giovedì 2 marzo 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 341° pagina.


Ma proprio quella passione per l’alchimia e per oggetti e prodotti esotici, aveva in lui un aspetto oscuro e inquietante.

Si diceva che nei sotterranei della sua villa tenesse le mummie di alcuni Giganti recuperate da profonde tombe sotto le Piramidi di Khaam, e spesso faceva vedere la sua collezione di oggetti stravaganti provenienti dalle terre più lontane.

C’era uno dei verdi idoli mostruosi della minacciosa Dea dei Serpenti di Lankar; un altro idolo mostruoso, fatto a forma di scheletro e interamente d’oro, proveniente dalla lontana Amentur;  ma c’erano anche cose ancora più orrende e strane.

C’era il teschio e alcune ossa di un essere che, immaginando che aspetto avesse avuto da vivo, riempiva di sconcerto, perché non rientrava in niente di sconosciuto.

Il cranio aveva una forma simile a quella dell’uomo, ma molto più grande e con orbite enormi e stranamente oblique, e con ben tre corna ancora più enormi, che ricordavano una via di mezzo fra quelle di un capro e quelle di un cervo.

Le mandibole però erano ancora più sconcertanti, perché non erano due, ma tre, una superiore e due inferiori, che ricordavano le mandibole di certi insetti. Inoltre, i denti parevano essere tutti fusi assieme in un’unica cresta ossea. Mezenthis diceva che proveniva da un lontano paese deserto dell’Estremo Meridione, dove non esistevano Uomini né genti di altre stirpi dai tempi del Diluvio.

E c’erano anche cose ancora più orribili, come il corpo di una donna pietrificata naturalmente, o presunta tale. Il corpo, sempre a detta dello Shepen di Anxur, era stato trovato in una caverna delle Montagne del Gigante, a oriente del Veltyan, e alcuni mercanti che commerciavano con le tribù del posto glielo avevano venduta.

Il corpo non era una statua, perché si vedeva bene dai particolari delle membra rattrappite e dalle ossa che affioravano qua e là, che si trattava di un corpo mummificato e poi pietrificatosi per un motivo sconosciuto. Sulla sua origine e sul perché fosse morta in quel luogo, non si sapeva nulla.

Il corpo e i lineamenti erano ancora contratti negli spasimi di una morte che doveva essere stata dolorosa. Vedere quella cosa metteva un’invincibile angoscia, e Mezenthis sembrava provare un morboso piacere a mostrarla ai suoi ospiti, soprattutto quelli altrettanto morbosamente affascinati dalla morte e dall’orrore.

Quanto fosse ricco e potente lo Shepen di Anxur, nessuno poteva dirlo, si riusciva a capire solo che ricchezza e potenza le sfoggiava come mai c’era riuscito nessun altro in quell’area prima così depressa.

Perennemente ingioiellato, straordinariamente alto, quasi come un Sileno, con la testa dalla lunga capigliatura nerissima circondata da una fascia d’oro alchemico, gli occhi di un grigioargento chiarissimo, che parevano quasi di ghiaccio e di acciaio, con una vistosissima croce ansata di smeraldo alchemico al collo che brillava di luce propria ogni volta che la indossava, aveva sempre un aspetto che dava un senso di soggezione ai volgarotti sacerdoti e nobili di provincia, che ne rimanevano immancabilmente affascinati, aldilà del fatto che fosse il fratello prediletto della Regina.

Maxtran invece rimaneva diffidente, soprattutto adesso che si era convinto che della sua presenza non si sarebbe mai liberato.

La gente si chiedeva perché un Eminente Pontefice del Regno Aureo si fosse imbucato in quel luogo,  perché anche se il Santuario d’Ambra era diventato un’attrazione per l’intero Veltyan, non c’era possibilità di paragone con gli splendori e le ricchezze e i divertimenti delle grandi città del regno.

Maxtran non era sicuro che la cosa fosse dovuta solo alla stravaganza del personaggio.

Infatti Mezenthis aveva preso subito sotto la sua ala protettrice Harali Frontiakh, l’adepta dell’eremita pazzo Aralar Alpan, sulla cui morte non si era mai smesso di favoleggiare.

Con l’aiuto dello Shepen di Anxur, aveva costruito un eremo sul Monte Leccio, dove erano entrate alcune altre donne. Harali aveva così fondato un nuovo ordine di sacerdotesse monastiche chiamato le Spose di Sin. Cosa per niente strana.

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