lunedì 30 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 104° pagina.


Ora, avrebbe voluto non essere solo. Il terrore ancestrale del buio e dell’ignoto l’aveva preso come se fosse di nuovo un bambino.

La tranquilla campagna di Arethyan, che prima gli era apparsa abbastanza sicura di notte, sgombra da malfattori e bestie pericolose, ora gli appariva come un regno pauroso e infido.

Mentre si avviava a casa, controllava ogni ombra che gli pareva di vedere muoversi nell’oscurità, ogni rumore che gli sembrava venire dai campi o dai filari di alberi.

Tra l’altro, era una notte senza luna, la prima sottile falce stava tramontando, come un paio di corna rosse, o come il perfido sorriso di una bocca insanguinata.

Quando Syndrieli lo video rientrare, pensò che avesse bevuto troppo e che stesse male.

«Da un po’ di tempo frequenti l’osteria più del solito. Bevi sempre di più. Diventerai un ubriacone. Spenderai tutti i tuoi soldi in sidro, vino e birra, e allora sì che ti butto fuori di casa».

«Lasciami stare, donna. O me ne vado già per conto mio. E mi porto dietro Thymel e il bambino».

«Che ti piglia? Hai la luna storta più del solito?».

«Che ho detto di male? Non saresti contenta se me ne andassi?»

«Se te ne andassi tu, non lo so. Ma se se ne andasse Thymrel con un bambino appena nato e molto gracile sì, mi dispiacerebbe. Perché li vuoi portare via?».

«Perché forse qui non sono al sicuro, ecco perché!».

«Quale Demone Oscuro ti ispira? O sei più ubriaco del solito?».

Larsin le raccontò quello che gli aveva detto il dottore. Il bello era che lui prima  non le aveva mai raccontato niente della loro avventura in cima al Monte Leccio, non le aveva detto della misteriosa legione di gatti che avevano spaventato lui e i suoi compagni, né dello strano eremita.

Le raccontò tutto, fin nei minimi particolari, a parte la terrificante storia di Hermen Vanth e del suo amico sul misterioso essere alato che avevano incontrato di notte, e poi le disse quali erano i suoi timori.

«Ma sei sicuro che quello che ti ha detto il dottore sia vero? Che quei gatti vengano davvero dalla Valle dei Gigli?».

«Dice che è scritto nei suoi libri. Che mi può far vedere che è proprio così. Io non ho nessun motivo per dubitare di quello che dice».

«Già, perché è tuo amico. Ma io non mi sono mai fidata di quell’uomo. Può darsi che ti abbia detto questa cosa solo per spaventarti, per indurti a fare quello che vuole lui con Thymrel.

Da quella volta che ha fatto quell’incantesimo con quello specchio alchemico, non lo voglio più vedere. E adesso questa storia dei gatti….. dimentica quello che ha detto!».

«Lo vorrei tanto. Ma ho paura di ciò che sta dietro a tutta questa faccenda. Forse, sarebbe bene mandare Thymrel lontano da qui per qualche tempo, fino a quando le cose non siano state chiarite».

«Chiarite come? E poi, dove vorresti portarla?».

«Non lo so, ci devo pensare. Ma comincio ad essere veramente preoccupato».

«Io lo sono sempre stata, dal giorno in cui ho visto quel maledetto specchio e ho sentito Thymrel parlare con quella voce spaventosa… ho sempre paura di vederla impazzire, da allora. Tutta colpa di quel maledetto dottore miscredente!»

«Taci! Non ti voglio sentire! Lo sai che siamo amici e tali resteremo! A proposito, dov’è Thymrel?».

«In camera sua, col bambino. Non lo lascia mai. Trepida sempre per la sua salute. Ha sempre paura che gli possa succedere qualcosa».

«Già. Abbiamo paura tutti quanti, insomma. Il che dimostra che qualcosa non va. Voglio vederla».

«Cosa hai intenzione di dirle? Non mi va che tu le parli in questo stato!».

«Sta tranquilla, non voglio dirle niente. Ho solo bisogno di vederla, di sapere che lei e il piccolo Loraisan stanno bene, tutto qua. Le voglio bene anche io, sai?».

«Credo che tu le voglia bene molto di più di quanto ne voglia io….».

Larsin ignorò la sua malignità, e andò verso la camera di Thymrel.
È vero, l’amava. E per le tradizioni dei Thyrsenna non ci sarebbe stato niente di male che lui passasse la notte nella sua camera, se lei glielo permetteva. Solo il rito del matrimonio era

LOVECRAFT 128: CARTER INCONTRA NYARLATHOTEP

domenica 29 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 103° pagina.


«Va bene, te la farò dare, se dopo non vorrai più parlare del mistero del passato di Thymrel».

«Prometto. Se non succederà niente che possa riguardare il passato di Thymrel, io non ne parlerò più».

«Mh…. io preferirei che tu non ne parlassi più, punto e basta. Adesso c’è un bambino di mezzo, un bambino che dovrà crescere senza ombre nella sua vita».

Dentro di sé, Velthur sentì una forte frustrazione. Se Thymrel fosse vissuta in casa sua, avrebbe potuto osservarla meglio, trovare forse il modo di scoprire la verità, qualunque essa fosse. Non avrebbe dovuto rendere conto a Larsin e a Syndrieli di quello che avrebbe cercato di fare.

Una parte di lui lo faceva sentire in colpa per il suo desiderio di cercare la verità ad ogni costo, l’altra si autogiustificava con il fatto che il passato di Thymrel avrebbe potuto tornare in qualsiasi momento a riprenderla, per il solo fatto che erano successe troppe cose strane dopo la sua comparsa. E in ogni caso, cominciava a pensare che effettivamente ci fossero dei legami fra Thymrel e quello che stava succedendo.

Gli tornò in mente l’eremita, Aralar Alpan. Gli faceva paura, ma effettivamente valeva la pena tornare nel suo eremo e cercare di conoscerlo meglio. Pensava di andarlo a trovare il prossimo usiltin… se ne avesse trovato il coraggio.

Poco dopo si alzarono dal tavolo e pagarono le birre. Mentre si allontanavano dal Kranu Belz per le strade del villaggio, Larsin si voltò per guardare l’insegna dell’osteria.

«Vorrei che l’osteria cambiasse nome e insegna. Ora mi sembra troppo funesto, come luogo per stare allegri».

«Quei gatti erano grigio scuro, più che neri».

«Sai che differenza! Grigio scuri tigrati di nero! Ogni volta che vedo quell’insegna non riesco a non vedermeli di nuovo di fronte a me. Quando esco la sera di casa per controllare che sia tutto in ordine, mi aspetto sempre di vedere i loro occhi che mi guardano dal buio. Prima o poi ce li ritroveremo nei nostri campi, o per le vie del paese. Ti ricordi quanti erano? Dovevano essere decine, e probabilmente quelli che abbiamo visto noi erano solo una parte di quelli che effettivamente vivono là. Dev’essere quell’eremita balengo che li alleva. Scommettiamo che fra poco ne saremo pieni?».

«Eppure nessuno oltre a noi li ha visti, che io sappia. Ho chiesto a tutti i miei pazienti da quel giorno in poi, facendo finta di parlare del più e del meno, se per caso avevano visto quegli strani gatti, e nessuno li ha visti Certo, nessuno era passato per Monte Leccio di recente».

«In ogni caso, qualcuno deve averli portati qua, magari da qualche paese lontano. Non ho mai sentito parlare di bestie così, di gatti grossi come cani e che si comportano come se fossero addestrati. Chi mai è riuscito ad addestrare dei gatti? Chiaramente devono essere bestie straniere, che sembrano gatti ma non lo sono».

«Sono meno stranieri di quel che pensi. Io quelle bestie le conosco già, e so da dove vengono:  dalla Valle dei Gigli!».

«Mi stai prendendo per i fondelli! Stai dicendo sul serio?».

Velthur vide Larsin bloccarsi sulla via e impallidire visibilmente.

«Non ti sto prendendo in giro. È scritto in uno dei miei libri. Tu sai leggere abbastanza bene, vero? Se vuoi ti posso mostrare quel libro. Quella determinata razza di gatti viene descritta come la tipica razza di gatti selvatici della Valle dei Gigli.

I Valgiglini li usavano come cani da guardia. Erano addestrabili e molto legati ai loro padroni. Può darsi che quell’eremita li abbia portati da lì. Anche per questo quel tizio mi fa veramente paura. E ora sai perché sono tanto ossessionato dall’amnesia di Thymrel».

«Adesso hai fatto venire paura anche a me. Cioè, prima avevo paura di quelle bestie, ora ne sono terrorizzato! E adesso come farò a dormire la notte?».

«Sì, avrei dovuto stare zitto e tenermi le mie paure per me. Ma sto cominciando a non riuscirci più».

Larsin per tutta risposta si allontanò di scatto da lui, non lo guardò ma fece un gesto con il braccio e la mano tesi come dire che non voleva più sentire niente.

Non lo salutò nemmeno e si diresse deciso verso casa nella notte.

LOVECRAFT 127: L'ARRIVO DI CARTER IN CIMA AL KADATH

https://www.youtube.com/watch?v=WcUAod7_ilo&feature=youtu.be

sabato 28 maggio 2016

LOVECRAFT 126: RIFERIMENTI ALL'ITALIA NELL'ISOLA DI ORIAB?

https://www.youtube.com/watch?v=-iwiPdse96s

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 102° pagina.


Ogni giorno prego che stia bene, che cresca sano. Ormai lo considero come un nipote mio. Voglio essere io il suo zio-tutore, anche se non c’è nessuna consanguineità. Ma avrà bisogno di qualcuno che gli faccia da zio, o da padre. Sono stato io a trovare sua madre in quella strana barca, e quindi penso di avere il diritto di poter provvedere al suo futuro. Tra l’altro, se devo raccontare in giro che Thymrel è una mia cugina, di fatto anche per la legge e per la tradizione sono il tutore del suo bambino».

Per i Thyrsenna di campagna, la figura dello zio materno era più importante di quella del padre, a causa delle tradizioni matriarcali che presso i contadini del Veltyan erano più forti che in città.

«Domani vengo a vederlo. Ci tengo anche io a quel bambino, come a sua madre. Thymrel ti sembra felice, serena?».

«Felicissima. Non fa altro che ringraziarci tutti quanti per quello che ab abbiamo fatto per lei, perché l’abbiamo accolta nella nostra famiglia, e dice che sarà felice di cambiare il suo cognome con quello dei Ferstran, o magari con il mio: Arayan. Sinceramente, troverei giusto che assumesse il mio. Comunque, non la voglio forzare, anche se lo ho fatto capire che è importante per me potermi occupare dell’educazione di Loraisan».

«Non ha avuto comportamenti… particolari? Non ha detto niente che può essere sembrato strano, non ha parlato con voce alterata, o avuto incubi?».

«Stai ancora pensando a quello che è successo quando hai fatto quello strano esperimento su di lei? No, non ne ha più parlato, e neanche abbiamo parlato della sua amnesia o di ciò che ricorda del suo passato. Non ha più parlato della Valle dei Gigli da quel giorno in cui l’hai… ipnotizzata? Si dice così, no? In questi giorni, sono stato quasi tentato di chiederle se credeva ancora di venire dalla Valle dei Gigli. Magari le è passata questa idea. Tu dicevi che forse lei si è messa in testa di venire là perché ha paura di ricordare il suo vero passato, vero? Forse adesso si è resa conto che quello che ci ha raccontato è una fandonia. Ma poi non ho avuto il coraggio di domandarglielo, perché ho paura che ricominci a fare discorsi strani».

«Sì, forse la cosa migliore è dimenticarsi di ciò che ha raccontato e far sì che se ne dimentichi anche lei. Ma adesso mi è venuto in mente una cosa: che fine ha fatto la barca in cui hai detto di averla trovata?».

«L’ho portata a casa il giorno dopo che abbiamo trovato Thymrel nel fiume. Sono riuscito a montarla sul carrettino di uno dei fratelli di Syndrieli, e l’ho trasportata fino a casa nostra con l’aiuto del nostro asino. L’ho sistemata sul retro di casa nostra, accanto all’aratro. Pensavo di venderla. È una bella barca, strana ma bella. Ma perché me lo chiedi?».

«Mi è venuto in mente che non le ho mai dato un’occhiata. Magari potrei trovarvi qualcosa che ci farebbe capire da dove è arrivata Thymrel. Mi hai detto che non hai mai visto una barca come quella».

«Sì, non ho mai visto una vernice come quella. E non c’è nessun segno sulla barca, nessun nome, nessuna decorazione, niente di niente. E la forma è diversa da quella delle nostre barche. Forse è una barca straniera».

«Già. Magari apparteneva a qualche immigrato che vive sulle montagne».

«Tu non hai rinunciato, vero? Speri sempre di poter scoprire qualcosa del suo passato, no?».

«Sì, spero sempre. Ma non voglio forzarla, non ripeterò quell’esperimento. Quando l’ho sentita parlare in quel modo…. mi sono sentito gelare il sangue».

«Si è gelato il sangue anche a me, Velthur. La mia donna non ha più dormito quella notte. Temeva che la ragazza fosse diventata un’indemoniata, e che la colpa fosse tua. Ho faticato parecchio a convincerla che non le avevi gettato addosso qualche incantesimo. Siamo poveri contadini ignoranti, Velthur.

Se Thymrel è un po’ strana a noi va bene così, non è una malata per noi, né una matta. Non si ricorda il suo passato? Pazienza. Anche Aranthi non si ricorda un sacco di cose, anche se lei ha la tarda età a giustificarla. Forse ci sta raccontando delle bugie? Pazienza. Anche i miei figli mi raccontano bugie. Lascia stare, ti dico. Oramai è un problema solo nostro, tu non c’entri niente».

«Infatti volevo dare un’occhiata solo alla barca, non a Thymrel».

giovedì 26 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 101° pagina.


«Ma io credevo appunto che lo strato di fango lasciato dal Diluvio avesse sepolto tutte le città antidiluviane dopo che l’ondata delle acque le aveva sommerse… o no? Invece l’entrata del Santuario d’Ambra era appena sotto un metro di terra. Come mai?»

«Infatti è molto strano. Il Diluvio, dicono i testi antichi, fu una spaventosa alluvione che sommerse tutte le terre, a parte le cime delle montagne, e la forza dell’ondata distrusse case, palazzi, foreste, campi e persone…. tutto quanto. E seppellì le rovine sotto uno strato di fango di parecchi metri. Ogni volta che si trova qualcosa, viene scoperto o in regioni montuose, dentro profonde caverne, oppure in scavi molto profondi, magari per la costruzione di cantine e sotterranei particolarmente profondi, ed è quasi sempre tutto molto danneggiato.

In questo caso è tutto intatto, invece, e la cosa è stranissima. È come se una forza ignota avesse protetto il luogo. L’acqua non è entrata minimamente nel luogo durante il Diluvio né in tanti secoli, ed è tutto integro. Si tratta di un ritrovamento unico in tutta la storia del Veltyan»

«Secondo me, finiremo per parlarne troppo. Cioè, mi sono già nauseato. Tutti ne parlano, la mia donna mi ha già fatto la testa come un cesto…. e mio figlio Erkan, poi! Quando ha saputo che il Santuario d’Ambra è stato rivelato agli Akapri da una Fata, è andato in delirio! Che razza di storia assurda. È una delle cose di cui la gente parla di più. Sta già diventando la favola preferita che le nonne raccontano ai nipoti prima di metterli a letto. Parliamo d’altro, ti prego».

«Prima di passare a qualcosa di più normale, ti racconto un’ultima cosa. Sai chi ho visto al Santuario d’Ambra, l’altroieri? Prova ad indovinare….».

«Indovinare cosa? C’era un sacco di gente, me l’hai detto tu. Quindi immagino che si fa prima a dire chi non sia andato là, delle nosre conoscenze».

«Ne ho vista una in particolare, di nostra conoscenza. Qualcuno che abbiamo visto sul Monte Leccio…..».

«L’eremita con la faccia da svitato! E c’aveva anche dietro uno dei suoi gatti?».

«No, per fortuna. Mi ha spaventato a sufficienza con la sua sola presenza. E quando mi si è avvicinato per salutarmi, ho sentito di nuovo quell’odore spaventoso, quello che abbiamo sentito uscire dalla porta del suo eremo».

«E ti ha detto qualcosa?».

«Sì, che si considerava molto fortunato ad aver scelto come eremitaggio un luogo così vicino a una tale meraviglia, e che Sil l’aveva guidato in un luogo dove avrebbe potuto fare studi molto interessanti. Sostiene di conoscere il quiru e che avrebbe cominciato subito a tradurre le iscrizioni del santuario».

«Ah, però! Quindi immagino che ti farai aggiornare da lui sui segreti del santuario».

«Dovrei. Ma sai una cosa? Quell’uomo mi fa veramente paura. Sono sicuro che nasconde più di un segreto, e che ci ha mentito. E quei gatti! Non potrò mai dimenticare quando siamo passati di fronte al suo eremo e io stavo per chiamarlo e poi…. l’ho visto in compagnia di quei maledetti gatti. Mentre noi fuggivamo terrorizzati da quella specie di squadrone che ci stava inseguendo e circondando dal bosco intero, lui li accarezzava affettuosamente. L’ho trovato ancora più agghiacciante del cadavere cristallizzato nel santuario.

Insomma, sarebbe bene che io cercassi di conquistarmi la sua fiducia, per tenerlo d’occhio, e se poi magari davvero conosce la Lingua Antica,  potrebbe aiutarci a conoscere i misteri del Santuario d’Ambra, ma mi spaventa l’idea di tornare là, in quel luogo strano e maledetto».

«Una bella fregatura, eh? E probabilmente è un amichetto della Fata che ha rivelato agli Akapri l’esistenza del santuario».

«Sicuramente è un tipo che nasconde qualcosa, e ti do ragione: parliamo d’altro. Come sta il bambino di Thymrel? In questo momento m’interessa molto di più del santuario e di tutti gli intrallazzi che vi circolano attorno».

«Sta sicuramente meglio. È un bambino bellissimo, ma ha un’apparenza gracile. Piange pochissimo, e ti guarda con quei grandi occhi neri, occhi che sembrano guardare il mondo intero in un solo sguardo. È bello come la madre, le somiglia, ma gli occhi…. gli occhi devono essere del padre. Grandi e neri. Bellissimi, ma così strani.

LOVECRAFT 125: I GHOUL E LA LUNA DEI SOGNI NELLA RICERCA DEL KADATH

LOVECRAFT 125: I GHOUL E LA LUNA DEI SOGNI NELLA RICERCA DEL KADATH

mercoledì 25 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 100° pagina.


scoperta del santuario si propagherà nel Regno Verde. E sicuramente presto arriveranno in gran numero.

La Reverenda Madre Axili Kalpur mi ha detto che la Regina è già stata avvertita della scoperta da parecchi giorni e pare che abbia espresso l’intenzione di venire a visitarci.

Credo che sia la prima volta che una Regina passa da queste parti dall’inizio della storia del Veltyan. Siamo diventati famosi, Larsin. E non sono sicuro che sarà una buona cosa, almeno per me. Non vivremo più tranquilli».

«Come hanno fatto ad avvertire la Regina in così poco tempo e a ricevere persino una risposta? Sono passate solo due settimane, e dici che la  nostra sovrana è stata avvertita già da parecchi giorni?».

«Gli Shepenna di Enkar hanno una sfera di cristallo alchemico. Tutti gli Shepenna del Veltyan hanno una sfera di cristallo alchemico per poter comunicare direttamente con la Regina, così come anche tutti i capi militari. Privilegi dei kametheina athumiakh, i sacerdoti della nobiltà».

«Ne avevo sentito parlare da ragazzo, quando facevo il soldato, ma non c’avevo mai creduto. Mi sembrava una cosa troppo fantastica da credere, anche per i prodigi dell’alchimia moderna».

«Ti dirò… neanche io ho mai avuto la fortuna di poter vedere una di quelle sfere. So che per produrne una, ci vuole molto tempo e molto lavoro».

«Scommetto che Maxtran prima o poi ne vorrà una anche lui, per poter parlare direttamente con la Regina!».

«Io mi domando se Maxtran saprà giocare bene le sue carte. Sicuramente prima o poi ci sarà chi vorrà portargli via il suo tesoro. Gli auguro di riuscire a tenerselo, per lui e per i suoi figli».

«Stai pensando a quella vecchia avida di Errani Kaper?».

«No, sto pensando a gente molto più potente e astuta di lei».

«Del tipo?».

«Oh, di qualsiasi tipo. Io credo che non ci siamo ancora resi ben conto del valore di quello che possiedono gli Akapri, e quando questo avverrà, per loro cominceranno i veri guai.

La Shepen di Enkar ha già nominato uno studioso del quiru, la Lingua Antica, incaricato di studiare e tradurre le iscrizioni del Santuario d’Ambra. Non sappiamo quanti segreti nasconde quel luogo. L’alkati mi ha detto che sono già venuti alcuni importanti alchimisti per poter studiare i materiali del santuario e un architetto per studiarne la struttura. Ci sarà una corsa a carpire i misteri di quel luogo, e di conseguenza anche di carpirne il monopolio.

Intorteranno lui e la sua famiglia per ottenere l’influenza su di lui, per guidare le sue decisioni, dato che non potranno espropriarlo… sempre che non ricorrano a qualche imbroglio».

«E tu, Velthur? Tu che cosa dici di questa scoperta? Cosa ne pensi? Io il Santuario d’Ambra l’ho visto una sola volta, e quando ho guardato dentro la tomba e ho visto quel corpo…. credo che non vorrò più metterci piede. È la cosa più spaventosa che abbia mai visto in vita mia. È morto, ma sembra vivo…. cioè sembra un fantasma che sia sul punto di diventare vivo. È trasparente come un cristallo, ma sembra un uomo vero, è bellissimo e mostruoso…. ed è così grande e grosso…. non avevo mai visto un Gigante, e il primo che vedo è un cadavere con quell’aspetto terrificante. Sei riuscito a capire qualcosa di quell’essere?».

«Qualcosa, appena qualcosa. Io non conosco il quiru, la Lingua Antica dei Giganti, ma ne conosco l’alfabeto. L’altroieri mi sono portato da casa carta, penna e inchiostro e ho cominciato a trascrivermi tutte le scritte incise sulle pareti del santuario. È un testo veramente lungo e certamente racconta soprattutto la storia del Gigante, ma credo che riguardi anche altre cose legate alla sua vita.

Comunque il nome del Gigante è evidenziato da un segno rettangolare dai bordi arrotondati che lo circonda ogni volta, e quindi perlomeno ho saputo come si chiamava: Anemexin. Ma praticamente è l’unica cosa certa che sono riuscito a capire. Una cosa che mi è parso di capire, soprattutto dai bassorilievi, è che doveva esserci una grande città dei Giganti a poca distanza da qui. Se si potrà scoprire l’esatta ubicazione, forse si potrà scavare e ritrovarla. Sicuramente le sue rovine sono sepolte dal fango del Diluvio, ma se è stato possibile recuperare il Santuario d’Ambra, con tutta probabilità lo si potrà fare anche con questa città».

LOVECRAFT 124: IL VOLTO DEGLI DEI DELLA TERRA SUL MONTE NGRANEK

mercoledì 18 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 99° pagina.


Ero anche io in cima a Monte Leccio, sono stato io a chiedere a Maxtran, tramite un mio amico, di venire con me a fare un sopralluogo là, per capire cosa vi stava succedendo. Andrò a fondo della cosa, e vi riferirò tutto».

E mentre lo diceva, Velthur pensò che si trattava forse della più grande bugia che avesse mai raccontato nella sua vita. Perché, di ciò che avesse scoperto, non c’era alcuna assicurazione che ne avrebbe poi voluto parlare a delle persone che, nel suo intimo, disprezzava alquanto.

E, d’altra parte, aveva già dovuto conservare parecchi segreti su cose che aveva cercato di dimenticare, e che gli eventi recenti gli avevano fatto drammaticamente ricordare.

E fu proprio in quel momento che gli torno in mente Prukhu, il vecchio Sileno, il suo amico, che l’aveva lasciato una sera con frasi enigmatiche.

Quell’amico che ora voleva, a tutti i costi, ritrovare.





CAP. XI: L’EREDITÁ DELL’IGNOTO



Una sera di tiniantin, sesto giorno della settimana, a metà del mese della Vergine, Velthur e Larsin si concedevano un paio di calici di birra al Kranu Belz, l’osteria del Gatto Nero, accanto al ponte sul fiume di Arethyan, per parlare degli sviluppi della situazione.

La calura era finalmente finita, e seduti a uno dei tavoli sotto il portico dell’osteria,  si godevano il fresco delle ultime sere d’estate.

«Così, dunque, la Prima Reverenda Madre, la Shepen d’Enkar,  l’ha nominato kamethei etariakh del Santuario d’Ambra di Silen?» chiese Larsin, sorseggiando la sua birra.

«Già, sacerdote della plebe. La Reverenda Madre voleva consacrare anche sua moglie Larthi, ma lei stranamente ha rifiutato. Non si sa perché. Così la nostra beneamata Shepen ha consacrato la figlia maggiore, Maxaleni, che ormai ha raggiunto la maggiore età, salvando così la tradizione che vuole almeno due sacerdoti, un uomo e una donna, per ogni tempio di una certa importanza, e possibilmente della stessa famiglia».

«Ah, sarà divertente chiamare d’ora in poi il vecchio soldato “Reverendo Padre”… te lo immagini, Velthur?».

«No, decisamente no. Ma pare che stia entrando molto bene nella parte. Si sta facendo crescere una folta barba sotto i suoi baffoni militari. E si sta comprando libri di teologia, di rituali e di misticismo per farsi una cultura sacerdotale. E a malapena sa leggere.

Diciamo pure che si è montato la testa. Ma sarebbe stato strano se non l’avesse fatto».

«Ambizioso lo è sempre stato. Il guaio è che non essendo riuscito a fare carriera nell’esercito, si è rassegnato a fare il contadino. Ma ha sempre cercato dei mezzucci per cercare di diventare ricco. Cose illegali. Coltivava l’assenzio per la produzione di birra verde e lo vendeva ai produttori della malavita di Enkar, mimetizzandolo con altri prodotti della sua fattoria. Ma adesso penso che non ne avrà più bisogno. Almeno credo. Ora dovrà cambiare vita, no?».

«Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Sai quanti sacerdoti si danno anche loro al commercio di birra verde?».

«Già… dimenticavo che tu sei un esperto di storielle piccanti sui sacerdoti… però credo che Maxtran ora farà un sacco di soldi. Chissà che non si raddrizzi».

«Oh, ci puoi giurare! Lo scorso usiltin hanno cominciato a venire i pellegrini dai paesi vicini, e parecchi curiosi. La famiglia Akapri ha improvvisato una locanda nel portico del cortile.

Proprio là dove abbiamo bevuto il sidro quell’altro usiltin…. io lo chiamo l’Usiltin Nero. Lì ristorano i visitatori in cambio dei soldi che, dicono loro, serviranno a sistemare l’entrata del Santuario d’Ambra. Così la gente si sente spinta a dare laute mance, pensando di conquistarsi il favore di Silen.
A Maxtran e Maxaleni hanno già dato un anticipo sul primo stipendio statale. Mi hanno detto che vogliono ampliare la fattoria, farla diventare una grande locanda per i pellegrini, perché presto cominceranno a venire anche da lontano, da sempre più lontano man mano che la notizia della

LOVECRAFT 124: L'HATHEG-KLA, LA LUNA DEI SOGNI, I GHOUL E I MAGRI-NOTTURNI

lunedì 16 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 98° pagina.


L’alkati sorrise di compiacimento.

«Allora sembra che la Fata ci tenesse veramente tanto, a che poteste entrare qua dentro. Non si è limitata a darvi una semplice informazione!».

«Si può sapere dove volete arrivare, mia cara alkati Kaper? Temete qualche oscura trama fatata?».

«Voi no, Reverenda Madre? Non c’è da fidarsi delle Fate. Anche se vivono nel nostro regno, non ne fanno parte. Non seguono il culto di Sil, non seguono i nostri costumi, non vivono secondo le nostre leggi. Solo i contadini, i vagabondi e i briganti si fidano di loro, ma nello stesso tempo le temono, e stanno bene attenti a non contrariarle. Nascondono troppi segreti, e sanno troppe cose. Leggono nei pensieri degli Uomini, leggono nel passato, leggono nel futuro, vedono ciò che avviene in luoghi lontani da loro, nulla delle nostre vite può rimanere nascosto ai loro occhi, se decidono di ficcarci il naso. Sfuggono a ogni controllo, si possono insidiare ovunque.

Non si può essere sereni e tranquilli ogni volta che sappiamo che in qualche modo coinvolgono le nostre vite, e questa volta hanno scelto un modo davvero grande ed eclatante, per influenzarle.

Io dico che un dono troppo grande da parte loro implica un costo del pari troppo grande».

«E cosa proporrebbe di fare? Richiudere il tempio e dimenticarlo?».

«No, certamente! Ma penso che dovremmo scacciarle dai nostri boschi, se sono venute a stabilirsi qua. Maxtran ha detto che ha trovato lo scialle sul Monte Leccio perché era andato a farvi un sopralluogo, avendo visto i fuochi fatui del belk. Qui prima d’ora le Fate non si erano mai stabilite. Oh, a volte capitano di passaggio, ma loro vivono presso le Colline di Leukun, a parecchi chilometri da qui. Se si sono stabilite qui vicino, sarebbe bene sapere il perché, e se non vogliono dare spiegazioni, sarà bene allontanarle».

«Pessima idea. Ci metteremmo contro parecchia gente. Soprattutto adesso. Quando la gente del paese, e dei paesi accanto, comincerà a voler visitare questo luogo, a venirvi in pellegrinaggio, e saprà che è un dono di una Fata, la popolarità del popolo fatato aumenterà ancora di più presso il popolino».

«Appunto. Questo può già far rivelare il loro intento. Con questo dono, acquisteranno un enorme influenza sul nostro popolo. Attraverso questo tempio, riusciranno a divenire sempre più autorevoli presso i poveri e gli umili, allontanandoli dall’autorità, e prendendo sempre più potere.

Per questo dico che Maxtran e la sua famiglia non devono raccontare in giro come sono venuti a sapere di questo luogo. Che raccontino di averlo trovato per caso, e che se qualcuno dovesse insinuare o dichiarare la vera origine della loro scoperta, egli e la sua famiglia lo neghino!»

Maxtran però non era d’accordo. Il suo onore di vecchio soldato se ne risentì alquanto.

«Sarebbe un’ingratitudine e una vile menzogna negare la verità sulla nostra benefattrice!».

«Ecco, vedete, Reverenda Madre e Reverendo Padre? Si sono già assicurate la lealtà di un vecchio veterano, un uomo che ha combattuto per tanti anni per difendere il Veltyan a rischio della sua vita. Non è forse una dimostrazione di quanto astuta è stata la loro azione?».

«Cosa state insinuando, alkati? Che la mia fedeltà al Regno Verde e alla nostra Regina verrebbe meno a causa della mia riconoscenza nei confronti della Fata? Mi sospettate di tradimento? Di cosa state blaterando? Di complotti oscuri che vedete solo voi! Tacete, dunque! Vi ricordo che, bene o male, siete a casa mia. Questo luogo è mio, secondo la legge del Regno Verde che ho difeso e che mi ha ricompensato donandomi questo terreno e quindi tutto quello che avrei scoperto sotto di esso! E che questo Dio al cui cospetto ci troviamo vi maledica e vi scacci dalla Sua presenza, se continuerete ad insinuare menzogne in casa mia!».

A quel punto, Errani pensò bene di tacere. La sua tattica non si era dimostrata vincente, al momento. Doveva trovarne un’altra, per raggiungere i suoi scopi.

Solo in quel momento Velthur pensò di intervenire, appoggiando la sua mano sinistra sulla spalla di Maxtran.

«Sono pienamente d’accordo con Maxtran. Anche se le Fate possono avere avuto dei secondi fini nel rivelargli questo santuario, non abbiamo motivo per essere sospettosi. Io credo che, se non è stato un semplice scambio di favori, ci faranno sapere presto se c’è dell’altro. E io stesso mi curerò di andare a fondo di questa faccenda.

LOVECRAFT 123: L'INIZIO DELLA RICERCA DEL MONTE KADATH

domenica 15 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 97° pagina.


dire loro di cosa si trattasse. E parlò anche dell’enigmatico monito che aveva proferito, cioè che non avrebbero dovuto toccare per nessun motivo ciò che si trovava “dietro l’altare”.

Mentre raccontava, Velthur sudava freddo. Avrebbe preferito che Maxtran avesse raccontato solo a lui quella storia, che tra l’altro aveva collegamenti con quello che era successo sul Monte Leccio. L’emozione, o meglio l’esaltazione, l’avevano reso imprudente. Quello che aveva scoperto era troppo anche per un vecchio astuto veterano come lui.

I due sacerdoti, l’alkati e i tre gendarmi si guardarono fra di loro, perplessi e sconcertati.

Anche questa volta, fu Errani Kaper a parlare per prima.

«Tutto questo in cambio della restituzione di uno scialle? Le Fate, dunque, sapevano di questo posto?».

«Quelle sanno tutto. Vedono ciò che noi non vediamo, sentono ciò che noi non sentiamo. Non lo sapete, alkati?»

«Reverenda Madre, io non mi stupisco del fatto che chi pratica la magia potesse sapere già di questo luogo, quanto piuttosto del perché alle Fate potesse interessare che noi lo scoprissimo».

«Come sarebbe a dire?».

«Beh, non vorrete mica credere che semplicemente la Fata in questione voleva solo ricompensarli di avergli restituito uno scialle, vero?».

«Perché no? In fin dei conti, a lei non è costato niente, no? Il tempio era qua da sempre, la Fata ha solo dovuto dire loro dov’era. A quanto ne so, le Fate danno molta importanza ai loro oggetti personali, perché oltre a quello non possiedono niente, vivendo nella foresta e presso le fonti, senza averi e senza proprietà.

Ma all’opposto, per loro quello che per noi è tanto prezioso non vale nulla o quasi. Scommetto che questo tempio nella sua magnificenza non è assolutamente niente di più di una caverna come tutte le altre, per loro».

«Sarà…. ma mi sembra una strana coincidenza. Quella perde lo scialle in cima al monte, Maxtran lo ritrova, lei si presenta alla porta di lui, perché sa che l’ha preso lui e gli dice che guarda caso c’è una delle cose più belle e straordinarie di tutto il Regno Verde proprio nella sua proprietà…. Non vi sembra strano, Reverenda Madre? Se sapeva che Maxtran aveva raccolto lo scialle, non avrebbe dovuto sapere anche prima dove l’aveva perso?».

«E allora cosa dovremmo pensare? Che ci stia sotto qualche trappola fatata?».

«Non lo so. Cosa significa, per esempio, quella raccomandazione di non toccare ciò che sta dietro l’altare? Dietro l’altare ci sono solo i gradini e poi la statua del Dio, e sotto di essa c’è la tomba del Gigante. Ora, è ovvio che non bisogna toccare ciò che c’è di più sacro in questo tempio. Perché avrebbe dovuto fare una raccomandazione del genere?».

«Forse era un incitamento a proteggere il luogo da ogni sacrilegio».

«Forse. O forse non hanno capito bene cosa ha detto».

«Demoni degli Inferi, alkati! Ho capito bene cosa ha detto quella Fata. L’ho sentita bene sia io che mia moglie che i miei figli! Ha detto chiaramente che non dovevamo toccare per nessun motivo ciò che troveremo dietro l’altare. E infatti è una cosa… anzi due cose, che proprio non bisogna toccare! Forse non si fidava tanto di noi, ecco tutto! E per quanto riguarda lo scialle, dice che lei non poteva recuperare lo scialle su Monte Leccio perché era divenuto un luogo pericoloso per loro!».

«Davvero? E perché sarebbe diventato un luogo pericoloso?».

Maxtran avrebbe voluto mordersi la lingua per punirsi della sua loquacità.

«Uh, non lo so…. non me lo ha detto…. forse hanno paura di qualche brigante… che ne so io?».

Per fortuna sua, l’alkati non insistette.e la discussione si spostò subito dopo a cosa si sarebbe dovuto fare.

Maxtran disse che forse la cosa migliore sarebbe stata rimettere la lastra di pietra scolpita sopra l’entrata del tempio, per assicurarsi che nessun malintenzionato vi potesse accedere, in attesa che venissero gli inviati dell’autorità di Enkar o dalla capitale.

Il dottore colse l’occasione per domandargli come avesse fatto a sollevarla.

Maxtran, con un certo imbarazzo, gli raccontò la verità.

LOVECRAFT 122: ALLA RICERCA DEL MISTERIOSO KADATH


sabato 14 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 96° pagina.


Polenta Verde e a chiamarla così. E neanche loro si erano accorti di niente… fino a ieri! Ma ai tempi in cui fu costruita, non doveva essere semplicemente una tomba che era stata sigillata subito dopo la sepoltura del Gigante. Era un tempio, un santuario frequentato dalla gente che vi veniva ad adorare Silen e il Gigante. Vedete le ultime scene dei bassorilievi? Mostrano la gente in adorazione qui dentro.

La lastra di pietra che ha sigillato il luogo, deve essere stata posta molto tempo dopo, forse un poco prima del Diluvio, proprio per proteggerlo, forse».

«Il Tinsina Entinaga dice che a quel tempo, prima del Diluvio, la gente non ebbe nessun sentore della catastrofe. Vivevano, si sollazzavano, si godevano la vita e perpetravano il male senza preoccuparsi dell’avvenire, sicuri di rimanere a lungo su Kellur. Solo il saggio re Manowa, il  nostro Padre ancestrale, fu avvertito dal Dio dell’Abisso che sarebbero giunte le acque del Diluvio, e perciò solo lui e la sua gente poterono prepararsi al cataclisma e salvarsi, e i pochi pastori e montanari ignoranti che poterono salvarsi in cima alle montagne».

«Chissà…. forse non c’era solo Manowa a saperlo, o forse è stato lui stesso a far chiudere questo santuario!».

«Il Tinsina Entinaga dice anche il re Manowa venne, con la sua Arca della Salvezza, dall’Estremo Meridione oltre il Grande Oceano, dalla terra di Amentur. Non viveva qui, prima del Diluvio. Anzi, non venne qui neanche dopo il Diluvio, fu suo nipote Ankhaymon a giungere per la prima volta nel Veltyan e diventare il nostro antenato….».

Velthur sapeva che quella era anche l’occasione per lo scontro con l’ottusità dei sacerdoti.

«Forse il Tinsina Entinaga non dice tutta la verità…. forse qui scopriremo molte cose che non sono state scritte in quel libro».

«Ve lo lascio dire, perché so che siete un infedele, un miscredente irrecuperabile. Ma non pensiate che io sia disposto a credere che qui troveremo qualcosa che vada contro i testi che i nostri antenati ci hanno lasciato per volere degli Dei, in cui voi non credete».

«Oh, io non pretendo certo di convincervi di niente. Semplicemente, spero che queste iscrizioni ci dicano cose che prima non sapevamo. Staremo a vedere, sarà un lungo studio….».

«Invece di pensare a ciò che potrebbe succedere in futuro, io penso a ciò che deve succedere fra poco. Domani mattina mi recherò io stesso ad Enkar, e chiederò udienza agli Shepenna per informarli di ciò che è stato scoperto qui. Chiederò che questo santuario venga dichiarato monumento storico e luogo di culto, e mi occuperò personalmente di celebrare i riti per onorare Silen…..».

«E cercherete di attirare pellegrini a man bassa per guadagnare un bel po’ di soldi da spartire con gli Akapri, con i quali in ogni caso dovrete fare i conti….».

«Sempre che non vogliano vendere la proprietà…..».

«Per che cifra, Reverendo Padre? Crede di poterli imbrogliare? Avrebbero capito da soli l’importanza di quello che hanno, anche se non glielo avessi detto io!».

«Ci potete giurare, dottore! E adesso posso dirlo: questo posto ce lo terremo ben stretto, perché è un regalo che è stato fatto a noi, da una Fata in persona!».

Il gruppo di autorità rimase in silenzio, mentre prima parlavano fra di loro concitati ed emozionati. La voce di Maxtran aveva sopravanzato tutte le altre, risonando nella cupola, e dando alle sue parole un tono da decreto divino e sacro.

Inoltre, alle autorità del Veltyan, di qualsiasi tipo, non faceva mai piacere sapere che in una qualsiasi questione vi entrassero le Fate.

La prima a rompere il silenzio fu l’alkati Kaper.

«… come, scusate? Questo posto vi è stato regalato da una Fata? In che senso, dato che era già di vostra proprietà?».
A quel punto, Maxtran vuotò il sacco. Parlò dello scialle fatato che aveva trovato in cima a Monte Leccio, della Fata che era venuta due notti prima a chiedere indietro lo scialle in cambio di un regalo, cioè della rivelazione dell’ubicazione di qualcosa di prezioso nascosto nel terreno, e di come li aveva condotti proprio all’ingresso del santuario sotterraneo, dicendo loro di scavare ma senza

LOVECRAFT 121: IL FINALE DE "LA CASA MISTERIOSA LASSU' NELLA NEBBIA"


venerdì 13 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 95° pagina.


Lo stile in cui erano stati scolpiti i bassorilievi d’ambra era quello che aveva già visto in altri reperti disegnati sui suoi libri. Una volta, a Enkar aveva visto in casa di un ricco collezionista il frammento di un vaso antidiluviano, con disegni che ricordavano quei bassorilievi.

Chiaramente, i bassorilievi narravano la storia del personaggio che era sepolto in quel luogo. Si vedevano scene di battaglie con guerrieri rivestiti da corazze di squame e placche di metallo, con elmi cornuti;  alcuni erano Giganti, altri erano Uomini. I Giganti erano i condottieri degli eserciti, e fra tutte le figure, ne spiccava una più alta di tutti gli altri, con un elmo che rappresentava una testa di toro, la testa calva quando era scoperta, e una lunga barba intrecciata.

I bassorilievi lo mostravano mentre vinceva eserciti nemici di Uomini e Giganti. Una serie di battaglie che si concludeva con il trionfo finale, con i vinti condotti nudi e in catene dietro il cocchio del vincitore che attraversava una città dalle alte torri.

Ma c’erano anche altri bassorilievi, che narravano altri episodi della vita del re o condottiero senza nome.

Una delle scene finali riguardava, a sorpresa, un Nano. Lo si vedeva chiaramente ricevuto dal condottiero gigantesco nel suo palazzo. Il Nano gli offriva un oggetto particolare, inidentificabile. Sembrava una specie di cristallo, di pietra sfaccettata in modo da sembrare un fiore, dai petali acuminati. Pareva una sorta di giglio stilizzato.

La scena seguente era ancora più enigmatica: si vedeva il Gigante che teneva in mano il presunto fiore di cristallo e lo fissava, mentre da esso sembrava promanare una sorta di nebbia, o di nuvola, che saliva in alto e in cui compariva un grande occhio, inquietante e inumano, con l’iride a cerchi concentrici.

Nella scena seguente, si vedeva la morte del Gigante, caduto a terra con un’espressione di orrore sul volto. Nella scena seguente, il Nano veniva decapitato pubblicamente.

La scena finale mostrava la sepoltura del Gigante nel mausoleo-tempio, in cui poi veniva adorato come una divinità assieme al Dio-Toro, sotto la cui immagine era stato sepolto.

Dai bassorilievi, sembrava di capire che lo considerassero un figlio, o forse un’incarnazione dello stesso Dio-Toro.

Dopo aver guardato i bassorilievi, Velthur guardò le iscrizioni. Vedeva chiaramente che si trattava dell’antico alfabeto antidiluviano, da cui derivava l’attuale alfabeto dei Thyrsenna.

Da giovane aveva imparato - più per gioco che per vero interesse - quell’alfabeto, ma dell’antica lingua antidiluviana non sapeva praticamente nulla, se non qualche parola.

Anche se la lingua thyrseniakh derivava dall’antidiluviano, c’erano stati troppi cambiamenti perché si potesse capirla con facilità, se non per qualche parola rimasta abbastanza simile.

«Bisognerà trovare un esperto dell’antico quiru, la lingua antidiluviana, per riuscire a scoprire cosa narrano queste iscrizioni. Io purtroppo non posso tradurle».

«Ma si può, dottore?» chiese Atar, che si era avvicinato anche lui ai bassorilievi «Potremo sapere tutta la storia di quel Gigante?».

«Sicuramente sì, ma chissà quanto tempo ci vorrà. Voi non conoscete nessuno che possa conoscere il quiru?».

«No, purtroppo. Ma appena si spargerà la voce, potete stare sicuro che molti studiosi di cose antiche si fionderanno qui, e faranno a botte per avere il privilegio di tradurre le iscrizioni».

«In ogni caso, ci vorrà molto tempo per riuscire a tradurre in modo credibile un così lungo testo in una lingua morta da quasi quattromila anni. E io sarei tanto curioso…. è l’occasione per conoscere molti segreti dimenticati del nostro passato. Un’occasione unica che dovremo stare attenti a non perdere».

«È incredibile il fatto che questo luogo abbia potuto conservarsi intatto fino ad oggi. Nessun ladro è entrato a derubare il luogo. A parte l’ambra alchemica, ci sono poi oggetti di elettro: gli orli dei tripodi, le corna e gli zoccoli del Dio, e diverse altre decorazioni».
«Il fatto che ci troviamo in un luogo abbastanza isolato e poco popolato ha fatto sì che nessuno pensasse di scavare qui. Nessuno qui ha mai saputo che si trattava di una costruzione artificiale. Prima che vi arrivassero gli Akapri, qui c’erano solo boschi. Sono stati loro a piantare le viti sulla

LOVECRAFT 120: GLI DEI DELL'ABISSO ARRIVANO ALLA CASA NELLA NEBBIA


giovedì 12 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 94° pagina.


noto, se qui ne è stata lasciata così tanta.  E proprio per questo bisognerà proteggere questo luogo dai predoni».

«Allora bisognerà anche provvedere che i proprietari del terreno in cui si trova questo tempio non cerchino di vendere tutta questa ambra alchemica, rovinando un così grandioso monumento….».

Cominciò a dire l’alkati, ma la Reverenda Madre Alixi la interruppe.

«Le leggi riconoscono la proprietà agli Akapri, ma nel caso di un luogo sacro sono vincolati dalle leggi a proteggere il luogo da ogni abuso!»

«…. Ma bisognerà aiutarli in questo gravoso compito! I gendarmi di Arethyan presidieranno giorno e notte il luogo, affinché i ladri stiano lontani».

«Fino a quando arriveranno gli uomini della guardia reale, a presidiare il posto, con tutta probabilità!».

Velthur fu il primo ad avere il coraggio di seguire Maxtran oltre l’altare, pensando che forse sarebbe riuscito a mantenere compatti tutti quanti contro l’avidità dell’alkati, anche se più probabilmente avrebbero finito per scannarsi tutti quanti l’un l’altro come cani attorno all’osso: gli Akapri, i sacerdoti e l’alkati e poi chissà chi altro, finché magari la questione sarebbe finita alla capitale, di fronte alla Regina e al Magistero, perché si trattava di una scoperta di importanza nazionale, e non poteva essere trattata dai poteri locali e tantomeno da proprietari privati, per quanto legittimi.

Si tenne per sé i suoi timori, comunque. In quel momento, gli interessava solo scoprire quel luogo meraviglioso.

«Guardi, dottore! Guardi questa tomba! Non è il corpo di un Gigante, forse?».

«Ma è una statua di vetro, non un cadavere! Probabilmente una copia del defunto, perché il corpo è andato perduto….».

«No, lo guardi bene, dottor Laran! Guardi i particolari dello scheletro dentro la sua carne di vetro! Questo era un corpo vivo, un tempo!».

Il cuore gli salì in gola quando si rese conto che era vero. Se l’ambra alchemica era qualcosa di raro ma di conosciuto, il processo di vetrificazione dei corpi era invece qualcosa che gli era del tutto sconosciuto, e che lo impressionò fortemente.

«Bellissimo…. e orribile allo stesso tempo!».

«Chi può essere stato, dottore? Un re, un condottiero? Quale può essere stato il suo nome e le sue imprese?».

«Le cronache di quei tempi sono andate perdute, Maxtran. Il Diluvio si è portato via quasi tutti i ricordi del passato, e noi abbiamo solo alcune leggende, alcune narrazioni sfocate e parziali. Ma forse qua dentro potremo trovare qualcosa che ci faccia capire chi fosse questo essere, chi ha costruito questo tempio e questa tomba, e perché….».

Velthur si guardò attorno, e si avvicinò alle pareti scintillanti della cupola, poi però preferì dare prima un’occhiata ai tripodi che emanavano fiamme scarlatte.

«Vede il liquido che brucia nei bacili, dottore? Brucia e non brucia…. cioè…. le sue fiamme sono fredde, non emanano calore. Sono come le lampade perenni, ma un po’ di calore lo mandano anche le lampade perenni, queste fiamme invece sono proprio fredde e se ci immergi dentro le mani non ti fanno niente. Ha mai visto niente del genere?».

«Neanche quello. Tutto qua dentro dimostra che in quell’epoca remota l’alchimia aveva raggiunto livelli molto superiori al nostro, forse persino a quello dei Mastri Nani. D’altra parte, ho letto che infatti gli stessi Mastri Nani dicono che il Diluvio ha portato via molti dei loro segreti, e che il sapere dei loro antenati era molto superiore al loro. Ma può darsi che qualche alchimista possa analizzare questo strano liquido e riprodurlo».

Avvicinandosi alle pareti rivestite di pannelli d’ambra, vide che erano interamente decorate con bassorilievi che correvano in fasce alte circa un metro ciascuna, e parecchie scritte che correvano fra una fascia e l’altra.

LOVECRAFT 119: L'ABITANTE DELLA CASA NELLA NEBBIA


mercoledì 11 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 93° pagina.


Dopo pochi minuti, una colonna di lampade perenni illuminò la galleria che era rimasta chiusa e immota per almeno più di quattro millenni.

I due sacerdoti avevano già cominciato a salmodiare le loro litanie di invocazione agli Dei, stringendo con la mano sinistra le loro croci ansate di oro alchemico appese al collo, perché li proteggessero entrando in quel luogo nascosto.

«Ho sempre pensato che questa collina fosse in realtà un tumulo artificiale» disse Velthur. «Ci sono molte altre formazioni in giro per il Veltyan e, da quel che ne so, anche aldilà del Veltyan, secondo i resoconti di alcuni viaggiatori».

«E anche quegli altri tumuli hanno templi o tombe al loro interno?» chiese l’alkati, interessata.

«Alcuni sono stati scavati al loro interno, e si sono scoperte delle cavità in cui effettivamente c’erano tombe, con ricchi corredi funerari. In alcuni casi però sembra che i ladri di tombe fossero arrivati prima. Questo ritrovamento sarebbe eccezionale anche per questo motivo, se davvero non è venuto mai più nessuno, dal momento della chiusura del tempio».

Ovviamente un coro di esclamazioni scoppiò quando il gruppo si trovò dall’altra parte della galleria. Rimasero tutti senza parole, guardandosi attorno increduli.

Maxtran fece un gesto con la mano mostrando con orgoglio la magnificenza del luogo, sentendo un senso di trionfo incredibile.

«Ora penso che mi crediate, no?»

Atar cadde in ginocchio, guardando la statua della divinità taurina che troneggiava sopra di loro, oltre i gradini che salivano dietro l’altare.

«Silen! Il Grande Toro dei Cieli! O Signore Benedetto, grazie per accoglierci nella Tua casa magnificente!».

E si gettò a terra lungo disteso, con le braccia stese in avanti.

Uno dei gendarmi, quasi credendo che fosse inciampato per terra, fece per sollevarlo.

Ebbe una buona idea, perché non gli fu facile risollevare la sua mole da solo.

«Chi è Silen?» chiese l’alkati.

«Era il Dio che veniva adorato dagli Uomini e dai Giganti antidiluviani, secondo il Tinsina Entinaga, il libro che narra dei tempi di prima del Diluvio, Silen dominava Kellur in quel tempo lontano. Il Suo culto è quasi dimenticato,  ma ogni tanto noi sacerdoti lo ricordiamo nelle nostre preghiere e nei nostri riti. Questo è davvero un tempio di prima del Diluvio, perché è chiaramente stato consacrato a Lui!».

Il più ammirato era Velthur, perché era quello che più comprendeva la grandezza e la magnificenza di ciò che stavano guardando.

«Ambra alchemica! Tutto questo luogo è interamente fatto o rivestito di ambra alchemica! Una delle sostanze più pregiate che esistano, perché nessuno, nel Veltyan, conosce il segreto per fabbricarla! Questo luogo ha un valore incalcolabile!».

«Dice davvero, dottore? Intende dire che ci troviamo di fronte a uno dei più grandi tesori del Regno Verde?».

«Direi di sì. A parte il fatto poi che il valore storico di questo luogo lo rende già prezioso oltre misura. Di fatto, questo luogo è così importante che…. praticamente è intoccabile! Per proteggerlo non basteranno i gendarmi! Maxtran non avrebbe potuto rendersi conto dell’importanza di ciò che ha scoperto. Forse non riuscirò a capirlo nemmeno io!».

«Va avvertito e convocato qui l’alkati e gli Shepenna di Enkar, e bisognerà inviare un messaggio alla Regina in persona, allora!».

«Dottore, ma davvero l’ambra alchemica vale così tanto?» chiese uno dei gendarmi.

«Sì, perché il suo segreto è andato perduto nel tempo. Solo alcuni dei Mastri Nani delle Montagne della Luna, a quanto ne so, ne conoscono e ne conservano gelosamente il segreto. Nessun alchimista del Veltyan è mai riuscito a scoprire il procedimento per produrre questa sostanza pregiata.
Invano gli Uomini del Veltyan hanno cercato di carpire il segreto dai Mastri Nani, perciò l’ambra alchemica è rara e preziosa nel nostro paese. Evidentemente, prima del Diluvio era un segreto ben

LOVECRAFT 118: LO SCENARIO DELLA CASA MISTERIOSA NELLA NEBBIA.


martedì 10 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 92° pagina.


Seduta nel cocchio sotto il baldacchino, muovendo ininterrottamente il suo ventaglio, l’alkati chiedeva il parere del dottore, nel tentativo di poter valutare in qualche modo la situazione ancor prima di arrivare alla Polenta Verde.

«Dottore, voi che siete una persona così colta…. pensate di poter valutare il valore di questo presunto tempio sotterraneo?».

«Non sono un esperto di oggetti antichi, signora Kaper, ma penso di poter dire che, se è vero tutto quello che Maxtran dice, e penso che sia sincero, ci troviamo di fronte forse al più grande ritrovamento dei tempi antidiluviani che siano mai stati scoperti in tutto il Veltyan».

«Significa dunque che potremmo diventare una delle località più famose e rinomate di tutto il Regno Verde?».

«Decisamente sì, se è vero quello che ci ha raccontato Maxtran».

L’alkati si sentì temporaneamente soddisfatta. Si rilassò sul suo sedile e cominciò a meditare e progettare il futuro, domandandosi se sarebbe stato possibile espropriare la famiglia Akapri e farne una proprietà dello Stato che, naturalmente, sarebbe stata amministrata da lei.

Dentro di sé, Velthur invece pensava a come fare per metterle i bastoni tra le ruote, dato che sapeva benissimo cosa stava meditando la vecchia arraffona.

Quando arrivarono alla fattoria degli Akapri, trovarono i coniugi Kalpur che stavano seduti nel portico di fronte al cortile, conversando con Larthi che aveva servito loro acqua, cibo e vino.

«Finalmente siete arrivata, alkati!» la salutò il sacerdote Atar, alzando faticosamente il suo grosso e grasso corpo dalla sedia del portico.

«Reverendo Padre, quando succede qualcosa nei villaggi, i sacerdoti sono i primi a saperlo e gli alkati gli ultimi. Se fossi stata la prima ad essere avvertita, potreste giurarci che sarei già stata qui da parecchio tempo!».

«Suvvia, mia cara signora Kaper, sappiate che non siamo neanche andati a vedere da soli questo tempio favoloso di cui parlano i qui presenti Akapri, solo per aspettare la vostra venuta».

«E come mai? Non avevate fretta di sapere se si trattava davvero di un luogo sacro, da onorare degnamente per non attirare l’ira della divinità che lo possiede?».

Atar allargò le braccia, con un sorriso pacioso e paciere sulla lunga barba sale e pepe.

«Ma perché si tratta di una cosa così eccezionale che dovremo pure decidere assieme che cosa fare di questa grande scoperta!».

Poi si voltò reverente verso Larthi.

«Intendo… con l’accordo e il permesso dei qui presenti proprietari della scoperta, beninteso!».

«Bene, allora non perdiamo altro tempo. Sono molto ansiosa di vedere questo luogo favoloso!».

Maxtran, che aveva preceduto il cocchio dell’alkati a cavallo, era già giunto all’entrata del tempio, dove il figlio minore di sedici anni, Haral, sorvegliava il luogo.

Quando si trovarono tutti là, la sacerdotessa Alixi disse: «Dovremo davvero entrare in quel buco oscuro in fondo a quelle scale? Sembra l’entrata all’Orkhun! Non c’è pericolo di crolli?».

«Reverenda Madre, facciamo così. Prima scenderà Maxtran Akapri con i gendarmi, seguiti da me e dal dottore, e voi e il vostro augusto consorte ci seguirete quando vi avremo assicurato che non sembrano esserci pericoli…. o se preferite, restate pure qui voi e lasciate andare il Reverendo Padre, ché tanto basta un solo sacerdote per officiare il rito di benedizione».

Il tono canzonatorio dell’alkati indispettì e offese la sacerdotessa quel tanto che bastava per far sì che il suo orgoglio battesse i suoi timori.

«No, procedo io e mio marito con i gendarmi, e voi, alkati, procedetemi dietro! Come avete detto voi stessa, siamo stati noi i primi a venire avvertiti, come era giusto che fosse!».

Maxtran bisbigliò nell’orecchio di Velthur.

«Non sapevo che ci fosse così poca amicizia fra l’alkati e i sacerdoti….».

«Mio caro amico, credo che i Kalpur detestino l’alkati più di quanto detestano me, anzi sicuramente. Io sono solo seguace di un’altra religione, in fin dei conti, ma l’alkati ha il triplo dei soldi e dei beni che hanno loro….».

LOVECRAFT 117: LA CASA MISTERIOSA LASSU' NELLA NEBBIA


domenica 8 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 91° pagina.


Maxtran glielo spiegò, ma non gli raccontò tutta la storia di come l’avesse trovato, né della Fata, né di come l’entrata del tempio fosse stata scoperchiata misteriosamente durante la notte. Anche nella concitazione del momento, era abbastanza lucido da sorvolare sui particolari più strani e assurdi.

Non disse neanche nulla dello strano aspetto che aveva il corpo del Gigante dentro la tomba, né degli strani fuochi perenni che illuminavano il luogo. Disse solo che si poteva vederlo bene dietro una lastra di cristallo, e che c’erano delle lampade perenni che permettevano di vedere tutto molto bene.

Man mano che parlava e descriveva quello che aveva visto, Maxtran sembrava perdere la sua concitazione. E quando ebbe finito, il dottor Laran pensò bene di ammansire Alixi Kalpur..

«Sembra che sia necessaria una visita da parte sua o da parte del suo consorte, Reverenda Madre. Se è davvero un tempio sotterraneo, quello che ha scoperto il qui presente Maxtran Akapri, bisognerà fare visita alla divinità che vi alberga e ammansirla con qualche preghiera e qualche offerta. Non potrà certo permettere che possa venire profanato un antico luogo consacrato….».

«Si preoccupa degli Dei, dottore? Comincia a credere alla loro esistenza?».

«Oh no, non ci speri. Volevo solo dire che, per chi crede in loro, è necessario che un sacerdote o una sacerdotessa si rechino nella proprietà degli Akapri a verificare e a svolgere il loro dovere. Non certo quello richiesto da me, ma quello richiesto dagli stessi Dei che dicono di servire…. o sbaglio?».

«No, non sbaglia. Ma lei crede davvero che questo vecchio avvinazzato abbia scoperto un tempio segreto nel suo campo?».

«Se non volete venire voi, Reverenda Madre, vedrò di andare io a verificare. E sicuramente profanerò quel tempio con la mia empia presenza di seguace di un culto nemico degli Dei».

La sacerdotessa sospirò e lo guardò con un cipiglio fra la disapprovazione e la sopportazione, poi si avviò verso casa.

«Vado a dire agli schiavi di preparare il cocchio. Ma dovrò aspettare il rientro di mio marito. È fuori di casa per officiare proprio la benedizione di un campo di mais, guarda caso».

«Bene, Maxtran, andiamo ad avvertire l’alkati. Scommetto che quella, invece, non sarà affatto scettica al riguardo. Se trova anche una sola possibilità di guadagnare qualcosa, si può star certi che coglie subito l’occasione!».

«Quella avrei voluto avvertirla per ultima. D’altra parte, non si poteva nasconderglielo. Ma non vorrei mai darle l’occasione di appropriarsi di quello che ho trovato, a meno che non me lo paghi a peso d’oro. E credo che solo la Kyrenni in persona, o un membro del Magistero, o uno dei più ricchi e potenti Shepenna, potrebbe permetterselo».

«Ti auguro che sia vero. Ma allora, forse ti sarebbe difficile trovare un acquirente per il tuo tesoro».

Si avviarono verso la palazzina dell’alkati, e come aveva previsto il dottor Laran, Ennari Kaper subodorò l’occasione per guadagnare qualcosa di consistente. Sapeva bene che nobili, sacerdoti e ricchi alchimisti amavano le antichità, soprattutto antidiluviane. Se c’era modo di attirare l’attenzione di gente facoltosa su quel piccolo sperduto villaggio ai confini della civiltà, allora lei ne avrebbe ottenuto non solo importanti riconoscimenti, ma anche e soprattutto un notevole ritorno economico.

La possibilità di attirare pellegrini e curiosi in visita anche solo ai resti di quello che era stato un tempio antidiluviano era da prendere in considerazione, anche se era più probabile che il vecchio Maxtran si fosse rincoglionito.

Nel pomeriggio, tutte le autorità di Arethyan erano giunte, chi con il cocchio, chi a cavallo, ai piedi della Polenta Verde.

Velthur poté salire sul cocchio dell’alkati perché era considerato “esperto in cose antiche” in quel luogo dove le uniche persone con un’istruzione elevata erano i sacerdoti e i loro parenti prossimi. Nemmeno gli alkati in paesi del genere avevano una cultura che superasse di molto la capacità di leggere e scrivere decentemente.

Tre gendarmi seguivano a cavallo il cocchio dell’alkati, con l’ordine, una volta arrivati, di tenere lontana la gente che avesse voluto entrare nel tempio prima delle autorità.

LOVECRAFT 116: LA CONCLUSIONE DE "LA CHIAVE D'ARGENTO".


sabato 7 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 90° pagina.



CAP. X:  IL SANTUARIO D’AMBRA

 

La notizia della scoperta del misterioso tempio ipogeo e mausoleo si sparse ad Arethyan in brevissimo tempo, dato che Maxtran cercò di dargli la massima pubblicità.

Perun era rimasto a sorvegliare l’entrata, mentre Maxtran era corso a dare la grande notizia alla moglie e agli altri figli, poi prese il suo cavallo e lo spronò verso il villaggio.

Le prime persone ad essere avvertite furono ovviamente i sacerdoti del tempio di Sil, e subito dopo l’alkati, la matriarca-borgomastra di Arethyan, e i gendarmi del villaggio.

La giornata degli Akapri fu per loro la più caotica della loro vita, tanto che i lavori della fattoria ne ebbero un notevole detrimento.

Ma ancora prima di raggiungere il tempio di Sil, Maxtran dopo aver lasciato il suo cavallo all’entrata del paese, aveva fermato tutti i conoscenti che incontrava sulla via per comunicargli la grande notizia e avvertire quanta più gente possibile.

«Ho scoperto un grande tempio sotterraneo sotto la Polenta Verde! Un tempio costruito prima del grande Diluvio!».

Nel Veltyan, dire “una cosa di prima del Diluvio” significava dire qualcosa di antichissimo, prezioso e sacro come nient’altro al mondo. Il mito del mondo antidiluviano era qualcosa che segnava profondamente l’immaginazione dei Thyrsenna, come di una perduta età dell’oro che ognuno sperava di poter recuperare almeno in parte tramite il ritrovamento delle sue reliquie.

Ogni tanto veniva trovato qualche reperto, qualche rovina dissepolta, qualche tomba, qualche reperto rimasto conservato sotto gli strati di antico fango asciugatosi dopo il ritiro delle acque.

Ma non era mai stato trovato niente di così grande e nello stesso tempo del tutto intatto, né di così magnificente. E nemmeno di così sacro.

Non era solo una grande fortuna per gli Akapri, ma per l’intera comunità di Arethyan e anche per l’intero Enkarvian, considerato un’arretrata provincia di confine, lontana dai grandi centri della civiltà dei Thyrsenna.

Sul momento, alcuni pensarono che fosse impazzito o ubriaco, da tanto pareva esagitato e tanto assurde parevano le cose che diceva.

Qualcuno andò a chiamare il dottor Laran, dicendogli che Maxtran stava male e delirava in mezzo alla piazza del paese, ma quando il dottore uscì da casa sua per cercare Maxtran, questi era già entrato nel tempio di Sil per parlare con i sacerdoti.

Non gli restò che entrarci anche lui, presentendo - che Maxtran fosse impazzito oppure no - che anche quello era un altro capitolo di quell’assurda storia che stava avvolgendo il villaggio.

Trovò il vecchio veterano che parlava concitato con la sacerdotessa, nel cortile dietro il tempio, quello di fronte alla casa dei sacerdoti.

Appena lo vide, Maxtran quasi gli si gettò addosso.

«Dottore, lei almeno sono sicuro che mi crederà. Tutti questi bifolchi credono che io sia ubriaco o matto! Lo pensa anche la Reverenda Madre! Ho scoperto un tempio sotterraneo, con la tomba di un Gigante! Un Gigante vero! Dovrebbe vederlo, dottore! Dovrebbero vederlo tutti! Tutto fatto d’ambra! O di qualcosa che assomiglia all’ambra! Dedicato a un Dio con l’immagine di un toro…. anche lui tutto d’ambra e di metallo prezioso! Non ho mai visto niente di così bello e prezioso in vita mia! Quasi mi scoppia il cuore dalla meraviglia!».

La Reverenda Madre Alixi Kalpur fece una faccia molto contrariata vedendo che non solo il dottore miscredente era subito accorso a vedere cosa avesse Maxtran, ma anche che questi si fosse rivolto a lui come se fosse l’unico caro amico disposto a credergli.

«La gente semplice esagera sempre tutto. Trovano una vecchia reliquia e ti raccontano di aver trovato chissà quale tesoro! Potrei raccontarle, dottore, tante storie di presunti ritrovamenti preziosi nelle campagne, che poi si sono rivelati miseri cocci, se non addirittura imbrogli belli e buoni!».

«Maxtran Akapri è un vecchio veterano con la testa sulle spalle e poco disposto alla fantasia, Reverenda Madre! Comunque si può fare presto a verificare…. dove sarebbe questo favoloso tempio d’ambra?».

LOVECRAFT 115: LA CAVERNA DELLA CHIAVE D'ARGENTO


venerdì 6 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 89° pagina.


Ci volle un po’ di tempo prima che Maxtran si rendesse conto di trovarsi di fronte al cadavere di un uomo perfettamente conservato e cristallizzato. Un uomo gigantesco, alto almeno tre metri.

«Un Gigante antidiluviano!» esclamò nel silenzio della cupola..

Rimase paralizzato, ipnotizzato dalla figura stesa sotto di lui. Si inginocchiò sulla spessa lastra di vetro, chiedendosi come mai non ci fosse un velo di polvere sopra di essa, come se qualcuno l’avesse ripulita, o come se essa l’avesse respinta nei secoli.

Pose il suo volto proprio sopra il volto dell’essere cristallizzato, osservando i particolari del teschio dietro i vitrei e scintillanti lineamenti non del tutto umani.

Era la cosa più bella e terribile che avesse mai visto in vita sua. Di tutte le cose strane e inquietanti che aveva visto negli ultimi giorni, quella era senz’altro la più meravigliosa e terrificante.

Il corpo del gigante era nudo e massiccio, dalla muscolatura possente, come si era sempre immaginato dovessero essere i Giganti antichi. La testa era calva e glabra, perché evidentemente non erano riusciti a cristallizzare anche i capelli e la barba.

Non aveva mai visto un Gigante vivo, uno dei rari, regrediti resti della stirpe antica sterminata dal Diluvio, che pure vivevano in un’estrema provincia sud-orientale del Veltyan. E ora, il primo Gigante che vedeva in vita sua, e probabilmente l’unico, era un antico re o eroe di un tempo remoto, trasformato in una statua di vetro.

Non aveva mai sentito che si potesse fare qualcosa del genere con un cadavere, e si domandò che razza di segreti alchemici dovevano possedere i Giganti prima del Diluvio, quali arti perdute avevano reso possibile quello straordinario tempio-mausoleo fatto di una sostanza sconosciuta.

Il suo sguardo si fissò nel volto del Gigante, cercando di immaginarsi come doveva essere stato quando era ancora vivo. Aveva una mascella possente, un mento molto lungo e largo, ma una bocca stranamente piccola. I lobi delle orecchie erano allungati, come quelli della Fata che li aveva visitati l’altra sera.

 I suoi occhi erano aperti, anchessi vitrei, ma sembrava che vi avessero inserito due piccoli dischi di quella strana ambra al posto delle pupille, per dare l’idea di uno sguardo in qualche modo vivo, spalancato su una vitrea eternità. Con l’immagine del teschio che pareva di trasparente madreperla ed opale dietro il volto, e quegli occhi scintillanti d’ambra, l’effetto era estremamente inquietante.

A Maxtran sembrò di vedere il volto della Morte e dell’Eternità in una visione unica, una inquietante finestra sull’aldilà che gli parlava, lo fissava chiamandolo dalle frontiere dell’Aisedis, l’aldilà dei Thyrsenna.

Il dono della Fata era davvero troppo grande per lui.

Tutto solo per avergli restituito lo scialle. Ma forse, adesso non ne era più tanto sicuro.

Forse, la Fata aveva solo colto l’occasione per far trovare loro qualcosa che voleva venisse dissepolto.

Si riscosse, quando sentì in lontananza le urla di suo figlio, che lo chiamava.

Si era attardato troppo, non aveva mantenuto la sua promessa, ed ora Perun temeva per lui.

Si rialzò, riprese la sua lampada perenne e corse attraverso la galleria, la cui oscurità ora lo inquietava ancora più di prima, ora che sapeva cosa vi stava dietro. Aveva visto in faccia lo spirito che abitava quel luogo perduto, di cui cianciava tanto sua moglie, e che sicuramente neanche lei avrebbe potuto immaginare nella sua inquietante magnificenza.

Arrivato trafelato all’inizio della galleria, trovò suo figlio che lo aspettava in fondo ai gradini, spaventato.

«Ero quasi sul punto di venirti a prendere! Non potevo andarmene lasciandoti solo là dentro!».

«Perdonami, figlio mio! Quello che ho trovato supera ogni nostra aspettativa! Possediamo credo uno dei più grandi tesori del Regno Verde, forse di Kellur intera! Ora sta pur sicuro che non ho paura di essere derubato! Quello che c’è là dentro è così grande e sacro, che nessuno può rubarcelo! Chiamiamo tutti quanti!».

LOVECRAFT 114: IL VIAGGIO NEL PASSATO NE "LA CHIAVE D'ARGENTO"


lunedì 2 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 88° pagina.


Quando attraversò l’entrata, rimase senza fiato per la magnificenza di ciò che si trovava dietro.

Il blocco di presunta ambra era la cosa meno magnificente di quello che vi si trovava oltre.

Ora, per la prima volta, poteva capire perché la Polenta Verde aveva quella forma a cupola che gli aveva suggerito che si trattasse di una collina artificiale.

Dietro quello che sembrava essere un altare, c’erano degli ampi gradini di pietra scura che portavano alla grande sala che era stata costruita all’interno della collina, o meglio esattamente al centro della sala.

Il luogo aveva una struttura stranissima, l’altare d’ambra si trovava in una sorta di vasca di pietra, da cui si usciva tramite i gradini che si trovavano al lato opposto dell’entrata alla sala.

La sala era a forma di cupola, ed era letteralmente lastricata di piastre e ornamenti della stessa sostanza di cui era fatto lo strano altare. Ornamenti di quella stessa arte, quello stesso stile che aveva visto su quel vaso antidiluviano di bronzo visto tanti anni prima sulle montagne del nord.

Ma la cosa più magnificente era la grande statua di toro che troneggiava proprio di fronte ai gradini dietro l’altare d’ambra, anch’esso sempre della stessa sostanza giallo-arancio e trasparente, a parte gli zoccoli, gli occhi e le corna a falce di luna, che parevano essere fatti di un oro pallido. Forse di elettro, una lega di oro e argento.

Si capiva bene che era quella la divinità a cui era stato dedicato quel tempio sotterraneo. La divinità evidentemente veniva invocata sull’altare dai sacerdoti che offrivano i sacrifici.

Con reverente timore, salì i gradini verso la gigantesca statua. Posò la sua spada proprio ai piedi dei gradini, per timore di offendere lo sconosciuto Dio-Toro.

La sua statua doveva essere alta almeno sei o sette metri, e rifletteva i bagliori della misteriosa fonte di luce del tempio. C’erano due enormi bacili di bronzo sorretti da dei tripodi ai lati della statua, dove bruciavano degli stranissimi fuochi di fiamme scarlatte, del colore del sangue, la cui luce, riflettendosi su quella sorta di ambra che rivestiva la cupola e sulla statua, dava quel tremulo splendore rosso-arancio.

Avvicinandosi ai bacili, Maxtran si accorse di quanto innaturali fossero quelle fiamme. Quando era stato un giovane soldato, aveva visto sulle Montagne Albine, nei lontani confini settentrionali, i bagliori delle aurore boreali, nelle fredde notti di vedetta della fortezza sul passo dove aveva difeso i confini del Regno Verde.

Le fiamme dei bacili erano simili ai veli delle aurore boreali che il vecchio soldato aveva visto tanti anni prima, e del pari non emanavano alcun fumo, e nemmeno nessun calore.

Toccò l’orlo del bacile a destra della statua, e lo sentì gelido. Si accorse che sul fondo del bacile c’era un liquido luminoso, da cui scaturivano le fiamme.

Doveva essere un liquido alchemico sconosciuto ai tempi moderni, frutto della perduta sapienza antidiluviana.

E quelle fiamme fredde e scarlatte dovevano aver illuminato l’interno del tempio ininterrottamente da chissà quante migliaia di anni, senza che nessun occhio mortale potesse contemplarle.

Maxtran dette un’occhiata attorno, per capire meglio il luogo straordinario in cui si trovava. Fu attratto da qualcosa che notò sul pavimento di lucida pietra nera, proprio sotto la statua, fra le quattro zampe.

C’era una grande lastra di vetro rettangolare, lunga circa quattro metri, che scintillava di riflessi diversi da quelli che emanavano la statua e le pareti ambrate, molto più brillanti. La lastra era fissata al pavimento di pietra da una cornice dello stesso bronzo di cui erano fatti i bacili fiammeggianti.

Sul momento, Maxtran pensò che potesse essere una sorta di entrata ad una cripta sottostante, ma avvicinandosi, vide qualcosa che all’inizio non riuscì neanche a capire.

C’era qualcosa sotto la lastra di vetro, in una sorta di nicchia dalle pareti istoriate, sempre della stessa sostanza ambrata e trasparente della statua e della cupola. Qualcosa che sembrava una grande statua umana di cristallo leggermente smerigliato, sdraiata supina sul fondo della nicchia.

Subito dopo Maxtran scoprì con orrore che all’interno della statua di vetro si potevano vedere i particolari, perfettamente delineati, di uno scheletro umano, anch’esso trasparente, ma di un vetro più torbido, lattescente, quasi madreperlaceo.