alcuni dicono che se uno raggiunge la Terra Santa e scala la Montagna delle Sette Balze, poi non può più tornare in questo mondo, perché ormai fa parte del Regno degli Dei.

Credevamo di poter raggiungere la beatitudine eterna, quando siamo partiti, e non c’importava di non tornare più indietro. Eravamo tutti mossi da una grande fede, ed eravamo disposti a morire, piuttosto che tornare indietro a mani vuote.
Ma la volontà degli Dei non fu con noi. Raggiungemmo il Mare Mediterraneo Australe, chiuso fra il continente australe di Gonlemur e quello antartico di Amentur. Le antiche carte dicevano che era là la via d’accesso per raggiungere la Terra Santa, risalendo il corso di un fiume e attraversando una grande pianura, fino a giungere a una catena di montagne che delimitavano una distesa di ghiacci, ma prima di raggiungere quel luogo, ci perdemmo. Le mappe antiche che avevamo non

LOVECRAFT 180: IL CIONDOLO E IL CILINDRO DI METALLO-TULU IN "K'N-YAN"

lunedì 25 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 153° pagina.


«Ormai ho tradotto una buona parte dei testi incisi sulle pareti del santuario. Come si era immaginato, narra la storia di Anemexin, il Gigante cristallizzato nella sua tomba sotto la statua di Silen. Una cosa molto interessante, sapete?».

«Ah, non ne dubito! Potete darmi qualche anticipazione?».

«Da quel che sono riuscito a capire, era il signore della città di Allathrin, che sorgeva da queste parti, verso sud-est, da quel che ho capito. Credo che da quelle parti siano state ritrovate alcune rovine, infatti.

Comunque era una grande città antidiluviana che faceva parte del grande impero dei Giganti, come tutte le città di quel tempo, a quel che dicono le antiche cronache.

La nobiltà era tutta costituita dai Giganti, signori del mondo, e il popolo e gli schiavi erano tutti invece della stirpe degli Uomini.

Da quel che sono riuscito a capire, visse parecchi anni prima del Diluvio, credo che sia morto circa due secoli prima del cataclisma.  Fu un grande e potente guerriero, combatté e vinse molte battaglie. Dai testi del santuario, sembra che in quel tempo ci sia stata una grande guerra in queste terre, in cui alcune province si erano ribellate contro il millenario dominio dell’impero gigantico.

Anemexin, fedele al Gran Re dei Giganti, sedò le rivolte e riaffermò il potere imperiale. Perciò fu considerato un grande eroe.

Poi successe qualcosa…. non ho tradotto tutto, ma gli fu fatto un dono importante da un Nano delle Montagne della Luna, dello Zerennal Baras, l’antichissimo regno del Giardino delle Rose.

A quel tempo, i Nani erano alleati dei Giganti, ma erano riusciti a mantenere una certa indipendenza, a differenza degli Uomini.

Comunque, questo Nano era un Mastro Alchimista che volle donare qualcosa di grande valore al Signore di Allathrin. Un oggetto alchemico, senza dubbio. Qualcosa che però ha provocato la morte dello stesso Anemexin, ma non sono ancora riuscito a capire come.

Sapete, ho tradotto brani qua e là, senza partire dall’inizio per arrivare alla fine, ma in base ai brani che mi sembravano più facili da capire».

«So che ci sono altri studiosi che stanno traducendo i testi del Santuario di Silen. Riuscirete ad arrivare prima di loro, a finire?».

«Oh, non lo so e non m’importa. A me interessa sapere quanto più possibile su quel tempio, non cerco di dimostrarmi migliore di nessuno. Ho abbandonato i lussi e gli inutili orpelli del mondo civile per dedicarmi solo alla ricerca della Luce di Sil, cercare la verità solo per glorificare se stessi è un allontanarsi da quella Luce.

È la passione per la verità per se stessa che mi guida, e deve essere solo quella. Un tempo cercavo la gloria, ma quei tempi sono passati, da quando fui ordinato kamethei etariakh un paio d’anni fa. Non ho deciso subito di farmi eremita, ma dopo qualche tempo mi sono accorto che per separare la mia anima dall’attaccamento alla gloria del mondo e ai suoi vizi, dovevo trovare un luogo che fosse lontano da inutili tentazioni che mi potevano allontanare di nuovo da Sil».

«Lo dite come se il vostro passato fosse stato pieno di vizi e malvagità».

«Grandi malvagità, per fortuna, no. Ma vizi, molti. Soprattutto il vizio dell’avidità di gloria, ricchezza, sete di emozioni forti e desiderio di prevaricazione.

Fin da giovane, ho perseguito una vita di avventure. Ho fatto il navigatore per molti anni, fin dall’età di quattordici anni, quando mi imbarcai come mozzo su una nave diretta verso le isole dei Mari del Sud, in regioni lontanissime di Kellur…. Ho avuto una gioventù senza regole, né virtù, a parte forse il coraggio di affrontare il pericolo».

In quel momento, i due uscirono dalla galleria, in quel pallido mattino nuvoloso del mese dell’Aquila, e a Velthur parve di aver trovato l’appiglio giusto per conoscere meglio Aralar.
«Ma davvero? Non ho mai conosciuto nessuno che avesse fatto il marinaio. Sapete, qua siamo lontani dal mare. Ho avuto occasione una sola volta nella mia vita di vederlo, il mare, quando ero giovane e feci un viaggio a Enexi, quando mio zio mi premiò per essere riuscito a diventare un medico. Fu un’esperienza che mi segnò molto. Sia la città che il mare, mi segnarono molto, non l’ho mai dimenticato. Da giovane ho fantasticato spesso di fare il navigatore e di raggiungere terre

LOVECRAFT 179: LA VICENDA DEI FRATELLI CLAY IN "K'N-YAN".

domenica 24 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 152° pagina.


I Thyrsenna nei templi pregavano in piedi, tenendo le braccia aperte in avanti, con i palmi verso l’alto, oppure seduti a gambe incrociate sempre con le braccia tese in avanti. Era del tutto estraneo alla loro cultura l’inginocchiarsi o accomodarsi su una sedia. Infatti non c’erano mai seggiole o scranni o inginocchiatoi nei loro templi, come non ce n’erano neanche in quello, che risaliva a tempi in cui i Thyrsenna non esistevano ancora.

Sul momento, Velthur non lo notò neanche, perché era assieme a una mezza dozzina di altri pellegrini del pari seduti dietro l’altare, impegnati in una litania di invocazione al Toro dei Cieli.

Era un uomo piccolo, minuto e dall’aria banalissima. Uno che avresti pensato essere un pescivendolo  o il gestore di un banco di bevande sulla piazza, non certo un colto e solitario Reverendo Padre rinchiuso che viveva fra il suo eremo e i templi vicini. Solo la sua barba troppo lunga denotava il suo carattere sacrale. E in mezzo alla massa dei pellegrini, dove si vedeva tutto e il contrario di tutto, era ancora più difficile da notare.

L’unica cosa per cui si distingueva in qualche modo dalla massa, era che non stava facendo le stesse cose che facevano gli altri devoti fedeli, fossero essi sacerdoti o laici.

Tutti i fedeli rivolgevano lo sguardo alla grande statua d’ambra ed elettro del Dio-Toro, come rapiti dalla magnificenza di quella grandiosa immagine, e lo invocavano nella lingua dei Thyrsenna.

Aralar invece teneva gli occhi chiusi, e lentamente pronunciava una litania strana, con parole incomprensibili, in una strana lingua straniera che sul momento Velthur non riconobbe.

Quella vista fece sentire al dottore una vera e propria soggezione.

C’era qualcosa di così solenne, di così spirituale nell’atteggiamento di Aralar, che gli dette l’impressione che quel piccolo, strambo ometto fosse davvero un uomo di sincera spiritualità.

Velthur non credeva alla devozione alle immagini degli Dei. Per lui, quella era solo una statua splendida ma vuota.

Nessuna forza divina vi si annidava invisibilmente, né si esprimeva attraverso essa, e quel luogo era sacro solo per le preghiere dei fedeli, non perché vi abitasse in modo particolare la divinità, che per l’Aventry abitava invece ugualmente in ogni luogo, in modo impersonale e muto.

Eppure, in quel luogo magico, di fronte a quell’uomo misterioso che faceva cose misteriose, gli venne il timore di interromperlo, di disturbarlo nella sua strana preghiera, come se lui non avesse il diritto di distoglierlo dal culto a una forza sconosciuta, alla cui inesistenza ora non riusciva a credere del tutto.

L’ignoto è il non sapere, e il non sapere, l’ignoranza, la non certezza, ti espone alla fede, perché fede e dubbio vanno di pari passo e anzi sono le due facce di una sola medaglia.

Solo chi non sa con certezza ha dubbi, e solo chi ha dubbi è condannato a credere, così come chi crede è condannato al dubbio.

E il dubbio porta a volte indirettamente alla paura e al reverente timore per forze ignote che governano l’universo.

Velthur non riuscì a superare quel timore, e ristette ai bordi della breve scalinata che collegava l’altare dell’entrata alla gigantesca statua, in attesa che Aralar finisse le sue preghiere e i suoi riti di devozione, e si decidesse ad aprire gli occhi ed accorgersi di lui.

Non dovette aspettare molto.

Dopo pochi minuti l’eremita aprì gli occhi e volse lo sguardo alla sua destra, dove c’era Velthur in piedi, come se avesse sentito la sua presenza, e gli fece il solito ampio sorriso con cui salutava sempre tutti.

Avrebbe preferito che l’avesse guardato con fastidio. Quel sorriso aveva qualcosa di inquietante. Il modo in cui mostrava quella lunga fila di grossi denti aveva qualcosa che lo faceva rassomigliare al digrignare di una belva.

Aralar si alzò e gli si avvicinò, dicendo che aveva finito le sue orazioni e le sue offerte a Silen, e che potevano avviarsi verso l’eremo.

Mentre passavano per la galleria, si misero a parlare proprio dell’ipogeo, e di quello che bolliva in pentola al riguardo.

LOVECRAFT 178: IL MISTERO DI "KN'YAN" É RIVELATO FIN DALLE PRIME PAGINE

sabato 23 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 151° pagina.


CAP. XV: IL LIBRO MALEDETTO



 Ormai, tutte le mattine di usiltin l’eremita veniva là, al Santuario di Silen, e nessuno poteva insospettirsi della cosa o trovarla strana, perché appariva solo come un Reverendo Padre devoto al culto di quella divinità ormai poco invocata, e ritornata improvvisamente in auge per il ritrovamento di quel misterioso ipogeo.

Anzi, l’eremita Aralar appariva come il meno stravagante dei visitatori del tempio, su cui avevano cominciato a fiondarsi i seguaci di ogni setta esoterica, sedicenti studiosi che avanzavano le loro personali e strampalate teorie sui tempi prima del Diluvio e sulla misteriosa civiltà dei Giganti che aveva dominato il mondo.

Aralar invece appariva come un religioso che veniva lì solo per pregare e fare offerte a Silen.

Il dottore e l’eremita si erano messi d’accordo di incontrarsi là, e dopo si sarebbero recati assieme all’eremo di Monte Leccio.

Quando arrivò all’entrata del tempio, notò come le cose stessero cambiando rapidamente, nel luogo. Gli Akapri avevano ripulito e sistemato l’entrata, allargato e spianato il sentiero, e lo stavano anche lastricando, per prepararlo alla visita della Regina dei Thyrsenna, che ormai pareva certa e prossima.

Due guardie stavano all’entrata per controllare il flusso dei pellegrini, che a ogni usiltin diventavano sempre più numerosi, e stavano diventando troppi per essere comodamente accolti nelle locande dei paesi vicini e nelle fattorie che offrivano le loro camere in affitto, o semplicemente la loro ospitalità.

Ormai le notti diventavano fredde, e l’unica era organizzare dei campeggi con delle tende nei campi attorno, per accogliere quella variopinta massa umana che veniva da luoghi sempre più lontani.

Sotto i filari di alberi attorno alla Polenta Verde si vedevano infatti bivacchi approntati alla meno peggio, di povera gente o giovani mistici sbandati che erano giunti là solo con le loro bisacce, a piedi o con i loro carri trainati da asini, per dare lavoro e preoccupazione agli Akapri, che se da un lato gioivano per le offerte al tempio che calavano nelle loro tasche, dall’altro erano preoccupati e infastiditi per i danni e i piccoli furti che subivano a causa di tutti quei visitatori ospitati nei loro campi.

Infatti, avevano assunto alcuni sorveglianti che tenessero d’occhio, per quanto possibile, i loro possedimenti.

Il guaio era che, per i Thyrsenna, i pellegrini erano una delle categorie più intoccabili del paese. La sola idea di sbarrare o limitare l’accesso di un luogo sacro a dei pellegrini, soprattutto se poveri, era una vera offesa agli Dei.

Dire ai pellegrini che dovevano arrangiarsi e starsene alla larga durante la notte dai campi degli Akapri, o peggio ancora impedirgli di accedere alle loro proprietà, sarebbe stata un’onta vergognosa che avrebbe suscitato come minimo una rivolta popolare.

Quindi gli Akapri dovevano fare del loro meglio ed erano liberi di ricorrere ad ogni mezzo per controllare la situazione, ma a patto di lasciare ai fedeli di andare e venire quando, dove e come volevano.

Per la famiglia di Maxtran, la vita tranquilla era finita per sempre.

Nella galleria dell’entrata era stata sistemata una fila di lampade perenni e il passaggio era stato ripulito dai detriti. Al posto del silenzio di tomba che aveva sentito la prima volta che era entrato là con le autorità del paese, ora riecheggiavano gli echi delle litanie di preghiera e degli strumenti musicali che le accompagnavano.

Cosa che anziché rendere l’atmosfera più familiare e serena, contribuiva a rendere il tutto ancora più inquietante ed anomalo. Sembrava che il luogo avesse una stranissima acustica che creava una eco continua e vibrante, che faceva apparire le voci dei fedeli come versi inumani o lamenti d’oltretomba. E quel chiarore rosso-arancio in fondo alla galleria dava poi l’impressione di una specie di fornace, o dell’interno di un vulcano.

Velthur incontrò Aralar che stava pregando proprio dietro l’altare dell’entrata, seduto per terra.

LOVECRAFT 177: ANALISI DELL'INCIPIENTE ORRORE IN "KN'YAN"

venerdì 22 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 150° pagina.


Certo, avrebbe preferito che le Tre Madri del Fato gli avessero specificato che cosa andare a cercare in quel libro, e perché. Ma probabilmente sarebbe stato chiedere troppo. Se il libro parlava dei misteri dell’Altrove, probabilmente nessuna Fata sarebbe stata capace di dirgli con esattezza ciò che vi era contenuto. Probabilmente, le Tre Madri del Fato avevano visto nei pensieri di Aralar Alpan il nome del libro, ma non quello che c’era scritto. O magari le aveva così spaventate da non poter più leggere nei suoi pensieri.

O forse semplicemente avevano visto nel futuro dell’eremita che quel libro aveva un posto importante in quello che avrebbe fatto.

Dopo soli cinque giorni, a sorpresa arrivò la risposta da Keilin. Il garzone della stazione dei cavalli era venuto di buon mattino a portargli la risposta.

Velthur restò molto colpito nel leggere la lettera.



Caro e Stimato Amico,

che strana coincidenza che tu mi abbia chiesto proprio adesso di quel libro! Ti ricorderai che vicino a casa mia, nella Piazza delle Spezie, c’è un rinomato libraio che fa anche lo stampatore di tanto in tanto. Mi ha annunciato che sta per pubblicare un classico dell’alchimia misterica del XXVIII secolo, un’edizione di una cinquantina di copie, proprio per gli estimatori del genere, che pare che stiano aumentando di numero.

E indovina: è proprio il libro che vuoi tu! Ti ho subito prenotato una copia, e lui mi ha detto che comincerà la stampatura del libro a giorni, non appena avrà finito di incidere i rulli per la stampa.

Credo che fra un paio di settimane potrai venire qui per ritirare la tua copia. Ho già pagato io la caparra, mi resta solo da chiedere ad Amani se può sostituirti di nuovo.

Penso che non debba avere problemi a farlo, ma sai anche che qui ad Enkar ce ne sono fin troppi di giovani medici che cercano ancora di farsi una clientela, quindi se non sarà lei ce ne saranno altri dieci pronti a farlo.

Spero tanto di vederti presto, anche perché sono curioso di sapere come mai t’interessa quel libro e perché sia così importante per te.

La mia mano sinistra sul tuo cuore, amico mio.



Keilin Thesan da Enkar.



Il caso non esiste, si disse Velthur pensando a quello che aveva letto. Ma non immaginava che non esistesse fino a questo punto. Si domandò anche cosa avrebbe raccontato a Keilin. Certamente non poteva raccontargli che lui voleva il libro perché tre Regine delle Fate gli avevano detto che doveva leggerlo per capire gli intenti di un folle eremita che cercava una via d’accesso all’Altrove e che così stava attirando ad Arethyan forze occulte forse foriere di follia e distruzione.

Ma d’altra parte non avrebbe neanche potuto raccontargli soltanto che si trattava di pura curiosità e cultura personale. Keilin lo conosceva troppo bene per credere a una panzana del genere.

Alla fine decise che gli avrebbe raccontato che pensava che fosse in azione nella zona una setta esoterica che si richiamava a quel libro e che pareva legata a una strana figura di eremita. La bugia migliore, si sa, è quella che è una mezza verità, perché le dà la veste della verosimiglianza.

Ma inventare scuse per gli amici era, al momento, l’ultimo dei suoi problemi.

Il primo, era riuscire a non sentire un’insopprimibile angoscia all’idea di andare a trovare quel piccolo, viscido eremita nella sua tana.

LOVECRAFT 176: L'ALBA DELL'ORRORE DI "KN'YAN"

giovedì 21 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 149° pagina.


«L’unico modo per farlo sarebbe…. andarmene. Non possiamo sostenere una conversazione con una persona senza leggerle dentro. Mentre parlo con te, vedo l’immagine di quella cosa….. è insopportabile l’angoscia che mi da. Mi sento mancare la terra sotto i piedi….. ti prego, mettila via».

«No. Ci vediamo, Azyel. Salutami le tue auguste sovrane!».

E se ne andò verso casa, soddisfatto, continuando a rimirare lo scintillante amuleto a tetraedro, pensando che gli sarebbe piaciuto scoprire cosa c’era, in quella mutevole e strana figura, che metteva tanto a disagio il popolo fatato. E come era possibile che suscitasse in loro un’istintiva paura e confusione.

Quando fu arrivato, cominciò subito a scrivere una lettera al suo giovane amico Keilin Thesan, con un’altra richiesta da fargli.





Caro Amico,

ti ringrazio ancora di avermi mandato la tua giovane amica Amani Irizar che tanto gentilmente mi ha sostituito al mio lavoro durante il mio viaggio alle Colline di Leukun. Ora ho un’altra richiesta da farti, nella speranza che non ti sia gravosa o fastidiosa.

Tu sai bene come io sia spesso impegnato in ricerche di libri antichi e misteriosi, e nello studio di dottrine misteriche per amore della cultura, oltre che per mia curiosità personale.

Di recente mi è stata consigliata la lettura di un testo di cui ho sentito parlare, ma che non ho mai potuto tenere tra le mani, un libro appunto di alchimia misterica e cosmologica, che so essere abbastanza raro.

Tale volume è Le Dottrine Misteriche di Cthuchulcha, e vorrei sapere se è possibile acquistarlo in qualche libreria di Enkar. Se per caso lo trovassi, o se mi dessi utili indicazioni per trovarlo, ti prego di comunicarmelo appena possibile, in modo che possa recarmi prima possibile ad Enkar per acquistarlo. Sono disposto a pagare anche cifre elevate, pur di averne una copia. Non ti chiedo di acquistarlo tu, né tantomeno di inviarmelo per posta, sia per non darti ulteriori oneri, sia perché non venga rovinato nel viaggio, sia perché ho voglia di vederti e rivedere Enkar.

Anche se preferisco vivere in campagna, ogni tanto ho bisogno di rivedere la città e guardarmi attorno nella folla e nella varietà della vita cittadina.

Tra l’altro, ho bisogno di parlare con qualche correligionario. Anche se la gente qui ha imparato ad accettare il fatto che sia seguace di un’altra religione, non c’è una sola persona nel raggio di parecchi chilometri che non solo sia un Avennar, ma che sia anche solo interessata all’Aventry.

Qualche giorno fa, ho conosciuto una ragazza di Tulvanth, un fatiscente buco ai confini della civiltà, che sorprendentemente si è dimostrata interessata all’Aventry, un caso incredibile, più unico che raro in tanti anni che vivo qui.

Sarò anche felice di venire sostituito di nuovo dalla tua amica, la dottoressa Irizar, che tanto egregiamente ha saputo sostituirmi, sempre se lei sia ancora d’accordo, ma immagino di sì, dato che è rimasta tanto affascinata dal Santuario di Silen, a tal punto che ha espresso l’intenzione di tornare a visitarlo quanto prima.

Sperando di non darti troppo fastidio con le mie richieste, e confidando che saprai darmi notizie utili, ti saluto. Ti assicuro che si tratta di una cosa molto importante per me, altrimenti non mi sarei permesso di molestarti ulteriormente.

La mia mano sinistra sul tuo cuore, amico mio.



Velthur Laran da Sartiuna.



Il giorno dopo, il dottore incaricò la signora Mendibur di portare la missiva alla stazione dei cavalli.

Avrebbe aspettato per una settimana la risposta di Keilin, dopodiché avrebbe cominciato a cercare quel libro per altre vie e tramite altre conoscenze.

LOVECRAFT 175: GLI INSOLITI FANTASMI DI "KN'YAN"

mercoledì 20 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 148° pagina.


Non riesco neanche a capire come voi Uomini possiate credere a queste cose, e infatti per fortuna voi Avennarna siete in pochi, anche se un giorno potreste diventare numerosi. Anzi, le Tre Madri del Fato dicono che in un futuro lontano, molto lontano per fortuna, voi lo diventerete.

Ma temo che per occuparti di questo mistero, per combattere gli intrusi dell’Altrove, dovrai rinunciare ad alcune tue convinzioni, o rivederle».

«Finora non ho dovuto farlo. È vero che usando la ragione finora non è che abbia capito molto, ma penso che non capirei molto di più se seguissi il vostro strano modo di pensare».

«Il bambino è vicino a noi, te l’ho detto. É un bambino delle Fate. La leggenda dei bambini umani scambiati nelle culle dalle Fate è nata da quei bambini molto sognatori e un po’ stravaganti, di animo solitario, che hanno una particolare dimestichezza con il nostro mondo.

Bambini che si sentono attratti da noi, che possono entrare nel nostro regno e comprenderci come non può fare nessun altro Uomo. Il suo destino è di diventare un nostro amico ed alleato, come è successo a tanti altri prima di lui».

«È proprio quello che voglio impedire! Voglio che Erkan abbia una vita normale, in mezzo agli altri Uomini, non che vada di notte nei boschi a partecipare a strane orge in preda a bevande drogate, a seguire strani culti che confondono le idee, che segua strane manie e strani comportamenti che lo allontanerebbero dai suoi simili, che lo renderebbero uno stregone di campagna emarginato di giorno nei villaggi e di notte consigliere di tutti gli ipocriti, costretto la sera a ricevere in casa quelle stesse persone che di giorno lo guarderebbero con rifiuto e sospetto, facendosi pagare per servigi come leggere il futuro o lanciare un maleficio sul vicino del contadino che gli regala i polli e le mele! Non potrete mai chiedermi di accettare una vita così, per lui!».

«È il suo destino, la sua natura. Lui crescerà e diventerà un nostro compagno. Fra qualche anno parteciperà per la prima volta al belk sulle Colline di Leukun, altrimenti avrà una vita infelice. Anche se sembrerà un Uomo come tutti gli altri, non sarà felice della sua vita, la vita degli Uomini del Veltyan.  Se riuscirai ad impedirgli di esserci amico, farai la sua infelicità».

«E sarebbe felice, vivendo la vita voluta da voi???».

«Non la vita voluta da noi, ma voluta da lui, o meglio dal suo Fato. Ogni creatura vuole adempiere al suo Fato, anche se magari crede di volere qualcos’altro. Anche tu vuoi adempiere al tuo Fato, ma credi di dover perseguire altre cose. Per questo sei sempre inquieto e angosciato, insoddisfatto. La posso sentire sempre, la tua insoddisfazione, la tua inquietudine. È la prima cosa che si legge di te, ce l’hai scritto in profondità nella tua anima».

«Scommetto che fra poco mi dirai che devo venire anche io al belk, magari per accompagnare il povero Erkan!».

«Oh no, non ho la pretesa di fare di te un nostro seguace. È già tanto che tu sia diventato un nostro alleato. Lo so, noi non ti piacciamo tanto. Però penso che tu potresti capirci e accettarci meglio, e che questo ti aiuterebbe nel tuo compito. Forse, se tu capissi meglio noi e quello che stiamo cercando di dirti, forse potresti arrivare a capire meglio cosa ci minaccia tutti quanti».

«Per il momento, considero una minaccia che un giorno Erkan possa partecipare al belk, e siccome mi dà fastidio che tu sia qui, e che spii le mie mosse, e che magari leggi nel mio pensiero, penso che ricorrerò al rimedio che mi ha regalato il mio amico Prukhu….».

Velthur tirò fuori dalla tasca della sua bisaccia da medico il ciondolo di argento alchemico che gli aveva regalato il vecchio Sileno, e se lo mise al collo, stringendolo tra le dita, e guardandolo con soddisfazione. Era il momento di scoprire quanto efficace poteva essere contro le menti troppo curiose del popolo fatato.

La voce di Azyel si fece soffocata, incerta, ansimante.

«Questo… è un colpo basso, dottore…».

«Colpo basso? Io lo chiamerei legittima difesa. E poi, dovevo scoprire se quello che mi aveva detto Prukhu su questo aggeggino era vero».

«Drammaticamente vero, dottore….. per favore, mettila via, non continuare a fissarlo».

«E tu smettila di guardarmi dentro la testa! Per favore!».

LOVECRAFT 174: L'INIZIO DI "KN'YAN"

martedì 19 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 147° pagina.


A quel punto Velthur pensò che l’unica cosa che poteva fare è tornarsene a casa, se Larsin non si era calmato. Tornò quindi verso il cortile della fattoria, e scoprì con troppo poco sollievo che era tornata la calma.

Trovò Syndrieli che gli disse che dopo il litigio, Larsin se ne era andato per i fatti suoi, e che lei sperava che non tornasse per cena, e che magari non tornasse più.

Lo ringraziò di essersi parato a difesa di Erkan, e Velthur le confidò che era preoccupato per il bambino tanto quanto che per suo padre, e le spiegò il motivo.

«Forse quelli di Erkan non sono incubi e basta».

«È arrivato a dirmi che mentre lui sentiva rumore di zoccoli per tutta la casa, voi non eravate capaci di svegliarvi. Non una, ma molte volte. Ti sembra possibile?».

«Non lo so. Perché prima che sparisse Thymrel avevo un incubo ricorrente anche io. Sognavo che qualcuno bussava insistentemente alla porta, facendo un gran baccano. Io mi svegliavo ogni volta, e ascoltavo per sentire qualche strano rumore, ma invece sentivo sempre il silenzio più assoluto. Una volta mi sono alzata addirittura per vedere se avevo sognato o meno. Da quanto Thymrel è scomparsa, quel sogno non lo faccio più».

Sono uno stupido che fa un errore dietro l’altro, si disse Velthur.

Syndrieli non era stata la persona giusta per raccontare quella storia, come non lo sarebbe stata neanche la matriarca Aranthi, insufflata di superstizioni più di tutti gli altri.

Una donna piena di superstizioni religiose poteva considerare i problemi di Erkan solo nel modo sbagliato: cioè come qualcosa di reale.

L’unica cosa che restava da fare forse era cercare di parlare con Larsin, per occuparsi dei suoi, di problemi. Forse, se Larsin fosse uscito dal suo malessere, anche Erkan sarebbe uscito dal suo.

Le promise che avrebbe cercato di parlare con lui per spingerlo a smettere di bere e a farsi forza nella speranza di poter scoprire cosa era successo a Thymrel.

Per la prima volta Syndrieli guardò con favore il dottore, e forse in lei cominciò ad insinuarsi il sospetto che anche una persona che non credeva negli Dei della tradizione poteva essere buona.

Poco dopo, se ne andò verso casa, e mentre costeggiava il boschetto di noci fra la fattoria dei Ferstran e il paese, colse fra gli alberi un’ombra, che non appena guardò, si trasformò nella sagoma di Azyel. Mentre il vestito verde-marrone quasi lo mimetizzava fra i tronchi e il muschio sulle cortecce, la lunga barba bianca, dagli strani riflessi azzurro-ghiaccio, e gli occhi neri dal bagliore giallo-arancio, ne facevano risaltare il volto come qualcosa di innaturale in mezzo ad oggetti naturalissimi.

Se ne stava lì appoggiato al tronco di un noce, con un fare strafottente.

«Dì la verità, Azyel. Mi stavi spiando alla fattoria dei Ferstran?».

«Il bambino non mente, dottore».

«Hai letto i miei pensieri, o ci hai spiato dall’alto della tua invisibilità?».

«Che differenza fa? Comunque sì, vi ho ascoltati, come ho ascoltato la tua discussione con Larsin Arayan. E ti posso dire che Erkan dice la verità. O almeno quella che lui crede essere la verità».

«Allora è un visionario. Se è in buona fede, allora soffre di allucinazioni, o confonde i sogni con la realtà».

«Lo è per te, Velthur. Non lo è per noi. Quello che ha visto ha un significato, riguarda qualcosa di reale, di vero. Il bambino è vicino a noi, vicino al nostro regno. Noi non possiamo ignorare quello che ha visto. È il segno di qualcosa di importante».

«Su questa strada io non vi seguirò mai. Erkan è un bambino infelice perché ha visto suo padre cambiare a causa di una disgrazia. Io, che sono un medico, la devo vedere in questo modo Tutto qui».

«Oh, lo so. Conosco la tua religione filosofica, dottore, anche se non la capisco. L’Aventry, che non crede negli Dei, nelle visioni, nei miracoli, ma solo in un mondo governato da una Legge Universale “secondo ragione”, e che ci imporrebbe di essere altrettanto razionali.

LOVECRAFT 173: "KN'YAN" O "XINAIAN", IL REGNO SOTTERRANEO

lunedì 18 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 146° pagina.


appena avessi visto qualcosa. Ho dato un’occhiata verso il boschetto dei noci, quello vicino al sentiero che porta alla strada lastricata e allora…. l’ho visto».

Erkan si interruppe, ansimando. Sembrava fosse sul punto di mettersi a piangere dalla paura.

«Hai visto quello degli zoccoli? O quello che parlava a Thymrel? O tutti e due?».

«Non lo so che cosa ho visto! O forse sì… ma è una cosa che non capisco. Per prima cosa, ho visto quello che Thymrel aveva ricamato sulla tovaglia turchese: il grande cervo bianco con le corna, gli occhi e gli zoccoli rossi. Se ne stava là, immobile ed enorme vicino agli alberi. È comparso improvvisamente dal buio, in una specie di chiarore. Prima era tutto immerso nel buio, perché era una notte senza luna, e poi ho visto quel chiarore rosso e bianco, ed è comparso lui, grande e grosso come un cavallo da traino…. Non era un cervo, ma qualcosa che gli somigliava molto. Le sue corna erano enormi come lui, sembravano fatte di sangue, ma erano proprio le corna di un cervo, e così i suoi zoccoli…. E io sono rimasto di nuovo paralizzato, dalla paura e anche dalla meraviglia, perché era terrificante, ma anche bellissimo…. e poi, poi è venuto l’altro! E lì mi sono sentito impazzire dal terrore! Allora sì che è stato terrificante!».

E questa volta scoppiò proprio a piangere.

«Lo so che voi non mi potete credere! È una cosa stranissima, quella che ho visto! Stranissima, terribile e meravigliosa! La vedo tutte le notti, appena chiudo gli occhi vedo quella scena! Il cervo bianco continuava a fissare nella mia direzione, come se stesse aspettando di vedere cosa facevo, e improvvisamente alla sinistra ho visto un’ombra nera, e un lampo dorato, e ho visto una figura saltare addosso al cervo e farlo barcollare! Ho visto il Grande Caprone Nero saltare addosso al cervo bianco e dargli delle cornate incredibili!».

«Il Grande Caprone Nero…??? Intendi dire il Capro Nero delle Fate? Il loro Dio?».

«Sembrava lui! Un caprone o uno stambecco, non lo so…. era tutto nero, e aveva queste due magnifiche corna…. Tutte d’oro. E anche i suoi zoccoli erano d’oro, e anche i suoi occhi. Anche lui enorme e bellissimo, ma oscuro. Sembravano fratelli, in un certo senso. Fratelli che si odiavano.

Il Caprone Nero dava le cornate sul fianco del cervo, fino a quando il cervo bianco ha reagito, e ha cominciato a combattere anche lui. Sentivo il cozzare delle corna le une contro le altre. Come oro con il sangue. E mentre combattevano muggivano, ma non era il verso normale di due animali, era come un rombo di tuono, o l’ululato del vento, ed entrambi erano come avvolti da una luce che veniva da dietro di loro, una luce con un colore che non saprei neanche descrivere….

Ho avuto una tale paura mentre li guardavo, paura di quello che stava succedendo, che alla fine sono riuscito a scappare in casa, sbarrare la porta, correre nella mia camera e fiondarmi nel letto. E tutto senza che nessuno si fosse accorto di niente!

Questo è successo solo tre notti prima che Thymrel sparisse. Sono stati loro a farla sparire, o uno di loro!».

Velthur sospirò e alzò gli occhi al cielo. Il padre è alcolizzato, il figlio è semplicemente impazzito o è un bugiardo. Ma se fosse bugiardo, si sarebbe inventato qualcosa di meglio di due grossi strani animali che si pigliano a cornate nella notte.

Velthur non aveva dubbi che il ragazzino fosse rimasto impressionato dal ricamo fatto da Thymrel. La visione del Capro Nero invece era nata dalle storie sul conto dei culti misterici delle Fate, dei Sileni e delle streghe. L’eccessiva fantasia di Erkan e una latente follia avevano fatto il resto.

«Erkan, dimentica quello che hai visto, o che credi di aver visto. Se non vuoi farlo per tuo padre, fallo per te stesso. Ne ho conosciute tante di persone che dicevano di vedere cose strane quando erano a letto. Gente che vedeva fantasmi ai piedi del proprio letto, gente che vedeva demoni oltre la finestra, ma si trattava solo di sogni, anche perché queste visioni non facevano assolutamente niente. Comparivano e basta, e magari dopo un po’ non le si vedeva più. E quelli che invece continuavano a vederli, hanno finito per diventare pazzi, hanno fatto tutti una fine miserevole. In città la gente così finisce nelle case di cura alchemica, e qui si finisce con il diventare dei miserabili, reietti e abbandonati da tutti se non da qualche anima caritatevole. Devi respingere questi sogni, se puoi, o almeno provare a non pensarci. Conosco delle medicine che ti possono aiutare…».

Per tutta risposta, Erkan fuggì via con le lacrime agli occhi, su per la collina, lontano da tutti.

LOVECRAFT 172: LA MALEDIZIONE DI YIG

domenica 17 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 145° pagina.


neanche nel mio letto. Rimanevo là e ascoltavo i passi, sempre con il terrore che si avvicinassero alla mia porta. Mia sorella Eukeni e mio fratello Xestis dormono con me, ma non si sono mai svegliati. La mattina, quando chiedevo loro se avevano sentito passi nel corridoio, mi dicevano che avevano dormito e che non avevano sentito assolutamente niente.

Ma io invece mi svegliavo improvvisamente in piena notte, e subito dopo cominciavo a sentire rumori strani. E sentivo Thymrel parlare da sola…. o almeno credo che lo facesse. Forse parlava nel sonno, a volte anche mio fratello lo fa, ma lei faceva discorsi molto lunghi. La sua camera è accanto alla nostra, io riuscivo a sentire qualche parola attraverso il muro di legno. Però non capivo di cosa parlasse. Una volta mi è sembrato che dicesse “quando ce ne andiamo dalla valle? Ho paura!” o qualcosa del genere. Quella volta mi sono spaventato parecchio.

Poi una notte ho sentito i passi degli zoccoli che arrivavano fino alla sua camera, o almeno mi sembrava. E allora…. Lei non ci crederà…. Ma Thymrel teneva sempre la porta chiusa, come tutti…. A me è parso di sentire gli zoccoli che passavano prima nel corridoio, e che poi entravano in camera sua. Ma io non ho sentito la porta aprirsi. È stato come se la porta fosse già aperta, o come se l’essere con gli zoccoli fosse passato attraverso la porta! E poi… e poi…..  quello che ho sentito mi ha fatto piangere dal terrore. Non mi vergogno a dirlo! Credo che chiunque altro si sarebbe spaventato a morte. Ho sentito una voce che parlava con Thymrel. Era una voce maschile… un vocione spaventoso, non sembrava una voce di uomo, però. Sembrava la voce di un demonio. Non ho capito cosa dicesse, anche perché credo di essere svenuto dalla paura! ».

«Cioè, fammi capire: di notte un essere con gli zoccoli veniva in casa vostra, passando attraverso le porte come un fantasma, e mentre nessuno sentiva niente a parte te, lui andava a trovare Thymrel parlando con lei? Sei sicuro che non sia stato un incubo?».

«No, per niente! È successo troppe volte! Una notte sì e due no, più o meno. Ho cominciato a sentire cose strane subito dopo la festa di Tinsi Kerris. All’inizio mi sembrava che qualcuno si aggirasse attorno alla casa, sentivo il rumore degli zoccoli fuori, sul retro della casa. La prima volta avevo pensato che fosse fuggito l’asino dalla stalla.. Mi alzavo e andavo alla finestra, ma non vedevo nessuno.

Poi una notte ho cominciato a sentire i passi dentro casa, ma non sentivo le porte aprirsi, sentivo solo gli zoccoli prima al pianterreno, poi mentre salivano le scale. Un paio di volte li ho sentiti passare di fronte a camera mia, e ho cominciato a pregare Sil di salvarmi. Volevo urlare, chiamare la mamma, il papà, gli zii e la zia, ma non ci riuscivo. Ogni volta mi dicevo: “qualcuno si alzerà, sentirà i passi” e invece niente, ogni volta nessuno sentiva niente.

Di giorno, ho provato a parlarne con mia madre, e lei mi ha detto che evidentemente era stato solo un sogno, ma secondo me aveva paura anche lei. Infatti mi ha messo una croce ansata sotto il materasso, per proteggermi. Diceva che era contro gli spiriti degli incubi, ma secondo me era perché pensava che fosse qualcosa di peggio. Lei ha paura degli spiriti quanta ne ho io, ma non vuole darlo a vedere.

A mio padre non avevo il coraggio di dire niente: si sarebbe arrabbiato a morte e probabilmente mi avrebbe preso a sberle. Ma a un certo punto non ce l’ho fatta più. Non so come, una notte ho trovato il coraggio di alzarmi, dopo aver sentito di nuovo quel rumore di zoccoli, che andava in giro per la casa e che poi se ne è andato. Sono uscito dalla mia camera e sono andato giù per le scale, fino alla porta d’entrata. La porta d’entrata è ben chiusa con i chiavistelli di notte, se l’avessi aperta avrebbero sentito tutti il rumore dei catenacci che si aprivano.

Ma in fin dei conti, era quello che volevo. Se si fossero svegliati tutti, avrei detto che avevo sentito qualcuno che andava in giro per la casa, e forse finalmente si sarebbero accorti di quello che stava succedendo.

E invece niente. Credo di aver fatto un bel po’ di baccano aprendo la porta, e invece nessuno si è svegliato. Era come se fossero tutti sotto un incantesimo, fuorché io.
Mi ricordo che ho aperto e sul momento non ho visto niente, solo il cortile illuminato dalla luce della lampada perenne sopra la porta. Allora mi sono sporto un po’, pronto a rientrare subito, non

LOVECRAFT 171: IL FINALE DI "COLUI CHE SUSSURRAVA NELLE TENEBRE"

sabato 16 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 144° pagina.


la spiegazione giusta, dottore? Una volta, mi hanno raccontato che le Fate a volte lasciano i loro bambini da allevare agli Uomini, e prendono in cambio i bambini degli Uomini, per creare legami di sangue fra le due stirpi….».

«Leggende. Non ho mai conosciuto un bambino scambiato dalle Fate, non credo ci sia niente di vero. E poi la Triplice Regina delle Fate mi ha detto che loro non sanno perché Thymrel è scomparsa. Nessuno lo sa!».

Si morse la lingua. Non avrebbe dovuto dirlo, non a un bambino che forse aveva già la mente sconvolta da quella brutta faccenda.

«Ma se non lo sanno neanche le Tre Regine delle Fate….. se voi dite di avere parlato con loro e che vi hanno detto così…. Vuol dire che è qualcosa di ancora più grande e potente delle Fate…. qualcosa di enorme, che forse viene dagli Dei…. dagli Dei Avvolti dalle Tenebre!».

Gli Dei Avvolti dalla Tenebre erano gli Dei degli Inferi, che dimoravano in uin regno lontano dalla Luce di Sil, custodi del regno delle anime che in vita avevano perseguito il Male.

«No, no, Erkan. Non cominciare a parlare usando i discorsi di un sacerdote! Non devi pensare alle storie spaventose che senti dai kametheina etariakh o da quella devota donna di tua madre! Soprattutto non vedere le Fate come esseri divini dotati di capacità magiche sovrumane e soprannaturali. Non pensare che loro sappiano tutto. Certe cose non le vedono chiaramente, esattamente come noi. Me l’hanno detto loro».

«Però….loro vedono il futuro. Hanno previsto il futuro di mio padre. Gli hanno detto che si sarebbe salvato, che avrebbe avuto una vita felice, ma che doveva guardarsi da una “cosa rossa”… va bene, non l’hanno vista chiaramente, ma quando Thymrel ha detto che veniva dalla Valle dei Gigli…. i gigli rossi, no? Quegli stessi gigli che vediamo spuntare da un po’ di tempo qua e là. Guardi là, dottore. Crescono anche qui. Quello là nell’erba vicino a uno dei meli, non è uno di quelli? E quando Thymrel è scomparsa, quella strana luce rossa in casa… da quando è sparita, mio padre ha perso ogni pace. Questo dimostra che la profezia che gli fecero era vera!.».

«Quale luce rossa?».

«Quella notte ho sentito papà dire che aveva visto una strana luce rossa in camera di Thymrel, prima di entrarvi e scoprire che era scomparsa. La mamma e gli zii non gli hanno creduto, ma io sì. Perché l’ho vista anche io. E ho visto e sentito molte altre cose! I miei non mi credono, non mi danno retta. Ma forse voi che siete andato a trovare le Fate mi crederete. Io sapevo che sarebbe successo qualcosa. Me lo sentivo, perché io la notte non dormivo più, da tante cose sentivo e vedevo!».

Velthur lo afferrò per le spalle e lo guardò dritto negli occhi.

«Erkan, ti avverto. Pensa bene a quello che dici, prima di dirlo. Sei convinto di quello che vuoi raccontarmi? Perché se racconti storie nate dalla tua fantasia, passerai guai seri!».

«Ecco, lo sapevo! Neanche voi siete disposto a credermi!».

Velthur lo scrollò. Stava cominciando a perdere la pazienza anche lui.

«Come faccio a crederti se ancora non hai cominciato a dirmi niente? Adesso tu mi racconterai tutto, ma prima di farlo ti dico: pensaci bene! Dovrai dirmi soltanto la verità o quella che tu credi essere la verità e basta! Pensaci bene!».

«La verità è che di notte c’era qualcuno in casa, ma solo io lo sentivo! E andava proprio nella camera di Thymrel!».

«Qualcuno chi? Qualcuno dei tuoi parenti? Magari uno degli zii passava la notte con lei?».

«Ma no! Sto dicendo che c’era qualcuno che si aggirava per la casa di notte, ma non era qualcuno di umano!».

«Tu l’hai visto, per poter affermare una cosa del genere?».

«Ho sentito i suoi passi di notte in giro per la casa, e fuori di casa, e non erano passi di piedi, ma di zoccoli! Li sentivo benissimo quando salivano le scale e si aggiravano per i corridoi!».

«E nessun altro li sentiva?».
«Non lo so. Non ho mai sentito nessuno alzarsi dal letto e andare a vedere chi o cosa fosse! Io ogni volta che sentivo il rumore degli zoccoli rimanevo paralizzato dal terrore, non osavo muovermi

LOVECRAFT 170: ANCORA SUGLI "ALIENI-DEMONI" NEL "SUSSURRATORE NELLE TENE...

venerdì 15 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 143° pagina.


cose, mi raccontava di quando era giovane e faceva il soldato. E una volta mi ha raccontato di quando ha incontrato le Fate nel bosco, nella fortezza in cui prestava servizio. Mi ha raccontato che lui e i suoi commilitoni stavano dando la caccia ai predoni che infestavano quella regione, molto lontano da qui. Mi ha raccontato che lui ha avuto tanta paura quella volta, in mezzo al bosco, si è trovato da solo, con il terrore di venire preso e ucciso dai briganti.

E all’improvviso si è trovato di fronte a una Fata, sbucata dal nulla, che l’ha guardato con i suoi grandi occhi neri, e gli ha detto di non temere, che non sarebbe stato ucciso e che sarebbe uscito dal bosco sano e salvo, che lei gli avrebbe mostrato la direzione in cui andare per ritrovare la sua guarnigione. Ma poi gli ha detto un’altra cosa. Gli ha detto che avrebbe avuto una vita lunga e serena e prospera, che avrebbe trovato la sua felicità, ma che un giorno avrebbe dovuto guardarsi da “qualcosa di rosso che sarebbe entrato nella sua vita”, qualcosa avvolto da “una luce rossa” che non le permetteva di vedere bene cosa fosse, ma solo che lui doveva “stare in guardia” quando l’avrebbe vista, anche solo da lontano».

«Aspetta, aspetta…. Erkan! Tuo padre non mi ha mai raccontato questa storia! Sei sicuro che te l’abbia raccontata lui?».

«Ma sicuro, dottore! Credete che vi racconti delle bugie? È stato lui a raccontarmi questa storia due anni fa! È stato da allora che ho cominciato a interessarmi alle storie sulle Fate. Pensateci: mio padre che diceva di aver incontrato per caso una Fata nel bosco e di aver ricevuto un pronostico da lei! Questa faccenda della “cosa rossa” mi ha colpito così tanto che mi sono spesso domandato cosa volesse dire. E poi, quando abbiamo trovato Thymrel…. chissà perché, ma ho subito pensato che fosse una Fata travestita da donna.

Per me, ormai, mio padre era uno di quelli che hanno a che fare con le Fate, e quindi era giusto che trovasse una Fata…. voglio dire: era veramente strano trovare quella strana ragazza in quella strana barca là sola e abbandonata in mezzo al fiume….  Mi avevano detto che una Fata può assumere la forma che vuole, e persino rendersi invisibile. Per me è naturale che fosse una Fata….».

«Non è che possano cambiare forma a piacimento. È che fanno una specie di…incantesimo alla mente e agli occhi della gente, la quale crede di vedere cose che in realtà non esistono, o non riesce a vedere cose che gli stanno di fronte. Per questo quando guardi una Fata magari credi che sia un essere umano o animale anziché un essere fatato».

«Ma allora come si fa distinguere la realtà dall’illusione quando c’è una Fata? Magari le persone che conosciamo, che vediamo tutti i giorni, sono Fate e noi manco ce ne rendiamo conto!».

La domanda del bambino lo prese in contropiede. Le domande dei bambini prendono spesso in contropiede gli adulti, soprattutto quando si tratta di bambini intelligenti. Se poi il bambino è più intelligente dell’adulto, diventa un dramma. Sia per il bambino che per l’adulto. Per fortuna, non era quello il caso.

Gli venne in mente quello che gli aveva detto la Triplice Regina nella loro reggia-santuario megalitica. Che se avessero voluto, avrebbero potuto rendersi invisibili agli Uomini per sempre, e loro non avrebbero più potuto rintracciarle in nessun modo, anche se sarebbero rimaste presenti in questo mondo. Ma allora, non si poteva essere sicuri che non fosse già in parte così. A rigor di logica, non si poteva escludere la possiblità che le Fate si aggirassero invisibili, o travestite da esseri umani nei villaggi e nelle città degli Uomini, e protette dalle loro illusioni, si introducessero nelle case umane, leggessero nei pensieri umani, frugassero fra le cose umane, magari vivendo come dei parassiti che non avrebbero mai potuti essere individuati, ma solo percepiti ogni volta che qualcosa spariva misteriosamente, o ci si trovava di fronte a strani eventi e strane coincidenze che potevano rimanere inspiegati e inspiegabili per sempre.

«In effetti…. non si può essere sicuri della cosa. E in effetti, ora che ci penso, alcuni credono che le Fate lo facciano, e che qualsiasi essere umano che si incontra possa essere una Fata travestita da un incantesimo. Ma è assurdo pensare che viviamo in un mondo di Fate che si nascondono per chissà quale motivo…. Se fosse così, si nasconderebbero e basta».
«Forse non lo fanno tutte, forse lo fanno solo alcune. Thymrel era una di loro. Ci ha lasciato il suo bambino fatato e poi se ne è andata, è scomparsa usando i suoi poteri di invisibilità. Non vi sembra

LOVECRAFT 169: GLI ALIENI E IL DIAVOLO IN "WHISPERER IN THE DARKNESS"

giovedì 14 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 142° pagina.


«Sì, sì, lo so…. i bambini sono sempre “troppo piccoli” per capire qualsiasi cosa che riguardi i grandi….. mio zio dice che a ogni bambino viene ripetuta questa tiritera fino alla nausea…. E quando si diventa grandi, e finalmente si può parlare di certe cose, ci si rende conto che quelle cose di cui “non si poteva parlare” erano solo delle grossissime scemenze! Magari un giorno verrò a sapere cosa vi siete detti voi e la Regina delle Fate, e scoprirò che vi siete detti solo un sacco di fesserie!».

Larsin, che era rimasto seduto, lo sentì , si imbufalì e scattò con rabbia verso di lui.

«Erkan! Adesso sì che ti prendo a sberle! Ma sul serio!».

A Velthur sarebbe venuto da ridere per l’impertinenza del ragazzino, se Larsin non si fosse arrabbiato.

Sentì l’esigenza di doverlo difendere, anche se questo probabilmente avrebbe fatto infuriare ancora di più Larsin.

«Le sberle non serviranno a fargli passare la mania delle Fate. Magari proviamo a convincerlo che sì, forse sono solo un mucchio di scemenze!».

«Basta dirglielo, Velthur! A suon di ceffoni! E mica lo prendo a sberle per le Fate, ma perché è un arrogante piccolo impertinente e deve imparare l’educazione e l’umiltà. Sei d’accordo?».

«Va bene, ma dopo. Lascia che gli parli io, per primo. E poi magari lo punirai, anche se preferirei che lo facessi da sobrio!».

Larsin si bloccò. Larsin l’aveva punto sul vivo. Strinse i pugni e digrignò i denti».

«Venisse un accidente anche a te!»

A sorpresa, fu Erkan allora a difendere il dottore.

«Non è colpa sua se è meglio di te! Lui vuole sapere la verità! Tu inveisci contro tutti perché Thymrel è scomparsa, ma lui cerca di capire cosa è successo! Cosa che non fai tu!».

A quel punto, Larsin perse definitivamente la tramontana e si lanciò sul figlio per menarlo.

Istintivamente, Velthur schermò il corpo del bambino con il suo, rannicchiandosi sopra di lui, urlando a Larsin di fermarsi.

Proprio in quel momento, provvidenzialmente uscì nel cortile Syndrieli, attirata dalle urla, mentre gli altri bambini rimanevano spettatori muti e paralizzati dal terrore in mezzo al cortile. Il gioco era finito per tutti.

«Larsin! Cosa demoneoscuro stai facendo???? Vattene via immediatamente, maledetto ubriacone!!!».

Lui, per fortuna, si fermò, ma cominciò un litigio spaventoso con la sua donna, scambiando accuse e insulti spaventosi. Larsin aveva trovato la vittima contro cui scatenarsi, quella che gli poteva far fronte nel modo adeguato.

Velthur ne approfittò per prendere Erkan e portarlo lontano, dietro la casa, nel frutteto di meli.

Le urla dei genitori di Erkan si persero in lontananza mentre il dottore e il bambino si inoltravano fra i meli, sul crinale della collina.

«Tuo padre sta passando un momento molto difficile. Io sto cercando di aiutarlo, ma tu devi aiutarmi. Devi cercare di non farlo arrabbiare più di quanto sia arrabbiato già per conto suo. Perdere una persona a cui si è affezionati mette a dura prova persino un uomo della sua tempra».

«Sì, sì, lo so…. lui era innamorato di Thymrel. Lo vedevamo tutti, anche la mamma. Ma a lei non importava. Anzi, era contenta perché lui stava più in casa, andava meno in giro la sera, lavorava di più. Almeno così diceva lei. Adesso invece non fa altro che lamentarsi di lui, e un paio di volte ha detto che era lui che doveva scomparire, non lei. Penso che fra poco se ne andrà sul serio. Dice che l’unica cosa che lo trattiene è il figlio di Thymrel. Chissà…. forse porterà via anche lui».

«Tu vorresti che lo facesse?».
«No! Cioè, io non voglio che se ne vada, ma non voglio neanche che continui a fare così. È cambiato, una volta era un uomo buono. Non mi ha mai picchiato, a parte una volta che ho rovesciato un vaso pieno di olio mentre giocavo. Quella volta l’avevo proprio fatto arrabbiare. Ma per il resto mi faceva molta compagnia. Mi portava con sé a pescare, a volte a trovare gli amici. La mamma gli diceva che mi insegnava a diventare un lazzarone, ma non era vero. Mi insegnava tante

LOVECRAFT 168: GLI "ALIENI STREGONI" IN "THE WHISPERER IN THE DARKNESS".

mercoledì 13 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 141° pagina.


Solo allora Velthur si rese veramente conto in che condizioni si trovasse Larsin. Era davvero disperato.

Ora aveva una ragione in più per cercare di scoprire la verità sugli eventi misteriosi che li avevano avvolti. Doveva salvare anche Larsin da se stesso.

«Larsin, amico mio…. ti prego! Se puoi, resisti! Sono deciso ad andare avanti a capire questa storia assurda, voglio sapere cosa è successo e cosa sta succedendo, e sono disposto a camminare sui carboni ardenti pur di scoprire la verità. Lo sai che quando mi metto in testa qualcosa, bisogna proprio stendermi a terra, per farmi desistere. Se Thymrel è ancora viva, la troveremo, ma tu resisti, accidenti! Smetti di bere e abbi fiducia nel futuro!».

Larsin si mise a sghignazzare. Velthur non reagì. Nel momento in cui aveva detto “fiducia nel futuro”, si era reso conto di aver detto qualcosa di così retorico da apparire ridicolo.

Larsin era un uomo semplice, ma non stupido, se lo diceva sempre. Altrimenti, non avrebbero potuto essere amici.

«Ma quale fiducia! Io sento solo dolore e angoscia. Invidio Syndrieli che trova rifugio nella religione. Anche se mi irrita vederla lì a fare offerte alle sue statuine degli Dei appena ha un ritaglio di tempo, devo ammettere che è meglio questo che ubriacarsi come faccio io. Lei ha la fede, io ho la birra, il vino e il sidro…. ieri sera Maxtran mi ha offerto la sua birra verde, ed ero quasi tentato da chiederne così tanta da farmi morire!»

«Spero che tu stia scherzando….».

«Se mi lasci bere un’altra coppa di vino senza protestare, ti dirò che stavo scherzando… per il momento».

In quel momento alcuni dei figli di Larsin arrivarono correndo nel cortile provenendo dal frutteto dei meli dietro la fattoria. Stavano giocando allegramente con i bambini di Maeliani, la prima sorella minore di Syndrieli.

Giocavano a fare i soldati della Guardia della Regina dei Thyrsenna e di doverla difendere dai barbari invasori nordici.

Erkan invece urlava e spergiurava che invece lui era un soldato della guardia della Regina delle Fate.

«Ma la pianti con le tue storie di Fate?» gli urlò contro uno dei cuginetti.

«Va bene, allora non gioco più!» Erkan fece per andarsene gettando a terra il pezzo di legno intagliato che era la sua spada da guerriero.

«Li senti, Velthur? Erkan ha rotto le scatole persino agli altri bambini, con le sue storie sulle Fate. È ossessionato! Un vero maniaco! Ha troppa fantasia!».

«Non si ha mai troppa fantasia, Larsin. Si tratta solo di imparare a guidarla dove vuoi tu, e non a lasciarti guidare da essa».

«Oh, non cominciare con i tuoi detti! Se Erkan avesse preso da me, penserebbe a diventare un uomo, non a restare bambino con le sue favole!».

Per tutta risposta, Velthur si alzò e andò verso Erkan, che si era messo in un angolo del cortile con aria imbronciata.

«Erkan, posso chiederti una cosa? Solo una curiosità: come mai ti piacciono così tanto le Fate? Cosa ti affascina tanto in loro? Voglio dire: a questo mondo ci sono tante altre cose interessanti. Perché proprio le Fate e non piuttosto altre creature, altre storie?».

«Perché…. sono misteriose. Loro possiedono grandi segreti. Possono vedere il passato e il futuro, conoscere i segreti di tutto il mondo. Questa cosa mi affascina, mi interessa. Vorrei saperne di più. Voi siete stato a trovarle. Vi ho sentiti parlarne, voi e mio padre. Lui ha detto che non devo chiedervi niente, che non devo darvi fastidio. Ma ora siete stato voi a chiedermi perché mi interessano tanto le Fate. E adesso voglio sapere cosa avete visto e saputo là, sulle Colline di Leukun. Siete andato a chiedere dove è finita Thymrel, vero?».

«Tuo padre ha ragione a dirti che non devi interessarti di queste cose. Sei troppo piccolo per capire, e in ogni caso non sono cose che ti riguardano….».

LOVECRAFT 167: I MI-GO E IL "NECRONOMICON"

martedì 12 luglio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 140° pagina.


«Beh, innanzitutto perché quel fatto non è stato casuale. Cioè, forse si può dire che è stato casuale il fatto che la Fata abbia perduto lo scialle e che Maxtran lo abbia ritrovato, ma poi la cosa è diventata un pretesto per la Fata per fargli trovare il Santuario d’Ambra.

Il suo amico eremita voleva disseppellire quel tempio, ma era nel terreno degli Akapri, e non si poteva scavarne l’entrata senza che loro se ne accorgessero. L’unica era far sì che fossero loro a scoprirla, e poi provare a introdursi in esso per trovare quello che cerca… e che nessuno sa che cosa sia. Così la sua amica Fata ha trovato il pretesto per fare uno scambio che non avrebbe destato sospetti in nessuno. Un regalo delle Fate. Chi potrebbe immaginare che ci stia dietro la trama occulta di un Reverendo Padre eremita?

E poi c’è un altro motivo: il tuo calice non apparteneva a una Fata, anche se era stato fatto dalle Fate. Apparteneva a una strega, che l’aveva ricevuta in dono da una delle Fate delle Colline di Leukun tanti anni fa. Quella strega, essendo una donna umana, non sa neanche che fine abbia fatto la sua coppa. Evidentemente non è una buona praticante della stregoneria».

«E tu questo come fai a saperlo?».

«Me l’ha detto lo stesso Azyel! È venuto a trovarmi ieri sera a casa mia. Si è presentato di fronte alla porta, e la cosa che mi ha sconcertato di più, era che stavo pensando insistentemente a lui da qualche minuto. Era come se io sapessi che stava arrivando senza neanche rendermene conto, o come se l’avessi attirato solo pensandoci. Poi ho sentito bussare e quando la signora Mendibur ha aperto, ha cacciato un urlo di terrore! Non aveva mai visto uno Gnomo, e la sorpresa è stata troppa per lei. Poveretta! Effettivamente quegli esseri hanno un aspetto inquietante.

Lui mi ha detto che la mattina dopo dovevo recarmi al Santuario d’Ambra e che lì avrei incontrato Aralar, e che sarebbe stato un incontro fruttuoso. Poi gli ho offerto una tazza di tisana, e siamo rimasti a conversare un po’ nel mio studio. Lui era molto interessato alla mia biblioteca…. Mi ha chiesto perché non ho cominciato a leggere quel libro indicatomi dalla Regina Rossa, io gli ho risposto che non ce l’avevo nella mia biblioteca, e che sarei andato a procurarmelo a Enkar, e gli ho anche chiesto come faceva a sapere che non avevo cominciato a leggerlo, ma a non sapere che non ce l’avevo nella mia biblioteca.

Lui mi ha risposto che semplicemente non ha trovato l’immagine del libro nella mia mente, ma non ha visto la ragione per cui non lo vedeva. La loro veggenza funziona così, da quel che ho capito. Vedono l’immagine di un pensiero, ma non vedono tutte le connessioni dei pensieri che ci stanno attorno. Riescono a vedere solo un pensiero per volta, e spesso anche in modo confuso. Mi ha detto che noi sopravvalutiamo il popolo delle Fate, che non sono così potenti come crediamo. E poi lui è un maschio fatato, la sua Seconda Vista è più debole rispetto alle donne della sua stirpe, anche se non è meno potente nelle arti fatate.

Comunque poi abbiamo anche parlato della tua coppa, perché ci siamo messi a parlare del loro vino, il vino delle Fate, di come viene prodotto e degli effetti che fa. Da lì c’è voluto poco perché arrivassi alla coppa che hai trovato su Monte Leccio».

«Mi incuriosisce quel vino di cui mi ha parlato. Chissà se mi farebbe vedere dove è finita Thymrel…».

«Non dirlo neanche per scherzo! Cosa demoneoscuro ti è saltato in testa? Quella roba rischia di farti diventare matto. Te l’ho detto: l’ho provato una sola volta, e giuro su tutti i Santi dell’Aventry che non lo farò mai più! Quella roba fa male, e tu dovresti smetterla di bere».

«Sto male, Velthur! E lo so benissimo che dovrei bere di meno, ma non ci riesco! Syndrieli comincia a farmi capire che se continuo così mi butterà fuori di casa, e già Aranthi la spinge a farlo. Tanto peggio, finirò con il diventare un vagabondo, o tornerò al mio paese, che forse è meglio. Qui tutto mi ricorda lei: ogni volta che vado al fiume, mi torna in mente il giorno in cui l’ho trovata. O forse andrò da quelle tre…. le Tre Regine, là sulle Colline di Leukun, e mi farò dire da loro se davvero non possono dirmi che fine ha fatto Thymrel! Voglio sentirlo da loro, dalle loro bocche!».

«E cosa gli offrirai in cambio, se non avrai più nulla?».

«La mia vita! Mi taglierò la gola di fronte a loro, se non mi dicono che cosa le è successo!».