sabato 11 marzo 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 347° pagina.


Di fronte a lui, immobile, in attesa, c’era Bekigor, che lo osservava con il suo grande occhio rosso.

Era molto più grande della sua effigie posta a metà della galleria, all’incirca come un asino, ma per il resto era più o meno come rappresentato nella sua statua. Solo, era vivo e animato, pulsante di vita.

Aveva il corpo di drago squamoso e biancastro, con le sei zampe e gli zoccoli rossi, sormontato dal corpo di uomo dalla cintola in su, coperto di un fitto pelo nero, e la lunga coda verde di serpente attorcigliata a spirale, che sembrava fremere e agitarsi come la coda di un gatto.

E soprattutto aveva la testa ad occhio, dalle grandi palpebre nere, un grande occhio acquoso, vitreo, dalle sfumature che andavano dal rosso sangue a un rosso pallido, quasi rosa, che si diramava in ramificazioni venose dal bordo verso la pupilla a fessura, dove le pieghe dell’iride pulsavano come un cuore. Anche le vene rosate della sclera rossa pulsavano, come se all’interno di quel corpo mostruoso il cuore pompasse violentemente come dopo una corsa.

Le grandi ali nere e membranose invece erano ripiegate lungo i fianchi, immobili.

Ma c’erano altri particolari che nella statua lo scultore non aveva riportato. Sui lati del collo c’erano due orifizi lunghi e stretti, come una sorta di branchie, da cui chiaramente l’essere respirava, e l’ombelico aveva l’aspetto di una ventosa ricoperta di piccolissimi denti, che si contraeva come a voler succhiare qualcosa. Doveva essere una bocca, che portava direttamente al suo stomaco, se ne aveva uno.

Senza fare un passo, il Demone Oscuro levò il braccio villoso per mostrare a Maxtran il palmo. La mano non era umana, perché aveva due pollici ai lati, e le dita sembravano quasi dei grossi vermi snodati, in grado di contorcersi in ogni direzione. E anche lì c’era un particolare che corrispondeva alla forma dell’idolo. Un occhio bianco si apriva nel palmo, e sembrava guardare Maxtran come il grande occhio rosso.

Ma forse l’occhio nella mano non era un organo della vista, perché dalla sua pupilla scaturì un lampo multicolore. Anzi, una serie di lampi in sequenza di diversa intensità e diversi colori.

Dalla sua mano partivano lampi che passarono attraverso Maxtran come se fosse di vetro, per andare a colpire l’altare di ambra.

Il vecchio ex-soldato saltò istintivamente su un lato dell’altare, convinto di essere stato colpito dai misteriosi fulmini che continuavano a proiettarsi dalla mano del demone all’altare.

Continuando a brandire la spada, calò per un attimo lo sguardo verso il basso, per vedere se era stato ferito. Credeva di vedere delle bruciature o dei buchi sulla tunica, ma non vide niente. D’altra parte, non li aveva neanche sentiti, quei raggi di luce che avevano attraversato il suo corpo.

Sembrava che a Bekigor non importasse niente del sacerdote, ma solo dell’altare. Restava fermo, non avanzava, forse per evitare l’affilatissima e potentissima spada del vecchio guerriero, ma sembrava che, qualsiasi cosa stesse facendo, potesse farla da dove si trovava.

Mai voltare le spalle al nemico, questa era la prima cosa che doveva imparare un buon soldato, ma Maxtran non poté fare a meno di voltare almeno il volto verso l’altare, pur continuando a stare di fronte al demone brandendo la spada con entrambe le braccia.

A farlo voltare, non fu tanto quello strano fenomeno dei raggi che gli erano passati attraverso, ma il fatto che quei raggi colpivano l’altare con un tonfo sordo, come se fossero proiettili solidi, penetrando nel grande blocco d’ambra con delle scintille fiammeggianti.

Poi Maxtran sentì un altro suono, lungo, basso, come un rombo lontano, vibrante, che sembrava sorgere dalle viscere della terra. Un rombo che pareva anche un ronzio, quasi come il sommesso sciamare delle api in un grande cespuglio fiorito.

Il rumore sembrava provenire dall’altare, ma poi ebbe l’impressione che invece provenisse da dietro di esso.

E infatti, dopo pochi istanti, da dietro  il grande blocco squadrato di ambra alchemica, si alzò una sorta di fumo luminoso, di un colore lattescente, che si alzava in ampie ma sottili volute, come il fumo di una pipa. Sembrava quasi una cosa viva, come un groviglio di serpenti che si attorcigliasse nell’aria, propagandosi sempre più. Non era il fumo di un fuoco, non sembrava neanche essere veramente fumo, ma l’apparizione di un spirito. E quel suono si faceva sempre più forte.

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