domenica 18 giugno 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 391° pagina.


raccontato storie e leggende a Loraisan e ai suoi fratelli e sorelle prima di essere mandati a letto. Con le sue proverbiali doti di narratore, aveva rievocato la leggenda di un Re dei Giganti antidiluviani, che aveva cercato di invadere il regno del Giardino delle Rose molti millenni prima, per impossessarsi delle favolose ricchezze che vi erano nascoste.

Il Re dei Giganti, una volta penetrato nei labirinti del regno incantato dei Nani, vi si era perso assieme a tutti i suoi guerrieri, e di loro non si era più saputo nulla. Da allora i Giganti non avevano più osato attaccare i Nani, ed erano sempre stati bene attenti a non farseli nemici in qualsiasi modo.

Molto tempo dopo,  nelle epoche successive al Diluvio, era invece toccato a un Re degli Uomini cercare di attaccare il favoloso Zerennal Baras, provenendo dalle vaste steppe d’Oriente, appena aldilà delle Montagne della Luna.

Non erano certo potenti come i Giganti, ma facevano paura a tutti gli altri popoli. Era un’orda di guerrieri nomadi bruni, dalla pelle olivastra, che erano giunti cavalcando da un paese sconosciuto oltre le grandi praterie che si stendevano ad est del Veltyan, forse dai piedi delle Montagne Celesti.

Questi guerrieri a cavallo avevano sentito parlare del favoloso regno dei Nani, delle sale con le pareti e le porte rivestite d’oro, dei giardini di rose multicolori costellati di statue di smeraldo, rubino e zaffiro,  dei palazzi fatti di labirinti di specchi d’argento e colonne di diamante, illuminati da gemme che splendevano di luce propria.

Ma non avevano badato alle altre leggende, quelle che parlavano degli orrendi mostri che i Nani avevano posto a guardia delle loro immense ricchezze, e quando gli invasori orientali avevano raggiunto le Montagne della Luna ed erano riusciti, non si sa come, ad abbattere le porte d’acciaio adamantino che chiudevano gli accessi al regno sotterraneo, si erano trovati di fronte orrori senza nome.

I guerrieri invasori erano stati quasi tutti massacrati e fatti a pezzi, e coloro che erano riusciti a sfuggire, si dice che fossero impazziti tutti quanti.

Le donne e i bambini di quel popolo tornarono indietro, nelle steppe orientali, e non si fecero più vedere sulle Montagne della Luna, né in altre contrade del Veltyan.

Ancora adesso, nella valle di fronte alle cime del Giardino delle Rose, c’era un grande prato che veniva chiamato Campo del Sangue, perché la gente del posto ricorda ancora il giorno in cui furono trovati i corpi degli invasori, a migliaia, tutti letteralmente ridotti a pezzi da una forza misteriosa.

Nessuno aveva assistito alla battaglia di fronte alle porte del Giardino delle Rose, perché la gente del posto era fuggita nelle valli vicine di fronte all’orda barbarica; ma spaventose urla e boati, e sinistri lampi erano giunti oltre le cime del Giardino delle Rose, e per molti anni i valligiani avevano avuto paura ad avvicinarsi al Campo del Sangue, che veniva reputato un luogo maledetto.

Prukhu non aveva voluto raccontare tutto, e aveva detto che certe cose non bisogna raccontarle ai bambini, perché spaventavano anche i grandi.

Magari l’aveva detto solo per aumentare l’effetto di paura e mistero, ma questo Loraisan non poteva saperlo. Anche perché Prukhu, ogni volta che narrava una storia, a grandi o a piccini, dava sempre l’impressione di sapere di più di quel che rivelava.

Anche i Sileni, che pure sono sempre stati in buoni rapporti con i Nani, erano molto prudenti nell’avvicinarsi alle loro dimore. Eppure era dai Nani stessi che Prukhu e quelli della sua gente avevano imparato tante storie, tanti segreti, così come, in minor misura, li avevano imparati anche gli Uomini.

I Sileni avevano ricevuto molto più spesso il privilegio di visitare le dimore dei Nani nello Zerennal Baras. E per questo i loro vecchi saggi, come Prukhu, conoscevano storie e misteri che venivano da tutte le epoche e da tutti i paesi.

Dai Nani, i Sileni non avevano appreso segreti alchemici, ma in fin dei conti ai Sileni l’alchimia non interessava più di tanto.

Gli Uomini invece conoscevano un poco solo i dedali di gallerie che si stendevano sotto le loro città, dove vivevano i Nani immigrati nei territori centrali del Veltyan. Ma alcuni dicevano che da quegli stessi labirinti si dipartivano lunghissime ed ampie gallerie che conducevano al Giardino delle Rose, e da lì verso altre catene di monti, sparse in tutto il mondo.

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venerdì 16 giugno 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 390° pagina.


Insomma, era una bella confusione, eppure Loraisan la capiva, perché lo affascinava questa suddivisione del tempo del mondo in Grandi Anni divisi ognuno in tredici Grandi Ere-Mesi. L’idea di ere così lunghe, di periodi di tempo che apparivano spaventosi per la loro vastità, lo impressionavano e lo affascinavano come poche cose al mondo.

Anche per le implicazioni e le credenze che li riguardavano.

Secondo le tradizioni dei Nani, Kellur viveva nel Grande Anno 17.395 dalla sua nascita. Cioè viveva da un tempo inconcepibile per gli Uomini, di fronte alla quale la durata non di una, ma di mille vite di Uomini sarebbe stata brevissima, il tempo di un giorno.

Un periodo di tempo che spaventava per l’abissalità della sua lunghezza. Milioni e milioni di anni solari, innumerevoli ere che si erano succedute sulla Madre Terra dalla sua nascita, e in cui gli Uomini erano praticamente nati nemmeno ieri, ma oggi, a distanza di poche ore nel passato.

Un’altra tradizione che avevano i Nani, e che avevano trasmesso agli Uomini, era che allo scadere di ogni Grande Anno avvenisse nel mondo un grande cambiamento, un rinnovamento delle cose, perché il ciclo del tempo si chiudeva, e ne cominciava un altro.

Ma anche fra la fine di un’Era Astrale e l’inizio di un’altra, doveva succedere qualcosa di importante, un qualche mutamento nelle vicende di Kellur. E solo i Nani conoscevano la chiave di questi mutamenti, il loro significato.

I Nani. Gli Elfi delle Tenebre, per i quali le tenebre erano luce. Quante cose dovevano sapere, quante cose dovevano avere scoperto e imparato nel lento scorrere dei millenni. La loro saggezza risaliva a molto tempo prima della nascita dei primi Uomini, e il libro diceva che la loro grande civiltà aveva visto lo scorrere di molti Grandi Anni. Non si sapeva neanche quanti.

Il loro era un sapere nascosto, che non concedevano alle Stirpi più giovani, se non in poche stille, perché non le ritenevano degne di ricevere tutta la loro sapienza. Essi si nascondevano nel sottosuolo, e nessuno sapeva per quanto si estendeva il loro dominio segreto. Alcuni dicevano che i Nani fossero milioni e milioni, e che la rete di gallerie che avevano scavato si estendesse sotto tutti i continenti della Madre Terra, passando persino sotto i fondali degli oceani. Loraisan provava un fascino irresistibile per i Nani, e nello stesso tempo ne aveva paura.

Lo riempivano di emozione le descrizioni dei regni dei Nani riportati nei libri e rappresentati da illustrazioni favolose, e gli faceva volare la fantasia l’idea di quei dedali di gigantesche gallerie nel sottosuolo, che arrivavano non si sa dove, di grandi città scavate in immense caverne e in altrettanti labirinti di gallerie e di sale, sostenute da colonne di cristallo luminoso, piene di ogni sorta di tesori, di oro e gioielli e di vasti giardini fioriti illuminati da grandi lampade perenni, lo riempiva di emozione. Forse quelle descrizioni erano delle esagerazioni mitiche, poiché sembrava che pochissimi Uomini avessero avuto l’occasione e il permesso di visitare in lungo e in largo i domini degli Elfi delle Tenebre. Ma Loraisan non aveva ancora imparato a distinguere sempre fra le leggende e le favole e la realtà.

Ma assieme a quelle descrizioni, ce ne erano altre, che non erano altrettanto favolose e meravigliose, ma semmai inquietanti.

I libri dicevano che molti di quei segreti celati dai Nani, nascosti in cavità ancora più profonde, erano mostri orrendi celati nelle tenebre, o nelle acque di laghi e fiumi sotterranei, e quelli popolavano i suoi incubi.

Le leggende dicevano anche che il regno dei Nani confinava con le porte degli Inferi, e che avevano rapporti con le anime dei defunti che vivevano sotto di loro.

Uno dei suoi terrori più abituali, nel silenzio della notte, era che da quei luoghi nascosti e profondi risalissero silenziosamente degli orrori striscianti, e si aggirassero sulla superficie alla ricerca di vittime.

C’erano molte leggende sui draghi ed i basilischi e altre creature come piovre giganti ed enormi serpenti o vermi colossali, o giganteschi pipistrelli, che i Nani allevavano come animali domestici, dentro le cavità più grandi.
Ce n’era una in particolare, che l’aveva sempre colpito per l’orrore e il senso del mistero che evocava. L’aveva sentita una di quelle sere d’inverno attorno al focolare in cui Prukhu aveva

LOVECRAFT 410: LA PERDITA DELL'IDENTITÁ DI CARTER NE "ATTRAVERSO LA PORT...

domenica 11 giugno 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan. 389° pagina.


passaggio da un’area del cielo all’altra nel giorno dell’equinozio di primavera, ognuna presieduta da una particolare costellazione.

Tale misurazione era basata sul fatto che per i Thyrsenna, così come per i popoli dell’Oriente, l’equinozio di primavera era il primo giorno dell’anno. Il giorno in cui Sil, la Madre della Luce, trionfava sulle tenebre, e i giorni divenivano più lunghi della notte.

Dopo ogni 2016 anni, la precessione degli equinozi risultava spostata di ben 28 giorni, cioè un intero mese zodiacale, che corrispondeva a una delle tredici aree del cielo in cui il sole sorgeva nel corso dell’anno.

Se per esempio ci si trovava all’inizio dell’Era del Leone, cioè nell’era in cui il sole all’equinozio sorgeva nella costellazione del Leone, dopo 2016 anni esso sorgeva invece nella costellazione del Granchio, cioè la costellazione precedente nel ciclo annuale.

Con sorpresa ed estremo interesse, Loraisan scoprì dai libri di astronomia della biblioteca dell’eremo, che ci si trovava proprio alla fine dell’Era dei Gemelli, e stava per cominciare l’Era del Toro.

Prima dell’Era dei Gemelli c’era stata l’Era del Granchio, in cui era sorto il regno del Veltyan, e prima ancora c’era stata l’Era del Leone, che era finita poco prima del Diluvio.

I Giganti avevano dominato durante quattro Ere Astrali: quella dell’Aquila, della Bilancia, della Fanciulla e infine quella del Leone.

Dopo 26.226 anni, cioè dopo tredici Ere Astrali più diciotto anni di intermezzo per colmare il disavanzo bisestile, si compiva il Grande Anno. Tale fine del ciclo avveniva al concludersi dell’Era dei Pesci e all’inizio dell’Era del Tritone. Questo perché i Tritoni erano la Stirpe Primeva, quella che per prima aveva abitato Kellur, la Madre Terra. E quindi, il loro segno celeste veniva considerato il più antico di tutti.

Secondo questo computo, l’Era del Toro sarebbe dovuta cominciare nell’anno 3112 d.F.R.A. e finire nel 5127.  Poi ci sarebbe stata l’Era dell’Ariete dal 5128 al 7143, l’Era dei Pesci dal 7144 al 9159,  poi ci sarebbe stato l’intermezzo di diciotto anni, e nel remotissimo 9176 sarebbe cominciato il nuovo Grande Anno.

Ma c’era qualcosa di strano in tutto quel computo: perché se adesso ci si trovava alla fine dell’Era dei Gemelli e all’inizio di quella del Toro, allora l’equinozio avrebbe dovuto cadere appunto nel primo giorno del mese dei Gemelli e fra poco avrebbe dovuto cominciare nell’ultimo giorno del Toro. Perché invece cadeva il primo giorno del mese dell’Ariete?

La risposta venne a Loraisan dal proseguire nella lettura. Scoprì che in realtà il computo dei mesi e degli anni, e la suddivisione del cielo in costellazioni derivavano dal sapere dei Nani, che ricorrentemente nel corso dei millenni erano stati spesso i maestri degli Uomini, non solo quando avevano insegnato loro le prime arti dell’alchimia, ma anche nelle epoche precedenti, anche molto tempo prima del Diluvio.

Erano stati loro, in un passato remotissimo e dimenticato, anche prima della comparsa degli Uomini, a stabilire quella divisione del tempo.

Non si sapeva bene quando i Nani avessero insegnato agli Uomini il computo del tempo, ma doveva essere successo in un’epoca remotissima, proprio alle origini della comparsa dell’umanità sulla Madre Terra. E doveva essere stata appunto durante l’ultima Era dell’Ariete, cioè circa venticinquemila anni prima, in un’epoca di cui non si sapeva più nulla e non si aveva nessuna reliquia. Un’era precedente alla stessa comparsa dei Giganti.

Da allora, gli Uomini, nella loro ignoranza e nel loro pressapochismo, avevano imparato la suddivisione del tempo dai Nani e la divisione del cielo in costellazioni, ma non avevano capito la precessione degli equinozi, e non avevano adottato la consuetudine dei Nani di spostare l’equinozio di primavera di un giorno prima ogni settantadue anni, come sarebbe stato giusto, e quindi il calendario delle stagioni era rimasto sempre quello da migliaia e migliaia di anni. Semplicemente, dovevano aver spostato tutto il calendario anziché solo gli equinozi ed i solstizi ricorrentemente nel corso delle epoche.

LOVECRAFT 409: COMPAIONO GLI "ALTER EGO" DI CARTER NE "ATTRAVERSO LA POR...

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 388° pagina.


Aveva parlato di misteriosi veli di fuoco che serpeggiavano nel cielo prima dell’alba, di montagne di ghiaccio che galleggiavano nel mare, come isole che si spostavano nei freddi mari nebbiosi del Grande Nord, dei grandi leviatani del mare, alcuni simili ad enormi pesci che spruzzavano enormi colonne di acqua dal naso quando emergevano alla superficie, mentre altri, più mostruosi, avevano lunghissimi tentacoli ed enormi occhi sporgenti che brillavano nel buio.

Ma aveva parlato anche di vaste terre con catene di montagne coperte di ghiaccio, nelle cui valli vivevano i Sileni giganti, coperti di pelo nero, creature ben diverse dai miti e benevoli Sileni del Veltyan, perché erano enormi e feroci, e addirittura antropofagi, o almeno così si diceva. Le leggende locali dicevano che alcuni dei Giganti antidiluviani avevano mescolato il loro sangue con quello dei Sileni, finché dopo molte generazioni si era formata quella particolare razza silenica.

E aveva parlato anche delle enormi, gigantesche rovine di una città di pietra bianca, che sorgevano in riva ad un grande lago in mezzo alle fredde foreste, e la cui origine era del tutto sconosciuta. La pallida gente del luogo, tribù primitive che vivevano in povere tende di pelli e in palafitte, della stessa razza dei Nordici, non sapeva se l’avessero costruita i Giganti antidiluviani o qualche altro popolo venuto dopo, perché non era sepolta da strati di fango, come era per tutte le città antidiluviane.

Ma quando gli esploratori del Veltyan avevano girato per quelle rovine, si erano convinti che quella città fosse anche più antica di quelle dei Giganti, perché sembrava che in ogni caso coloro che l’avevano costruita e abitata non fossero stati Uomini, ma gente di un’altra stirpe.

Hulxas Meliakh l’aveva paragonata, per antichità e mistero, alla spaventosa Irhyel nel Deserto Rosso di Edan Synair, e Loraisan si era chiesto che città fosse stata quella di Irhyel, perché non l’aveva mai sentita nominare. Si ripromise di chiedere a Prukhu o al dottor Laran se conoscevano qualcosa di quell’antica città.

Il libro poi aveva parlato anche dell’altro continente dei Mari d’Occidente, la grande Anthyli, che si trovava invece a sud-ovest, coperta di foreste tropicali, di giungle impenetrabili dove anche lì pareva si trovassero le rovine di grandi città che, quello era sicuro, erano state costruite dai Giganti. Infatti là, anche dopo il Diluvio, erano sopravvissuti i Giganti Scuri, che si erano salvati salendo in cima alle alte montagne di Anthyli, dove si ergevano immensi castelli di granito e onice. Era da quella terra incredibile che era venuta la piccola tribù di Giganti che aveva cercato ospitalità nel Veltyan, tanti secoli prima.

Ma oltre al vagare con la mente nei territori di paesi favolosi e antiche leggende perse nelle nebbie del tempo, Loraisan si interessava anche alla conoscenza oggettiva della natura, anche se non era quella che la sua tutrice voleva.

 Oltre ai misteri dei paesi lontani  e ai segreti dell’antichità più remota, lo affascinavano anche quelli del cielo, del sottosuolo e delle profondità del mare.  Avrebbe voluto conoscere meglio gli astri e i loro moti, così come avrebbe voluto conoscere meglio i regni sotterranei dei Nani e quelli subacquei dei Tritoni.

Purtroppo, dei Nani e dei Tritoni i Thyrsenna ne sapevano molto poco, perché i loro domini erano aldilà della loro portata.

Ma dei moti degli astri se ne sapeva qualcosa di più, anche se non erano stati scoperti ancora i cannocchiali e tutte le osservazioni si svolgevano a occhio nudo , ma con l’aiuto di accurati calcoli matematici.

Così Loraisan apprese delle Tredici Ere Astrali, che duravano ciascuna 2016 anni. Una dottrina astronomica che trovò subito molto affascinante.

In un libro di astronomia, scoprì che molti secoli prima si era appreso che le quattro stagioni cominciavano ogni anno un poco prima. 

Era un avanzamento irrisorio, di un terzo di ora. Ma dopo settantadue  anni, la vita media di un Uomo, quel terzo di ora, accumulandosi uno dopo l’altro, diventava un giorno intero.
La causa di ciò era un particolare moto della Madre Terra più lento e meno percettibile degli altri, che era stato chiamato “moto di precessione”, e i suoi effetti erano stati chiamati  precessione degli equinozi.  Questo perché tale cambiamento veniva misurato con il progressivo, lento del sorgere del

domenica 4 giugno 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 387° pagina.


lui, e non avete temprato a sufficienza le sue qualità, che indubbiamente ha, ma che non sono sostenute dalla buona volontà».

Le disse dopo breve tempo. Naturalmente, Eukeni non provò neanche a difendere i suoi. Non avrebbe mai osato. Tra l’altro, le sembrava che la Reverenda Madre un po’ di ragione ce l’avesse senz’altro.

In fin dei conti, non era neanche colpa di Harali, se non capiva i problemi di Loraisan. I Thyrsenna non sapevano ancora nulla di problemi come i disturbi dell’attenzione, non conoscevano alcuna scienza psicologica vera e propria, non sapevano ancora nulla di chiaro sull’inconscio e sui disturbi della personalità, e la loro pedagogia era poco evoluta. Per loro la follia era una malattia fisica e, nel peggiore dei casi, una punizione divina o la possessione di uno spirito maligno, e perciò non sapevano distinguere fra le varie patologie della mente.

Tantomeno riuscivano a capire cosa era una personalità disturbata, come era quella di Loraisan.

Solo qualche alchimista esoterista, particolarmente interessato ai processi della mente, aveva intuito qualcosa dei misteri dell’inconscio, ma non sapeva ancora nulla delle loro applicazioni terapeutiche.

In pratica, per Harali, se un bambino intelligente non imparava, era solo colpa della sua mancanza di buona volontà. Né poteva anche solo sospettare che potesse essere diverso da così.

Cosa ne poteva capire lei di una mente così terrorizzata o annoiata dalla realtà, così chiusa nel proprio mondo interiore,  da non essere capace di rimanere ancorata alla realtà circostante, costretta a evadere continuamente verso mondi e regni immaginari e favolosi?

Perciò Harali cominciò a sciorinare i peccatucci di Loraisan alla sorella.

«L’ho sorpreso ieri pomeriggio a leggere Il Viaggio Favoloso ad Occidente di Hulxas Meliakh, anziché studiare il libro di storia che gli avevo dato. Di nascosto, legge libri di storie avventurose e favolose, anziché pensare a fare i propri compiti!».

«È un bambino…. Avrà pure diritto anche lui di svagarsi….»

Non l’avesse mai detto, la povera Eukeni. Fu il pretesto buono per la Reverenda Madre Fondatrice per fare una maternale accesa e pedante, sul fatto che lei da bambina non aveva avuto la possibilità di studiare, che aveva imparato a malapena a leggere e che aveva dovuto imparare tutto solo una volta diventata adulta, e che era piena di rimpianto per non aver avuto nessuno quando era bambina che le desse una cultura e così via, infervorandosi sempre più. Perché Eukeni aveva toccato un tasto dolente e ora doveva subirne le conseguenze. Lei e suo fratello.

I mesi seguenti furono forse i più difficili nell’infanzia di Loraisan. Si sentiva sbattuto contro un muro che non poteva attraversare, con alle spalle un nemico, un tiranno che gli chiedeva di valicarlo, anche se non sapeva come. Gli dicevano che doveva arrampicarsi su quel muro, ma nessuno voleva dargli una scala per farlo. Sentiva una profonda rabbia e frustrazione, e questo servì a chiuderlo ancora di più in se stesso.

Mentre all’inizio quello strano eremo l’aveva incuriosito e l’aveva fatto sentire accolto e accettato, adesso invece lo percepiva come un ambiente ostile.

Per fortuna, questo non gli impedì di finire di leggere Il Viaggio Favoloso ad Occidente di Hulxas Meliakh che, assieme ad altri libri di resoconti di paesi ed epoche lontane, lo aiutava a dimenticare le angosce della sua triste e malinconica infanzia solitaria.

Con quel libro, Loraisan scoprì che non c’erano solo paesi favolosi ad Oriente, ma anche ad Occidente. Scoprì l’esistenza del misterioso continente di Thyli, detto anche l’Ultima Terra, posto nel remoto Nord-Ovest, oltre l’Oceano Occidentale. Alcuni la chiamavano anche Silenkel, Terra dei Sileni, perché pareva essere popolata soprattutto da Sileni, di una razza particolare e diversa da quelli del Veltyan, perché erano tutti molto alti di statura, quasi quanto i Giganti.

In quella fredda terra di grandi laghi, montagne sepolte da ghiacciai, sconfinate foreste di pini e selvagge tundre, erano provenuti anche gli antenati degli Uomini del Nord, che si erano salvati in cima ai monti ghiacciati dalle acque del Diluvio assieme ai Sileni dell’Ovest.

Hulxas Meliakh, che aveva raccolto i resoconti di un viaggiatore che si era spinto in quella terra lontana, aveva narrato molti strani e misteriosi particolari di quel viaggio, che avevano stimolato la fantasia di Loraisan anche di più delle storie sui paesi del favoloso Oriente.

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venerdì 2 giugno 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 386° pagina.


Ma a sua volta Sil è l’emanazione vitale del Suo Divino Sposo, Volthun, il Principio Primo ineffabile ed inconoscibile che si cela dentro l’essenza stessa di Sil, poiché Volthun e Sil sono come la fiamma e la luce che essa emana. Volthun è la Fiamma Eterna, così come Sil è la sua Luce Eterna…..»

Harali, esterrefatta, non poté fare a meno di fargli i complimenti anche quella volta.

«Un sacerdote esperto non avrebbe potuto dirmelo in modo migliore! Se tu non diventerai uno dei kametheina più sapienti, io non sono più la monaca matriarca di questo eremo!».

Loraisan avrebbe voluto dirle che l’idea di diventare sacerdote non lo attirava particolarmente e che avrebbe preferito fare il navigatore, ma se lo tenne saggiamente per sé.

Ma quando Harali si trovò a passare ad altre materie che Loraisan doveva studiare, scoprì con dispiacere che il suo impegno si affievoliva in modo altrettanto incredibile.

Quando gli chiese di recitare i primi versi di un’ode di un antica poetessa, una dei principali poeti nella storia della letteratura del Veltyan, si rese conto che Loraisan non era stato affatto uno scolaro diligente. Non aveva studiato a memoria la poesia, e non sapeva recitarla.

Lo rimproverò aspramente e gli fece una lunga maternale sulla necessità di imparare tutte le materie che dovevano essere apprese, e non solo quelle che gli interessavano. Naturalmente, per punizione lo costrinse a recitare le lodi di Sin nel tempietto dell’eremo fino al momento di andare a dormire.

Il bambino si aspettava di essere preso a vergate sulla schiena, e forse le avrebbe preferite, perché temeva di più la noia del dolore fisico.

Quello fu il primo giorno in cui Harali si trovò a dubitare che Loraisan avesse davvero le capacità che gli aveva attribuito all’inizio.

Pian piano, sarebbe arrivata a capire che l’intelligenza di Loraisan aveva qualcosa di discontinuo, così come il suo impegno. Scoprì ben presto che il suo interesse per lo studio era volto solo verso certi argomenti e certe materie, per tante altre sembrava negato.

Della storia gli interessavano solo le epoche più antiche, mentre non era minimamente interessato alla storia moderna. Tutto quello che aveva meno di duemila anni sembrava non interessarlo, a parte del invasioni barbariche. Per i popoli barbari aveva un interesse e una passione che appariva sconveniente per la mentalità dei Thyrsenna. Così come non lo interessavano la grammatica, la matematica, la geometria e la poesia, a parte i grandi poemi epici.

I suoi interessi erano rivolti, in modo quasi ossessivo alla storia e alla geografia dei paesi stranieri, alla storia della letteratura, e in particolar modo gli piacevano i romanzi e i poemi che narravano di antichi eroi e di eventi prodigiosi e misteriosi. Inoltre divorava tutto quello che riguardava le altre stirpi di Kellur, in particolar modo i Nani, perché vivevano sottoterra e possedevano le arti alchemiche molto più degli Uomini.

Tutto ciò che era strano, anomalo e lontano dal mondo che lo circondava, lo affascinava. Sembrava avere anche una certa propensione per le dottrine mistiche e metafisiche.

Dopo qualche mese che Loraisan viveva nell’eremo, Harali si rese conto che il bambino considerava lo studio più un gioco che un impegno, un divertimento per la sua mente vivace e non ancora ben disciplinata, e che rifiutava categoricamente di diventare tale.

Man mano che lo conosceva meglio, Harali aveva finito per ridimensionare il suo entusiasmo  per Loraisan. Rimaneva l’infatuazione per lui, per la sua grande bellezza e la sua altrettanto grande sensibilità e serietà di carattere, ma cominciava a vederne anche i difetti.

Quel bambino era un sognatore ad occhi aperti, distratto, impacciato e di scarsa concentrazione sulle cose, terribilmente pigro e svogliato.

Chi è stato allevato in modo severo o eccessivamente duro e scarso d’affetto e tolleranza, tende a trattare i bambini da educare in modo altrettanto severo e duro, e Harali non faceva eccezione. Per lei, c’era qualcosa di decisamente storto in Loraisan, e sentiva di doverlo raddrizzare a tutti i costi.

Naturalmente, fu un buon pretesto per poter criticare Eukeni e la sua famiglia, che la Reverenda Madre Fondatrice considerava responsabili della maniera storta in cui stava crescendo il bambino.
«La verità è che il tuo fratellino è un bambino viziato », le diceva «come tutti gli ultimogeniti. Con il pretesto che è di salute malferma e di costituzione gracile, i tuoi sono stati troppo indulgenti con

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domenica 28 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 385° pagina.


Rimase amareggiato nel vedere che Harali gli aveva imposto la lettura del libro sacro di Elaxantrin solo perché era un testo canonico per la sua educazione, ma non perché fosse realmente interessata a insegnargli molte cose al riguardo. Se faceva troppe domande sulle dottrine insegnate nel libro, lei sembrava stancarsi e dirgli che “non doveva correre troppo”. Il solito ritornello di tutti gli adulti. Lei non era diversa dagli altri, in fin dei conti.

Solo molto tempo dopo però sarebbe riuscito a capire il perché.

Comunque, la Reverenda Madre Fondatrice rimase sorpresa una volta di più nel vedere che Loraisan assorbiva le dottrine teologiche e filosofiche di Elaxantrin come assorbiva qualsiasi altro tipo di conoscenza, e anzi con una comprensione più profonda.

Era sconcertante per lei vedere in un bambino una capacità del genere.

Se ne rese conto quando lo interrogò sul contenuto del libro, scoprendo che lui aveva letto e compreso anche i capitoli che lei non gli aveva chiesto di leggere perché li considerava troppo difficili per la sua età.

Mentre Loraisan parlava di ciò che aveva letto, sembrava proprio un piccolo maestro di teologia.

«Per Elaxantrin, cinque sono gli elementi o aspetti fondamentali della Natura: terra, acqua, aria, fuoco ed etere, dal più pesante, denso e oscuro, al più leggero, sottile e luminoso.

L’elemento originario di tutte le cose è l’etere, la sostanza di cui sono fatti gli Dei e tutti gli spiriti, comprese le anime degli Uomini e delle altre stirpi di Kellur. Esso è invisibile, libero, senza alcuna forma definita, e tutti gli altri quattro elementi non sono altro che varie forme di condensazione e appesantimento dell’etere. Il fuoco è più denso e pesante dell’etere, l’aria è più densa e pesante del fuoco, l’acqua è più densa e pesante dell’aria, la terra è più densa e pesante dell’acqua.

I cieli sono fatti di fuoco, come dimostra il fatto che il sole e le stelle brillano di luce propria. La luna invece ha una natura più simile a quella terrestre, di fatto ha la stessa natura di Kellur, ed è fatta delle stesse sostanze, ma comunque è più luminosa ed ignea. Essa splende di un fuoco freddo, pur essendo simile alla Madre Terra.

Nove sono i Cieli che circondano Kellur, la Madre Terra, che è un globo al centro dell’Universo Mondo.

Il primo è il Cielo di Tiur, la luna, poi c’è il Cielo di Turmis, Dio delle Arti e del Commercio, il Terzo Cielo è quello di Turan, la Stella del Mattino, Dea dell’Amore, il Quarto Cielo è quello di Usil, il sole, il Quinto Cielo è quello del rosso astro di Laran, Dio della Guerra, il Sesto Cielo è quello di Tinian, Dio dei Venti e delle Tempeste, il Settimo Cielo è quello di Satras, Dio dell’Abbondanza e della Sapienza, l’Ottavo è  il Cielo delle Stelle Fisse, dove brillano tutte le costellazioni, e dove regna Arthini, la Dea delle Stelle, che ha la sua sede nell’Orsa Maggiore. L’Ottavo Cielo è composto da una barriera oscura, una sfera di vetro nero, con infiniti fori da cui traspare l’involucro di fuoco che si trova di là da essa. Questi fori sono le stelle, sono porte per il Nono Cielo, dove vivono gli Dei Celesti e gli spiriti degli Uomini più grandi e santi. Esse sono sorvegliate dalle schiere dei Demoni Celesti, e per questo le varie costellazioni sono rappresentate da figure di antichi eroi e esseri prodigiosi del passato, perché appunto i Demoni Celesti sono gli spiriti dei grandi eroi e dei grandi esseri del passato.

Se non esistesse l’involucro oscuro dell’Ottavo Cielo, tutti gli altri cieli divamperebbero di fuoco divino e l’Universo Mondo finirebbe incenerito.

L’involucro di fuoco esterno è generato dall’etere del Nono Cielo aldilà, sfolgorante di luce infinita, dove regna Sil, il Sole Spirituale, l’Anima del Mondo, lo Spirito Santo. Esso è il Cielo Etereo dove giungono gli spiriti degli Uomini più giusti.

Dai raggi del Sole Spirituale o Sole Etereo, perché fatto di puro etere, puro spirito, è stato generato l’intero universo, e tutte le cose visibili ed invisibili.

Anche le nostre anime provengono da Lei, e ad esse devono tornare. Il sole non è che l’immagine visibile di Sil nel cielo terreno, il riflesso e la copia inferiore del vero Sole Spirituale da cui provengono tutte le cose.

La Luce di Sil è presente invisibilmente in ogni cosa terrena, e per questo la Sua Luce è la vera Anima del Mondo.

LOVECRAFT 306: LA NUOVA VISIONE DEGLI ANTICHI NE "ATTRAVERSO LA PORTA DE...

domenica 21 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 384° pagina.


L’Eminente Pontefice Mezenthis vigilava con mano di ferro, proibendo il possesso di armi a tutti i pellegrini e gli stranieri che si avvicinavano al Santuario. La tensione che aleggiava attorno al sacro ipogeo era sempre percepibile.

Di questo, il piccolo Loraisan sapeva poco o nulla. Isolato nell’eremo in mezzo a quelle strane donne rasate a zero e perennemente vestite di bianco e azzurro, la sua mente era concentrata tutta su altre cose, e assorbiva conoscenze come una spugna. Le regole rigide dell’eremo, che in parte doveva seguire anche lui, non gli pesavano più di tanto, a causa del suo carattere solitario e meditativo, e che con il tempo sarebbe diventato anche piuttosto perfezionista e rigoroso.

Le monache gli facevano leggere soprattutto testi religiosi e libri di storia, poemi classici e biografie di grandi personaggi, e per il resto dicevano anche loro che “certi altri libri e certe materie le avrebbe studiate quando sarebbe stato più grande, perché troppo difficili per lui”.

Il che lo frustrava anche più di quando lo sentiva dire dagli adulti della sua famiglia, o quando glielo diceva il dottor Laran.

Era convinto, da quello che gli avevano narrato dell’eremo delle Spose di Sin, che queste avessero avuto molta più sapienza di chiunque altro nella contrada di Arethyan e dintorni.

Tra l’altro, tutto quello che le riguardava gli appariva così strano, così avvolto dalla segretezza, che dopo un po’ cominciò a credere che nascondessero chissà quali segreti.

Fra le prime letture di Loraisan ci fu uno dei testi fondamentali di tutti i sacerdoti del Veltyan:  Il Libro degli Dei e del Mondo, scritto dal grande sacerdote e pensatore Elaxantrin Milesakni il Venerabile, vissuto più di duemila anni prima.

Era stato questo grande teologo che aveva sistematizzato il culto di Sil, formulando una serie di dottrine teologiche, filosofiche e morali che avevano dato una fisionomia unitaria ai culti dei vari Dei dei Thyrsenna e in particolare della loro divinità suprema Sil, la Dea del Sole.

Quando, durante le sue lezioni, Harali gli aveva dato una copia di quel libro sacro spiegandogli il suo contenuto, Loraisan ne fu entusiasta, perché sperava di trovare in esso la risposta a tutte le domande che si poneva sugli Dei e sugli antichi miti che li riguardavano, e in particolar modo sui misteri dell’origine del mondo e dell’umanità.

Lo interessò soprattutto la vita del Venerabile Elaxantrin, di cui si sapeva molto poco, e che aveva non pochi lati oscuri e misteriosi. Pareva che fosse stato di umili origini per parte di madre, ma che suo padre fosse stato un principe della città di Atri.

Divenuto adulto, si era imbarcato ancora molto giovane su una nave che commerciava con l’Oriente, e a quanto pareva l’aveva fatto per raggiungere Iubar e conoscere i misteri del mondo prima del Diluvio.

Ritornato in patria dopo ventitré anni, raccontò di essere stato molto oltre le rovine di Iubar e di essere giunto sulle Montagne Celesti nel più remoto Oriente, dove aveva conosciuto un ordine di antichi sacerdoti che gli avevano insegnato le loro dottrine.

Dopodiché Elaxantrin aveva scritto il Libro degli Dei e del Mondo, che subito molti kametheina avevano considerato un libro ispirato da Sil stessa, e che con il passare del tempo era diventato la fonte dei dogmi teologici e il fondamento della mistica della religione dei Thyrsenna.

Era proprio il tipo di storia che affascinava Loraisan, soprattutto perché parlava dei lontani paesi dell’Oriente, su cui fantasticava praticamente ogni giorno, ogni volta che contemplava la catena delle Montagne della Luna dalle finestre dell’eremo, o dal suo vasto orto.

Man mano che la sua cultura si accresceva, man mano che scopriva cose nuove del mondo in cui viveva, si convinceva che aldilà delle pallide montagne orientali dovessero celarsi dei grandi misteri antichi, e che chi li avesse svelati sarebbe stato  ricompensato con gloria e meraviglie infinite.

Questa sua fantasiosa aspirazione finì con il diventare una vera e propria ossessione, attorno a cui ruotavano tutte le sue letture e tutti i suoi interessi.

Da quella mattina che aveva guardato le Montagne della Luna come se le vedesse per la prima volta, ogni volta che pensava ai misteri del lontano Oriente di là dalle montagne, sentiva vagamente quella sensazione magica che si rinfocolava in lui.

LOVECRAFT 404: CARTER COMINCIA A VEDERE L'ALTROVE NE "ATTRAVERSO LA PORT...

lunedì 15 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 383° pagina.


essa. Qualcosa a cui apparteneva, un qualcosa di ignoto e inimmaginabile, che trascendeva ogni aspettativa e ogni conoscenza non solo sua, ma di chiunque altro.

Molto tempo dopo, quando quella sensazione sarebbe divenuta familiare, e i suoi pensieri e parole di bambino fossero divenute quelle di un adulto, le avrebbe dato un nome.

L’avrebbe chiamato l’Orizzonte Splendente, un qualcosa verso cui si sentiva invincibilmente proiettato, qualcosa che si stendeva sempre di fronte a lui senza mai farsi veramente vedere, ma solo avvertire.

Qualcosa che un giorno avrebbe assunto un nome e un volto ben precisi, in un futuro indefinito, senz’altro molto lontano, poiché sentiva che tale presenza indefinita era nello stesso tempo infinitamente vicina e infinitamente lontana da lui. A pochi passi, eppure persa in un abisso di lontananza oltre i più lontani orizzonti conosciuti.

Tutta la sua vita, avrebbe imparato molto tempo dopo, sarebbe stata dedicata solo a definire l’Orizzonte Splendente, a trovarlo, ad attendere la sua manifestazione, anche se avesse dovuto impiegarci tutto il tortuoso corso della sua vita.





CAP. XXX: L’INCONTRO COL TERRORE



Passò un anno relativamente tranquillo, nel piccolo villaggio di Arethyan.  Il ciclo del tempo non poteva interrompersi a causa di qualche strana anomalia nelle vicende degli Uomini. La Natura seguiva sempre il suo corso e così anche le tradizioni della gente comune.

Certo, riguardo Arethyan c’era sempre qualcosa di cui chiacchierare che era molto più strano o preoccupante di quello che si sentiva raccontare riguardo altri paesi della pianura e delle montagne.

Le voci su strane possessioni e apparizioni si erano di nuovo propagate, e quasi tutte giravano attorno al Santuario d’Ambra. Mentre sette anni prima le paurose dicerie erano state solo la materia per racconti di spiriti, fantasmi e orrendi demoni che spiavano nella notte e terrorizzavano viandanti e abitanti di case ritenute infestate, questa volta tutto si era colorato di tinte mistiche. Si parlava di prodigi e di miracoli, e di apparizioni demoniache che proferivano agghiaccianti profezie nella notte a terrorizzati pellegrini.

Un gruppo di ragazzi avevano visto una strana figura nera, alta e ammantata, danzare forsennatamente e in modo inquietante in cima a una collina, ma quando avevano provato ad avvicinarsi per guardarla più da vicino, non avevano più visto nessuno.

Una donna al crepuscolo aveva sentito un coro di voci cantare una stranissima melodia con il suono di strumenti sconosciuti, provenire dal limitare del bosco accanto alla sua casa, dove brillavano delle strane luci. Ma quando va a cercare i cantori, non trova nessuno, e tutto sembra essere tornato avvolto dal silenzio e dall’oscurità.

Un bambino aveva visto sorgere dal fiume un gigantesco serpente acquatico, con le squame dai mille colori lucenti e con una cresta di piume scarlatte, che sembravano una cresta di gallo. Terrorizzato, aveva chiamato i famigliari, i quali avevano fatto appena in tempo a vedere il mostro scomparire in lontananza lungo il corso del fiume.

Nella notte, misteriose voci sussurrano linguaggi incomprensibili, mani misteriose bussano alle porte, misteriose luci scarlatte vengono viste vagare fra i boschi delle colline, mentre di giorno contadini attoniti vedono orme di nudi piedi invisibili formarsi nel fango dei campi e degli orti presso le loro case.

Le dicerie popolari parlavano di strani scherzi delle Fate, ma altri dicevano che non erano le maliziose e irriverenti Custodi del Fato, a provocare queste apparizioni, ma qualche forza ben più oscura, nata dagli abissi degli Inferi, nelle profondità della Madre Terra, nel regno dei defunti rimasti lontani dalla Luce di Sil.

Ma la versione che si diffondeva di più, soprattutto tramite le predicazioni di certi sacerdoti e di certi pellegrini, era che si trattasse solamente di segni dello sfavore divino, che lancia moniti a coloro che si erano allontanati dalla verità del Ninursha Silal.

LOVECRAFT 403: COMPARE LA GUIDA DI CARTER NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA ...

domenica 14 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 382° pagina.


Volò verso le leggende di stregoni e mostri e oscure divinità della natura che vivevano nelle sterminate foreste, spiriti dei ghiacci e delle nevi, delle nebbie e delle foreste, verso racconti di nere fortezze e palazzi di ghiaccio sulle vette, di Giganti sopravvissuti al Diluvio su remote isole in mezzo a mari nebbiosi dove il sole giunge di rado, di porte oscure sul regno dell’oltretomba, poste sul fianco di monti isolati, evitati da Uomini e altre creature, sorvegliate da Fate maligne e ingannatrici.

Mentre le sue labbra parlavano della gloria di Sin, un Dio che non conosceva neanche tanto bene, la sua mente immaginava straordinarie, eroiche avventure in cui sconfiggeva le creature dell’Ignoto che tanto lo terrorizzavano di notte.

Ma mentre la sua mente vagava, cercava sempre di ricordare le parole di Ravinthi: “Non siamo noi a non poter raggiungere Loro, sono Loro a non poter raggiungere noi, a meno che non glielo consentiamo noi”.

Poi il rito finì e Loraisan dovette tornare al mondo reale ancora per un po’.

Dopo il pranzo, salì in camera sua, ma prima di arrivarci, udì il singhiozzare di una delle monache dietro una delle porte. E assieme al singhiozzare, sentì il suono di una cetra e il canto di un’altra monaca. Incuriosito, si fermò nel corridoio ad ascoltare la musica, che gli parve di una particolare bellezza. Una di quelle musiche che lo aiutavano a sognare, a riprendere a vagare con la fantasia.

I singhiozzi facevano di sottofondo alla musica suadente, che sembrava parlare di pace ed armonia, come a voler contrastare la pesante atmosfera di silenziosa solitudine e ansia che sembrava aleggiare sull’eremo.

Poi i singhiozzi finirono, e la musica e il canto finirono qualche minuto dopo.

Loraisan lasciò il corridoio prima che qualche monaca passando di là gli chiedesse cosa stava facendo.

Loraisan aprì le ante della finestra della sua camera, e dette uno sguardo al panorama. La sua camera dava in direzione nord-ovest, e si poteva vedere gran parte dell’arco delle cime delle Montagne della Luna, che andavano appunto da nord-est a nord-ovest. Si poteva vedere anche una parte della pianura ai piedi di Monte Leccio, e le anse del fiume Eydin che serpeggiavano brillanti sotto la luce del sole.

Non aveva mai visto le montagne così bene da quando era nell’eremo. Certo, alcune delle cime si vedevano bene anche da casa sua, oltre le colline, ma non aveva mai visto in vita sua l’intero arco delle montagne così nitido, in tutta la sua magnificenza, con le guglie delle cime che parevano più che mai città e castelli incantati. I dettagli della catena gli apparivano con una nitidezza che lo stupiva.

Vedendole, gli pareva di sentire in esse la presenza degli antichi e misteriosi Nani nascosti fra le loro rocce, dentro profonde gallerie, assieme a quella delle Fate consigliere dei destini umani, e quella delle divinità della Madre Terra, Fuflun Dio delle Vigne, Selvan Dio delle Foreste e Kerris Dea delle Messi, Surmanth Dio degli Inferi e Semi, Dea della Terra.

E oltre a quelli, sentiva la presenza di qualcos’altro, qualcosa che non aveva immagine, ma che sembrava andare aldilà delle montagne stesse, eppure essere contenuto in esse. O meglio, gli sembrava che fossero le montagne ad essere contenute in una meraviglia più grande di loro.

Scoprì dentro di sé come un’emozione nuova e sconosciuta, a cui non sapeva dare un nome.Era come se la sua anima si aprisse e uscisse da lui stesso per lanciarsi oltre il visibile. Era come se le cime stesse e il cielo azzurrissimo gli parlassero di qualcosa che andava oltre di esse, come se la loro magnificenza parlasse di una gloria e di una bellezza ancora più grande, oltre ogni immaginazione.

Per la prima volta, ebbe una sensazione che in seguito, negli anni, l’avrebbe accompagnato spesso, fino all’età adulta. Una sensazione inspiegabile, che sembrava a volte avvolgerlo come un manto protettivo, che lo difendeva dallo scoraggiamento, dalla tristezza, dal senso di inutilità che spesso avrebbero funestato la sua difficile esistenza.
Per la prima volta avvertì la sensazone della presenza nella sua vita di un orizzonte sconosciuto verso cui era inevitabilmente incamminato, destinato fin dalla sua nascita, o forse ancora prima di

LOVECRAFT 402: I SIMBOLISMI DE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE D'ARGEN...

sabato 13 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 381° pagina.


Ovviamente erano tutte convinte, sia quelle che avevano visto il mostro, sia quelle che non avevano fatto in tempo a vederlo, che si trattasse di un pauroso segno divino, l’immagine di una minaccia annunciata ed evocata dagli Inferi più oscuri.

In una religione che un tempo era stata dominata dagli indovini che leggevano in ogni fenomeno naturale particolare il linguaggio degli Dei, ogni anomalia era vista inevitabilmente del pari come un segno divino. Ogni nascita di animali deformi, ogni strana luce nel cielo, ogni fulmine più devastante, ogni strano sogno poteva essere un messaggio dall’invisibile.

Ma quella indescrivibile visione non era comparabile a nessuna leggenda, a nessuna anomalia o mostruosità mai vista prima. Nemmeno le molteplici visioni del Prodigio del Sole Scarlatto erano state così enormemente spaventose.

Da quella mattina di terrore, il mostro nero sarebbe stato chiamato “la Mantide-Ragno delle Cime”, e avrebbe tormentato le notti dell’eremo per molto tempo ancora, rimanendo impressa per sempre nelle cronache delle Spose di Sin.

La mattina dopo, Loraisan tornò all’eremo. Anche quella giornata era splendida, il cielo non aveva perso la sua limpidezza e le montagne continuavano ad apparire nella loro magnificenza.

Quando arrivò all’imboccatura del sentiero di Monte Leccio, trovò Eukeni che lo stava già aspettando.

Dall’espressione del suo volto, dal tono della voce nel salutarlo, capì che qualcosa non andava.

Pensò che magari lei avesse fatto qualcosa che trasgrediva le regole dell’eremo, e che fosse stata punita in qualche modo. Intuendo che sua sorella non voleva parlarne, non insisté nel voler sapere.

Quando arrivarono all’eremo, Loraisan scoprì con sconcerto che anche le altre monache sembravano essere tutte di cattivo umore. Tese, riservate, non sembravano avere tanta voglia di fargli le feste come tutte le altre mattine di larantin, quando tornava all’eremo dalla visita alla sua famiglia.

Non riuscì a vedere neanche Harali, nemmeno di sfuggita, mentre invece ogni volta che tornava all’eremo aveva sempre un momento per salutarlo.

Quella giornata gli apparve molto strana, fastidiosa, priva di senso. Forse per quello la sua mente volò lontano dalla realtà più del solito.

Eukeni lo portò subito nel tempio dicendogli che doveva pregare molto e compiere riti di purificazione, ma senza spiegargli perché. Un’atmosfera di espiazione e di intenso misticismo sembrava guidare le azioni delle monache, come se fosse ancora usiltin.

Tutta la mattina il tempietto fu pieno di litanìe, canti, musiche, aspersioni di profumi e aromi, invocazioni a tutti gli Dei celesti e inferi, come se si volesse allontanare o scongiurare un pericolo.

Loraisan fu costretto a rimanere nel tempio due ore, seduto a gambe incrociate di fronte alla taurina immagine argentata di Sin, e per sopportare tutto questo naturalmente fece vagare la mente verso lontani regni della fantasia.

Ogni volta che era costretto ad annoiarsi, lui non si lamentava, non si ribellava. D’altra parte, lui non si lamentava e non si ribellava mai di fronte a niente, neanche di fronte al dolore che faceva urlare e piangere tanti altri bambini.

Sembrava che il suo terrore del buio e della solitudine trovasse la sua compensazione a una straordinaria sopportazione del dolore e dei disagi, in una incredibile capacità di adattamento che era già eccezionale per un adulto, ma che in un bambino era ancora più sconcertante.

Ma di fronte alla noia lui aveva sempre la sua scappatoia: il sogno ad occhi aperti. Un sogno che diventava spesso una vera e propria meditazione sull’immaginario.

Così, per l’occasione, mentre recitava i sacri mantra del culto a Sin assieme a sua sorella, la sua mente vagava negli sconosciuti regni del Grande Nord, cercando di immaginarsi storie e imprese dei guerrieri dai capelli rossi, cercando di visualizzare nella sua mente i lontani popoli dei Gaelna, degli Alverna, dei Teudanna, dei Dananna, dei Kymbrenna, dei Tauranna, degli Svedanna e dei Bayurna, tutti della famiglia dei popoli nordici, dai capelli rossi e dagli occhi azzurri o verdi, dalle strane lingue incomprensibili e dagli ancor più strani costumi.

Tanto lo aveva impressionato l’incontro con Kernon, lo schiavo che si era terrorizzato alla sua vista.

LOVECRAFT 401: LA TANA DEL SERPENTE NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE...

domenica 7 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 380° pagina.


occhi bianchi, a forma di mandorla. Una testa che, oltre che spaventosamente enorme, era anche immensamente sinistra. La testa di un maligno insetto di specie sconosciuta.

Ma era un insetto che doveva essere grande come l’intero villaggio di Arethyan se non di più. Assurdo, grottesco nella sua impossibile grandezza, s’innalzava lentamente sopra la vetta, aggrappandosi con le sue molte, sottili zampe di ragno.

A quel punto Akleini cominciò a urlare, un grido spaventoso e senza fine. Sembrava che la stessero uccidendo. Le altre consorelle, interrompendo il loro gioco, non si accorsero subito del motivo delle sue urla. Le corsero incontro e le urlarono a sua volta di calmarsi e di spiegare loro che stava succedendo, ma lei continuava a urlare fissando la cima del Perpennin, e solo quando una delle sue consorelle le giunse di fronte, ebbe la buona idea di guardare dove stava guardando lei.

Un secondo dopo la fanciulla crollò a terra svenuta, come un burattino a cui avessero tagliato i fili.

Il gigantesco mostro ora era emerso da dietro la montagna, e troneggiava sulla cima come un ragno troneggia nella sua ragnatela. Le sue lunghissime e sottili zampe, che reggevano un nero corpo affusolato come quello di una mantide o di una cavalletta, sembravano afferrare la cima come se volesse strapparla dalle rocce, mentre la testa ruotava attorno sopra un sottile collo articolato, come se stesse cercando qualcosa nelle valli circostanti.

Alle urla di Akleini si aggiunsero le urla di tutte le altre ragazze, perlomeno di quelle che non erano svenute dal terrore.

Alcune rimanevano paralizzate in piedi, altre correvano verso le porte dell’eremo.

Harali in quel momento si trovava nella sua stanza a leggere uno dei libri di teologia misterica della biblioteca dell’eremo, quando sentì le urla spaventose che provenivano dagli orti. Il suo alloggio si trovava accanto al portone d’entrata al pianterreno, e quindi non ci mise molto a raggiungere le consorelle, tre delle quali avevano già raggiunto il cortile interno.

Ma erano troppo isteriche per riuscire a spiegarsi, e quindi Harali dovette uscire dall’eremo, verso le altre fanciulle che continuavano a urlare o che semplicemente rimanevano ferme tremando da capo a piedi, limitandosi ad ansimare e gemere, guardando il mostro che se ne stava ancora sulla cima del Perpennin.

Quando Harali lo vide, si bloccò, ma non urlò. Tirò solo un grande sospiro gemente, poi rimase ferma, tremante.

Alzò la mano sinistra proferendo un’invocazione a Sil di liberazione dai Demoni Oscuri.

Ma l’essere stava già cominciando a mutare di aspetto, quando Harali lo vide. La matriarca dell’eremo poté cogliere solo gli ultimi istanti di quell’assurda apparizione, perché la sua nera figura cominciò subito a confondersi e a divenire evanescente, come se venisse avvolta da una nebbia che la rendeva sempre più grigia e trasparente, finché alla fine, al posto dell’immenso mostro grande come un paese, non rimase che un ammasso di piccole nuvole argentee che si staccavano dalla cima per dissolversi nel cielo, ben presto di nuovo completamente terso e luminoso.

Quando fu svanito del tutto, Harali si guardò attorno e cominciò a pensare a calmare la sua sconvolta comunità di sacerdotesse monache.

Un paio di loro dovette prenderle a schiaffi, perché continuavano a urlare istericamente, mentre quelle che erano rimaste dentro l’eremo, solo allora stavano uscendo per vedere cosa era successo.. Akleini invece si era ripiegata su se stessa ai piedi del noce, in posizione fetale, tremando e fissando il vuoto nel più completo silenzio. Dovettero raccoglierla in due per portarla dentro l’eremo.

Poco per volta si ripresero tutte, fuorché Akleini. La maggior parte delle monache che avevano visto l’orrenda visione continuarono ad avere incubi spaventosi per molto tempo. Una sviluppò una fobia invincibile per i ragni e gli insetti. Altre due divennero balbuzienti, ma Akleini perse del tutto la parola.

Anni dopo, qualcuna di loro, finito il triennio monastico e fattasi ricrescere i capelli, scoprì che erano divenuti bianchi, nonostante la giovane età.

Quando Harali ebbe completamente ripreso controllo della situazione, riunì tutte le monache nel tempietto di Sin, per passare tutta la giornata con preghiere, riti, offerte ed invocazioni esorcistiche.

LOVECRAFT 400: L'INIZIO DEL VIAGGIO DI CARTER NE "ATTRAVERSO LA PORTA DE...

sabato 6 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 379° pagina.


più del ricreativo, come andare a cercare funghi nel bosco o preparare dolci. Tanto che tutti i piatti da consumare ad usiltin dovevano essere preparati il giorno prima.

Oltre il tempo passato a celebrare riti religiosi, tutta la giornata poteva essere occupata solo dalla lettura di testi, dal canto, dalla musica, dal gioco nel cortile o anche nei prati accanto agli orti.

Quella mattina del Mese della Bilancia, subito dopo l’equinozio d’autunno, il cielo era splendido, senza una sola nuvola, come capitava normalmente in quel periodo dell’anno.

Nei giorni precedenti aveva piovuto abbondantemente, e sulle cime aveva nevicato, ma ora il vento aveva ripulito la volta celeste, e da Monte Leccio si poteva vedere il panorama delle bianche Montagne della Luna, dove la pallida roccia calcarea era stata sommersa dalla neve.

Non erano frequenti le giornate in cui l’aria era così limpida da permettere di vedere così nitidamente la catena delle cime, che parevano castelli e cittadelle incantate, perché l’umida foschia della pianura saliva fino alla cima delle colline pedemontane a offuscare la vista dei rilievi più lontani.

In una giornata così soleggiata e limpida, inevitabilmente le monache più giovani, dopo i riti del mattino e la colazione, si erano messe a giocare al limitare del bosco uno dei giochi più comuni e tradizionali dei Thyrsenna, il gioco della “cestapalla”, dove tutte le giocatrici avevano una piccola cesta con cui dovevano raccogliere al volo una palla e prontamente rilanciarla a una delle compagne. Se la si lasciava cadere per terra per tre volte, si veniva squalificate dalla partita e bisognava aspettare che la partita finisse, per poter rientrare in gioco. La partita si concludeva quando rimaneva una sola giocatrice non squalificata. Nel gruppo di giocatrici, quella mattina c’era anche Eukeni.

Oltre a lei, c’era una ragazza di nome Akleini, che fu fra le prime squalificate.

Un po’ imbronciata per la sua scarsa abilità, si era messa ai piedi di un giovane noce nel frutteto, a osservare lo spettacolo delle montagne, pensando che sarebbe stata una bella noia aspettare che le altre ragazze concludessero la partita.

La sua mente vagava lontano, mentre rimirava i particolari delle incantate guglie, simili a castelli, cittadelle fortificate e torri svettanti nell’azzurro, e immaginava di andare lontano da quell’eremo in cui sua madre, le sue zie e i suoi zii avevano voluto mandarla perché studiasse e imparasse i segreti dell’alchimia. Quasi desiderava di non aver scoperto in sé il talento alchemico, che sembrava essere alquanto potente. Senz’altro, molto più potente della sua abilità nel gioco.

Sognava di poter viaggiare e vedere le grandi città una volta che fosse divenuta un’abile alchimista, quando notò una piccola nuvola dalla forma molto strana che spuntava da dietro la cima del Perpennin, la grande montagna consacrata al Dio delle Vette e delle Nevi, Pennin, il rilievo che appariva più alto dal Monte Leccio.

Era una nuvola sottile e stranamente nera, come se fosse foriera di tempesta. Si alzava come una lancia nell’azzurro, e per qualche istante Akleini credette che potesse essere una scia di fumo, domandandosi chi potesse salire in cima al Perpennin per accendere un fuoco, e come potesse farlo, dato che lassù, sulle nude cime, non c’era legna da ardere e sicuramente c’era troppo vento per accendere un fuoco.

Eppure quella lancia di fumo nero sembrava innalzarsi sempre più, fino a quando, assurdamente, sembrò spezzarsi in due, e la parte superiore, rimanendo sempre dritta, si piegò verso il basso, fino a toccare le rocce della cima.

Per un istante Akleini rimase paralizzata dallo stupore, perché non capiva cosa stava guardando. Solo pochi istanti dopo ci riuscì, e cominciò il terrore.

Un’altra lancia nera si innalzò da dietro la cima.

E come l’altra, dopo essersi protesa molto sopra la montagna, si piegò su se stessa nello stesso identico modo. Era evidente che non si trattava di nuvole.

Si trattava di una sorta di gigantesche zampe. Poi apparve la testa del proprietario di quelle due zampe, proprio in mezzo ad esse.
Altrettanto nera, a forma di goccia rovesciata, con due enormi e sottili corna a falce di luna, apparve la testa di qualcosa che avrebbe potuto assomigliare a una mantide, o a una formica, con due grandi

LOVECRAFT 399: ANCORA SU IREM NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE D'ARG...

lunedì 1 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 378° pagina.


Penthenetul, quel donnone tanto gioviale che all’occorrenza sa essere feroce come una tigre delle nevi, l’ha buttato fuori sulla strada, lui e i suoi vestiti sparsi per terra, a suon di bastonate! Poi però dopo un paio di mesi l’ha lasciato tornare a bersi le birre, ma non più di tre per sera…. e un boccale di vino di quelli leggeri….da allora si è comportato abbastanza bene, nel senso che Holai non l’ha più buttato fuori, anche se fa sempre lo sbruffone. È un gran bugiardo e racconta un sacco di storie incredibili su cose che avrebbe visto, fatto e vissuto là nel Grande Nord».

«Bei tipi, che frequentano il Kran Belz!» esclamò Syndrieli «È ancora peggio di quel che pensassi, dopo che hanno cominciato ad arrivare i pellegrini del Santuario!» Scommetto che sei anche amico suo? E magari dà anche fastidio alle nostre ragazze! Mi figuro come si sentirebbe una matriarca che vedesse sua figlia ricevere di notte la visita di quel selvaggio rosso, e magari dover allevare qualche testa rossa come nipote!».

«Oh, per quello puoi stare tranquilla! A Kernon non interessano le donne, quelli che infastidisce sono sempre i maschi! Mi ha detto che al suo paese è una cosa del tutto normale che gli uomini giacciano insieme, anche in tre! Lui dice che i Gaelna si sposano e fanno figli solo per la continuità della stirpe, ma che per loro è l’amore tra uomini che vale davvero, perché l’amore per una donna finisce per indebolire il guerriero, mentre l’amore per un uomo lo fortifica e accresce il legame con i commilitoni, a tal punto che tutti sono pronti a dare la vita per i compagni, tanto è il legame amoroso che hanno tra loro. E lui non ha rinunciato a questa tradizione. Quando è ubriaco, cerca sempre di abbracciarti e ti recita poesie d’amore…. Noi lo lasciamo fare perché è divertente. Anche perché è così strano…. lui non cerca i fanciulli, quelli a cui deve ancora crescere il pelo, come è normale per un uomo adulto. Lui li cerca proprio della sua stessa età! Mai visto un tipo del genere! Ma immagino che al suo paese sia una cosa normale….».

Syndrieli storse la bocca, perché faceva fatica di immaginarsi due maschi adulti che giacevano assieme. Per i Thyrsenna era normale l’amore fra un uomo adulto e un fanciullo adolescente, quando ancora ha la bellezza e la delicatezza di una donna, ma l’amore fra due uomini pelosi e sgraziati le appariva assurdo; tuttavia non fece ulteriori commenti. Pensò che era meglio che quello schiavo ubriacone non spargesse il suo seme selvaggio nel grembo di qualche brava ragazza della zona. Ragazze che avrebbero potuto essere anche le sue figlie, che ormai erano tutte o quasi vicine al momento in cui avrebbero avuto il permesso di praticare il matrimonio notturno.

Loraisan rimase colpito da quello che aveva raccontato il padre, e la sua fantasia cominciò a partire, come al solito.

Si ripromise di cercare fra i libri dell’eremo qualcosa che parlasse dei popoli nordici e dei loro usi e costumi. Lo affascinava in particolar modo la credenza che i guerrieri morti in battaglia fossero destinati ad andare in un regno paradisiaco aldilà del mare per poi tornare dopo molti anni e vivere una nuova vita su Kellur.

Quella notte sognò i Gaelna, un’orda immensa che calava dalle montagne come una marea di formiche, urlando selvaggiamente con le loro barbe rosse, i loro corpi tatuati, i loro elmi cornuti, così come li aveva visti in alcune illustrazioni.

Lui li vedeva avanzare verso la sua casa, il suo paese, e rimaneva paralizzato dalla paura, pensando a cosa poteva fare. Poi si accorgeva di avere in mano una sorta di bastone, o di lungo scettro, di pesante metallo, e guardandosi le mani si accorse che erano le mani villose e grandi, dalla pelle indurita, di un uomo adulto. Poi, stranamente, fu come se si vedesse in uno specchio, e scoprì di non essere più un bambino, ma un uomo alto, grande e forte, con una lunga barba nera.

A quel punto, piantava l’asta di metallo nel terreno con tutta la sua forza, creando un crepaccio che rapidamente si trasformava in una voragine che inghiottiva le schiere di invasori.

Dopodiché il sogno finì, per lasciare il posto ai primi bagliori del mattino.

Ma se l’aurora segnava la fine di un sogno per Loraisan, nell’eremo invece fu l’annuncio di un incubo vissuto nella realtà.
Nei monasteri il giorno di usiltin era il più difficile da passare, perché non c’era niente da fare dalla mattina alla sera. Lavorare era proibito, e venivano considerate “lavoro” anche attività che avevano

LOVECRAFT 398: LA MITOLOGIA ARABA NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE D...

domenica 30 aprile 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 377° pagina.


Ma quella sera, non poté fare a meno di accennare al suo strano incontro con i suoi famigliari, quando si trovarono tutti a tavola per la cena.

«Sai, padre, oggi ho visto un uomo nordico per la prima volta! Aveva i capelli rossi proprio come mi hai detto tu e come c’è scritto nei libri del dottor Laran».

«Non ci sono nordici qui ad Arethyan!» interloquì il fratello undicenne, Larth.

«E che ne sai? Poteva essere un viandante di passaggio!» lo apostrofò Syndrieli.

«Che aspetto aveva?» chiese Larsin.

«Era alto, grosso, pieno di tatuaggi sulle braccia, e penso che ne avesse altri sotto i vestiti…. con questi lunghi capelli rossi, molto lunghi, e una strana barba intrecciata… una volta ho visto un’illustrazione in un libro che mostrava i guerrieri nordici che portavano trecce nei capelli e nelle barbe… ma non era vestito da guerriero, era uno schiavo. Portava un cerchio dorato alla caviglia, e accompagnava un giovane athum, ma non erano a cavallo, nemmeno su di un cocchio. Non so chi fossero, non ricordo di averli mai visti».

«Ah, ho capito chi sono. L’uomo è Kernon, lo schiavo nordico dei Vipinas. Appartiene al popolo dei Gaelna, che vivono molto ma molto lontano da qui, nelle remote terre del nord-ovest…. Lui e l’altra schiava dei Vipinas, Nemerarn, sono gli unici nordici che vivono da queste parti.

Il giovane invece doveva essere Thefren, il figlio maggiore dei Vipinas.

Eh, per le famiglie degli athumna avere uno schiavo nordico è una questione di prestigio….».

«Perché, padre?».

«E chi lo sa? Forse perché sono strani, e i nobili vogliono sempre possedere cose che attirano l’attenzione, che magari fanno invidia agli altri casati… oppure per ricordare sempre a tutto il popolo che noi Thyrsenna siamo superiori a quei selvaggi, chissà… dimmi, ti sei spaventato nel vederlo?».

«Beh, quando l’ho visto sì, un po’, però appena mi ha visto mi ha salutato e mi ha sorriso, poi ha proseguito con il ragazzo, il quale invece manco mi ha degnato di uno sguardo! Doveva essere proprio il suo padrone, allora».

«Lo senti, Syndrieli? Ha solo otto anni, ma già pensa e parla come un adulto! Ha capito già come funziona il mondo».

Syndrieli non rispose, ma domandò tutt’altro argomento.

«Ma tu lo conosci, quel Kyrnan?»

«Kernon. Si chiama Kernon. Sì, lo conosco, viene a volte a bere al Kran Belz. Le sue padrone gli concedono di uscire la sera con un po’ di soldi. Lui dice che lo fanno per tenerlo buono.

E si ubriaca più di me, se è questo che vuoi sapere. Un tipo divertente, gran chiacchierone. Uno sbruffone millantatore. Quando arriva si mette subito a tracannare birra, poi passa al vino, lo tiene per ultimo perché gli piace di più, e vuole goderselo quando è già brillo.

Ai nordici piace molto il vino, perché nel Grande Nord non ce l’hanno, non crescono viti perché fa troppo freddo, o forse non le sanno coltivare, non lo so. Fatto sta che con il vino si ubriaca alquanto e comincia a parlare, a parlare… e noi ci divertiamo a sentire le sue storie assurde e le sue sbruffonate sul suo paese, sulle battaglie fra tribù, sulle belve che popolano le foreste…. ».

Larsin scoppiò a ridere ripensando alle serate con il Gael.

«Quando è proprio ubriaco, si spoglia nudo per far vedere a tutti le cicatrici delle battaglie e i tatuaggi che ha un po’ dappertutto sul corpo. Sono tatuaggi magici che i guerrieri nordici si fanno come protezione dalle armi nemiche. Il bello è che quei pazzi vanno in battaglia completamente nudi, per far vedere il loro coraggio. Dicono di non temere la morte, perché non bisogna temerla.

Dicono che la vera vita è nell’anima, e che se muori in battaglia per l’onore del tuo popolo, la tua anima va in un regno meraviglioso aldilà del Mare d’Occidente, su isole incantate, per poi tornare dopo molti anni e reincarnarsi in un nuovo corpo, magari in uno dei propri stessi discendenti.
Una volta un mio amico fece l’errore di chiedergli come mai, se davvero i guerrieri nordici hanno una così grande fede nella vita eterna dell’anima, lui non era morto impavidamente in battaglia ma si era lasciato catturare dai nostri soldati. Ovviamente ne è venuta una bella rissa, e a Kernan è stato proibito per un bel pezzo di venire in osteria. Pensate: la padrona del Kran Belz, la matriarca Holai

LOVECRAFT 397: IL MISTERIOSO GURU NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE D...

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 376° pagina.


Ma a dire il vero Loraisan era pieno di paure anche quando andava in giro sotto la luce del sole in mezzo alla strada. Aveva paura di incontrare qualche cane rabbioso o anche solo ostile, o di incontrare bambini più grandi di lui, che potessero fare i prepotenti e picchiarlo, o anche solo prenderlo in giro perché era così gracile e timido.

Ma mentre il sole calava sulla pianura, sulla strada non incontrò quasi nessuno, a parte qualche contadino che tornava dal lavoro. Una volta sola fece un incontro che lo colpì.

Incontrò un uomo dall’aspetto strano e un ragazzo che andavano a piedi in direzione contraria, verso Aminthaisan.

L’uomo aveva lunghi capelli rosso carota, dello stesso acceso colore del pelo di Menkhu, e sulle robuste braccia nude spiccavano degli strani tatuaggi bluastri, a forma di spirali e svastiche dagli uncini a falce di luna, o a ruote di carro. La barba caprina, composta in una lunga e sottile treccia, era di un rosso ancora pù fiammante, dalla tinta d’ambra.

Un nordico.  Era la prima volta che Loraisan ne vedeva uno in vita sua, ma sapeva che nel Veltyan ne vivevano parecchi, immigrati dalle boscose terre oltre le Montagne Albine, attirati dalle calde terre del Veltyan e dall’opulcenza della civiltà, o prigionieri di guerra ridotti in schiavitù.

Loraisan si chiese a quale delle due categorie appartenesse, poi notò il cerchio d’oro alchemico alla caviglia sinistra dell’uomo, e capì che era uno schiavo di qualche nobile famiglia.

E chi gli camminava al fianco, un ragazzo dell’apparente età di dodici o tredici anni, doveva essere il figlio dei nobili padroni che glielo avevano affidato. Forse stavano andando o tornando da una visita ad un’altra famiglia patrizia. Ovviamente non si poteva lasciar andare il figlio di un nobile da solo. Loraisan provò invidia per il ragazzo, che aveva sempre accanto la presenza di un adulto a proteggerlo.

Strano però che non andassero a cavallo, ma a piedi come dei comuni plebei.

L’uomo sorrise a Loraisan e alzò la mano sinistra, e il bambino si sentì sollevato, dopo essersi spaventato alquanto nel momento in cui aveva visto lo strano aspetto del nordico.

Parte della sua paura era dovuta ai pregiudizi dei Thyrsenna nei confronti dei nordici. Dopo aver sentito spesso racconti di invasioni di tribù dai capelli rossi, selvagge e spietate, era naturale che vedere poi dal vivo un membro di queste genti quasi mitiche potesse suscitare timore.

Poi successe qualcosa che sconcertò Loraisan. Quando l’uomo fu più vicino, il sorriso gli si spense improvvisamente sulle labbra.

La sua espressione si mutò da cordiale a spaventata, prese subito per mano il ragazzo che accompagnava e gli fece cenno di affrettarsi, poi senza più guardare Loraisan passò sull’altro lato della strada, e solo una volta superatolo si voltò di nuovo a guardarlo con espressione spaventata.

Loraisan rimase sconcertato. Quell’uomo straniero, grande e grosso, dall’aspetto temibile, l’aveva guardato con paura. Gli pareva assurdo. Non riusciva a immaginare cosa potava avere visto in lui per spaventarsi a tal punto da affrettare il passo per allontanarsi.

Mentre guardava le due figure con i loro mantelli rossi che si allontanavano, Loraisan formulò una catena di pensieri in base a quello che gli avevano raccontato degli Uomini del Nord, ed ebbe un’intuizione. Forse, quell’uomo straniero, quel selvaggio che veniva da regni oscuri e freddi, dominati da riti belluini e violenti, da terre di foreste e belve feroci, di sacrifici umani e lotte sanguinose, di stregonerie blasfeme e orrende, di costumi di vita bestiali e crudeli, aveva visto in lui qualcosa di demoniaco che in qualche modo conosceva bene. Forse aveva avvertito la presenza di una forza oscura, con il suo istinto subumano, tipico di una razza degenerata al limite fra l’uomo e la bestia. Forse aveva sentito la presenza del suo corrotto farthankar, quello che inavvertitamente Loraisan aveva evocato di fronte alla statua di Sethlan, manifestando l’orrendo mostro con l’occhio bianco nella mano nera.

Mentre si avviava di nuovo verso casa, si sentì i brividi correre lungo la schiena e il cuore in gola, pensando che le Presenze dell’Ignoto erano legate invincibilmente alla sua persona, e che non solo lo sentiva lui, ma che lo sentivano anche alcuni esseri, come i gatti valgiglini, o i selvaggi nordici.

Si ripromise di parlarne alla Reverenda Madre Ravinthi non appena fosse tornato all’eremo.

LOVECRAFT 396: GLI AMICI DI CARTER NE "ATTRAVERSO LA CHIAVE DELLA PORTA ...

martedì 25 aprile 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 375° pagina.


e che è molto importante. Ricorda sempre le mie parole ogni volta che avrai paura del buio, ogni volta che avrai paura di stare da solo e penserai che ci sia qualcun altro, accanto a te. Qualcuno che non vedi, ma di cui senti la presenza.

Tu devi sapere che non dobbiamo temere Loro fino a quando non commettiamo degli errori noi. Perché vedi, non siamo noi a non poter raggiungere Loro, gli Altri. Sono Loro a non poter raggiungere noi, a meno che non siamo noi a permetterglielo! Se noi non li cerchiamo, se non li evochiamo, Loro non possono comparire, non possono entrare veramente nella nostra vita. Non possono farci niente. Possono solo far sentire la loro presenza, ma niente di più! Devi solo continuare a pensare che non li vuoi vedere e non li vuoi conoscere. Capisci, Loraisan? Quindi, meno sai di Loro e meglio è! Se tu continui ad avere paura di Loro e non li vuoi conoscere, non li vedrai mai! Non ti raggiungeranno mai, anche se possono osservarti e farti sentire la loro presenza. Ricordatene, ogni volta che avrai paura di Loro! Ma ora, e fino a quando non sarai un ragazzo grande, non ne dovremo più parlare!».

Staccò la mano improvvisamente come gliel’aveva afferrata, e riprese a sgranare i piselli come se niente fosse. Gli disse solo di riprendere il lavoro e cominciò a parlare d’altro.

Loraisan non ebbe bisogno di altro.

Quella stessa sera, si aggrappò con tutta l’anima alle parole di Ravinthi. Non sapeva perché la monaca gli aveva detto quelle parole, non sapeva come lei potesse sapere quello che gli aveva detto. In qualche modo, aveva ammesso di sapere qualcosa su Quelli Dalle Ali Nere.

E gli aveva detto qualcosa che poteva usare come un’arma di difesa. Se non li si cercava, se si continuava a temerli, a volerli evitare, Loro, le Ignote Presenze, non avrebbero potuto avvicinarsi in nessun modo. Potevano osservarti, potevano far sentire la loro vicinanza, ma non potevano mai veramente apparire né interferire nella tua esistenza. Non aveva nessuna certezza che fosse così, ma si aggrappò a quella fede con tutta la propria anima.

Quella sera Loraisan si addormentò continuando a ripetere sotto voce: «Non vi voglio, non potete raggiungermi! Non vi voglio, non mi potete raggiungere!».

Però, nello stesso tempo, sentì che mentre ripeteva quella sorta di mantra, di preghiera alla propria anima e alle leggi mistiche dell’universo mondo, lui nel profondo non era del tutto sincero, perché nascosta tra le pieghe del terrore, c’era una parte di lui che era curiosa, che voleva vedere Loro, i Totalmente Altri, i mostri senza nome e senza volto della notte, e vederne svelato il mistero.

C’era una parte di lui che, mentre era terrorizzato dall’Ignoto, nello stesso tempo ne era affascinato, attratto invincibilmente. E lui lo sapeva, lo sentiva, a tal punto che alla fine si sentì più spaventato da se stesso, che da Loro.

In qualche modo, sentiva che quella sarebbe stata un’attrazione che sarebbe aumentata di giorno in giorno, di anno in anno, fino alla sua maturità.

Un’attrazione che alla fine avrebbe vinto e conquistato il suo terrore.

Un paio di giorni dopo era usiltin, giorno di riposo, e Loraisan, come al solito, era dalla sua famiglia.

Ogni sera di turantin, il giorno precedente a usiltin, sua sorella Eukeni lo accompagnava giù, lungo l’ampio sentiero sassoso che conduceva dalla cima di Monte Leccio alla grande strada lastricata della pianura.

La gatta Ashtair li accompagnava ogni volta. Sembrava sapere sempre quando Loraisan stava per andarsene e quando sarebbe tornato. Ogni mattina di larantin, si metteva di fronte alla porta dell’eremo, in attesa che comparisse dal bosco assieme a sua sorella.

Eukeni lo accompagnava all’andata e al ritorno solo lungo il sentiero, poi sulla strada lui tornava a casa da solo.

I figli dei contadini, in genere, non erano certo iperprotetti, almeno quando andavano fuori di casa.

Gli si diceva di stare lontano dai boschi, dai burroni, dalle rive dei fiumi e per il resto li si lasciava andare dovunque volessero.

Certo, Loraisan faceva eccezione, ma non fino al punto di non lasciarlo andare da solo per vie conosciute.

LOVECRAFT 395: LA TANA DEL SERPENTE NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE...

domenica 23 aprile 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 374° pagina.


Tuttavia, era noto che da giovane aveva partecipato al belk, come d’altra parte capitava a tanta povera gente delle campagne e delle montagne, e che perciò conosceva alcune streghe dichiarate, come Tarkisi Ferstran, la cugina di Syndrieli, che viveva non lontano da Monte Leccio.

Ravinthi, forse perché era la più vecchia, e una madre mancata, pareva essere la più sollecita di tutte le monache nei confronti di Loraisan. Dato che Harali aveva sempre poco tempo per occuparsi del bambino, aveva raccomandato alla consorella più anziana di seguirlo e sorvegliarlo.

Loraisan si era messo in testa che, siccome Ravinthi era la monaca che doveva controllare che seguisse le regole, sarebbe stata anche la più severa nel giudicare le sue paure e i suoi dubbi. Ravinthi era quella che gli metteva più soggezione, dopo la Reverenda Madre Fondatrice, e perciò era sempre restio a farle domande.

Si era sbagliato.

Un giorno particolarmente piovoso, in cui era rimasto sotto il portico del chiostro a guardare il cielo freddo e grigio vagando con le sue fantasie, si era deciso a chiedere a Ravinthi  se esistessero Quelli dalle Ali Nere, e che posto avessero nel disegno di Sil.

Era entrato nelle cucine, e trovando la monaca che sgranava piselli, lei gli aveva chiesto di aiutarla. Così, mentre stavano seduti assieme ad aprire e vuotare i baccelli, cominciarono a conversare, e lei gli chiese che cosa stava imparando in quei giorni, sui libri che stava leggendo e studiando.

Lui gli rispose che stava leggendo un antico poema che parlava di un eroe che vagava per regni favolosi e incontrava creature incredibili e mostruose, alla ricerca della sorella scomparsa, rapita da un malvagio demone dell’aria, che l’aveva trasportata nel lontano Oriente.

Quella fu l’occasione per Loraisan di chiedere qualcosa riguardo Quelli dalle Ali Nere, e se davvero venivano di notte a spiare dentro le case dalle finestre, per rubare l’anima a chi li vedeva.

«Chi ti ha parlato di Quelli dalle Ali Nere?».

«Un ragazzo più grande, che dice di averlo saputo da sua madre, che ne aveva visto uno di notte, fuori dalla finestra della sua casa».

«E che cos’altro ti ha detto?».

«Nient’altro. Mi ha raccontato questa storia, e basta. Ho provato a chiedere a un amico dei miei genitori, un Sileno, se è vero quello che mi hanno raccontato, e lui mi ha zittito subito, dicendo che di certe cose non bisogna neanche parlare, se non si vuole evocarle!».

Ravinthi fece una lunga pausa, prima di parlare ancora.

«Infatti, di certe cose i bambini non dovrebbero sapere niente. Ha fatto molto male, il tuo amico, a parlarti di quegli spiriti. Ma penso che abbia parlato per ignoranza, senza rendersi conto di ciò che ti stava raccontando».

«Ma io ho paura! Ho paura di quei demoni neri! Non riesco a non pensarci! Ogni volta che cala la notte, ho paura che vengano a trovarmi! Che vengano a portarmi via! Ho cercato, ho pregato per scacciarli dalla mente, ma non ci riesco! Ho pregato Sil ogni giorno di liberarmi dalla paura, di tenerli lontani, ma mi sembra sempre che siano là, nel buio, ad osservarmi. Quando sono da solo, quando è notte ed è tutto silenzio, mi sembra di sentirli accanto a me!».

Ravinthi lo guardò, e questa volta sembrava preoccupata sul serio.

«Ne hai mai parlato con qualcuno, di questo? La Reverenda Madre Harali lo sa?».

«No, io non le ho mai detto questo. Ho paura persino di parlarne…. i miei fratelli e le mie sorelle mi hanno sempre preso in giro per le mie paure. Poi magari anche loro si spaventano a sentire storie di stregonerie e demoni… mio fratello maggiore Erkan, il primogenito, partecipa al belk, ma nessuno vuole parlarne in famiglia, dicono che sono cose per i grandi…. Ci sono troppe cose strane che non capisco, forse se le capissi, avrei meno paura!».

Ravinthi gli afferrò la mano e la strinse, guardandolo dritto negli occhi con un’espressione che stavolta sembrava non essere meno spaventata di quella del bambino.

Si guardò attorno circospetta, per controllare che non ci fosse nessuno che li vedesse e li ascoltasse.
«Ascolta, Loraisan. Io non posso parlarti di certe cose, perché mi è proibito. Non posso trasgredire certe regole, lo sai. Forse un giorno potrò rivelarti alcune cose, ma ora no, purtroppo non posso. Ma tu sai già troppo, e vedo che sei veramente spaventato. Ascolta, allora. C’è qualcosa che devi sapere