domenica 12 marzo 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 348° pagina.


Maxtran si volse di nuovo verso il mostro ultraterreno, e lasciò andare la spada. Si pentì quasi di averla puntata contro il misterioso messaggero. Perché aveva capito che, in qualche modo, Bekigor si era manifestato per compiere un prodigio, per lanciare un messaggio a lui, che era il massimo custode del tempio.

Con reverente timore, il kamethei etariakh indietreggiò verso l’altare, fino a girargli attorno e guardare cosa avveniva dietro di esso.

Quando fu dall’altra parte, la vista gli si era annebbiata per l’emozione di trovarsi di fronte a quella che per lui era una manifestazione divina.

I raggi di luce iridata che scaturivano dall’occhio nella mano sinistra di Bekigor, attraversavano tutto l’altare per uscire dall’altra parte, curvandosi come un getto d’acqua e andando a cadere sul pavimento, all’interno di una sorta di botola, o di pietra circolare, il cui bordo era stato così sottile da essere stato quasi invisibile prima di allora.

Maxtran aveva notato molte volte quella sorta di botola, che molti invece nemmeno distinguevano, ma non aveva mai pensato potesse essere l’ingresso nascosto ad una cripta al di sotto dell’ipogeo, perché era troppo piccola perché vi potesse passare un Uomo, e tantomeno un Gigante.

Ora però la pietra della liscia botola, che non aveva mai avuto nessun contrassegno, né alcun appiglio per poterla sollevare, splendeva di luce propria, e addirittura fumava di luce diafana e di un bianco lunare, spettrale. Sembrava come una piccola luna splendente incastonata nel nero pavimento di  lastre di ardesia.

E mentre guardava quella luce, Maxtran ricordò qualcosa, una cosa che aveva dimenticato da anni.

Ricordò della notte in cui era iniziata per lui l’incredibile avventura del Santuario d’Ambra.

Ricordò la misteriosa Fata che era venuta a riprendersi il suo scialle verde in cambio della rivelazione di quel grande tesoro, e le parole di raccomandazione che gli aveva lanciate.

Non toccate ciò che troverete dietro l’altare, per nessun motivo.

Gli aveva anche detto di andarsene, dopo che avessero venduto la terra e fossero divenuti ricchi. Cosa che non avevano mai fatto e non avevano mai neanche pensato di fare.

Una volta Velthur gli aveva detto che avevano fatto bene a non farlo, perché quella Fata in realtà era stata un’amica del folle Aralar, e aveva detto così agli Akapri evidentemente per allontanarli e lasciare il campo libero all’eremita. A dire il vero, Maxtran non c’aveva mai creduto, perché trovava assurdo che la Fata avesse fatto trovare loro il Santuario d’Ambra, anziché semplicemente far sì che il suo amico potesse avere il possesso del tumulo della Polenta Verde, facendo prima in modo che nessuno sapesse che cosa vi si nascondeva.

E adesso, mentre vedeva il cerchio nella pietra che diventava sempre più luminoso, chissà perché tutti i ricordi di quella sera lontana gli ritornavano netti, come se li avesse vissuti il giorno prima, e assieme a loro altri ricordi. Apparivano di fronte ai suoi occhi, in seguenza rapidissima, le immagini vivide della visita della Regina, dell’arrivo di Mezenthis, del moltiplicarsi dei pellegrini a frotte attorno al Santuario d’Ambra, e le discussioni con conoscenti, parenti e amici su come condurre quel luogo magnificente.

E ora capiva di aver frainteso il senso del monito della Fata. Per anni, sia lui che la sua famiglia avevano sempre pensato che si fosse riferita alla grande statua d’ambra di Silen, e alla tomba di cristallo sottostante, che però si trovavano a più di dieci metri dietro l’altare

Ora invece capiva che aveva inteso qualcosa che si trovava nascosto immediatamente dietro l’altare, dentro il pavimento. Qualcosa di cui nessuno aveva mai saputo nulla.

E Bekigor, lui ne era convinto, era venuto dagli Inferi per rivelargli quel segreto. Gli strani dardi di luce che scaturivano dall’occhio della sua mano cadevano nella botola, la rendevano luminosa, e pian piano anche trasparente. Maxtran poteva vedere che sotto la botola c’era una cavità a cilindro, che ora risplendeva tutta come un pozzo di luce bianca schermato dal più puro cristallo, e sul suo fondo ardeva qualcosa di bellissimo e nello stesso tempo di terrificante. Qualcosa di vivo.
E mentre cercava di notare i particolari sfuggenti e fiammeggianti di quell’oggetto, nella sua mente accadeva qualcosa di strano e di inspiegabile. Era come se rivedesse tutta la sua vita fin dall’inizio, non solo tutte le cose che ricordava bene, ma anche quelle che aveva quasi o del tutto dimenticate

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