domenica 5 marzo 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 342°pagina.


Esisteva fra il popolino il detto che c’erano solo tre cose che Sil, la Madre Celeste, non sapeva: una era quanti ordini di sacerdotesse monache ci fossero nel Veltyan. Le altre due erano quanti soldi avevano gli Shepenna e cosa pensassero i teologi sul conto degli Dei.

L’unica cosa che colpiva la gente, per il momento era solo il fatto che si chiamassero le Spose di Sin anziché le Spose di Silen. Non si spiegava bene  perché avessero assunto la forma antica del nome del Dio della Luna.

Una volta Maxtran l’aveva chiesto ad Harali, e lei gli aveva risposto che era perché il Santuario d’Ambra aveva un’origine antidiluviana, e perciò il suo ordine, che era legato al culto del Santuario stesso, era giusto avesse un nome adeguato.

Per Maxtran, la maggiore seccatura era il fatto di dover dare sempre conto a Mezenthis di tutto quanto riguardava il Santuario, ma la seccatura che veniva immediatamente dopo era dover poi avere sempre fra i piedi quella strana donna.

Non che Harali fosse molesta, o invadente, o poco rispettosa nei suoi confronti. Tutt’altro. Cercava di essere sempre ossequiente a lui, che era il kamethei etariakh del Santuario. Riconosceva il suo ruolo e non lo metteva mai in discussione, né criticava in alcun modo il suo operato. A suo modo, cercava di essere d’aiuto nel gestire l’enorme flusso di pellegrini che aumentava di anno in anno.

Ma c’era qualcosa in lei che non andava. Era anche lei appassionata di alchimia, e lo stesso ordine che aveva fondato sembrava essere fortemente dedicato all’alchimia in varie forme, più che qualsiasi altra comunità sacerdotale.

Normalmente, i monasteri femminili del Veltyan erano tutti dediti all’alchimia farmaceutica ed erboristica, invece Harali e le sue consorelle sembravano indirizzate più ad altri campi, più complessi, tesi a produrre cose nuove, a raggiungere traguardi ambiziosi. Sembrava che lavorassero soprattutto vetro e cristalli alchemici, una cosa inconsueta dato che non si era mai sentito di un monastero di alchimiste vetraie.

Si capiva chiaramente che Harali aveva preso in mano l’eredità di Aralar, e voleva proseguirne le misteriose ricerche. In parte, ci era già riuscita. Finanziata dal suo protettore, era riuscita, tre anni prima, dopo aver studiato attentamente le carte di Aralar, a riprodurre quella strana sostanza gommosa e simile alla resina, che era stata scoperta nel bosco il giorno della morte del suo mentore, misteriosamente appesa agli alberi.

Nel laboratorio dell’eremo aveva cominciato a produrre in gran quantità spessi filamenti di quella sostanza ambrata e a venderli come corde, robustissime e durevoli, quasi indistruttibili. Ma si era guardata bene dal rivelare ad alcuno il segreto di tale sostanza, che era stata chiamata “corda d’ambra”.

Questo aveva cominciato a rendere anche lei ricchissima, molto più di tutti gli altri sacerdoti della zona, e quindi anche oggetto di invidia e gelosia, e di bramosia.

Molti avevano cercato di pagarla fior di pentacoli per il suo segreto, ma invano. Si diceva che lo stesso Mezenthis le avesse raccomandato di non vendere a nessuno il suo segreto.

Fatto sta che il monastero aveva assunto di recente un fama dai risvolti loschi. L’anno prima era stata trovata una giovane novizia delle Spose di Sin nei campi vicino al Santuario d’Ambra, morta. Era stata trovata là una mattina di autunno, e nessuno era riuscito a capire cosa le era successo.

Velthur stesso aveva esaminato il corpo, e l’unica cosa che era riuscito a capire, era che la povera ragazza non aveva ferite di nessun tipo, e che sul volto era disegnata un’espressione di terrore. Naturalmente erano cominciate subito le chiacchiere, e molte non erano affatto favorevoli alla Reverenda Prima Madre e fondatrice delle Spose di Sin.

Certe chiacchiere dicevano che la giovane avesse carpito ad Harali il segreto della corda d’ambra, e che volesse venderla ad un ricco e potente alchimista di Enkar, capo di una corporazione di alchimisti dei materiali da costruzione. E che per questo motivo la ragazza fosse stata uccisa, ma non in modo comune, bensì tramite stregoneria.
Dicerie, che non potevano essere provate. Ma che comunque pesavano sulla reputazione di quella donna e del suo monastero. Anche perché aveva costruito il suo eremo in quel posto maledetto dove Maxtran, sette anni prima, aveva trovato quello strano scialle fatato, spinto là dal suo amico Larsin

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