domenica 28 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 385° pagina.


Rimase amareggiato nel vedere che Harali gli aveva imposto la lettura del libro sacro di Elaxantrin solo perché era un testo canonico per la sua educazione, ma non perché fosse realmente interessata a insegnargli molte cose al riguardo. Se faceva troppe domande sulle dottrine insegnate nel libro, lei sembrava stancarsi e dirgli che “non doveva correre troppo”. Il solito ritornello di tutti gli adulti. Lei non era diversa dagli altri, in fin dei conti.

Solo molto tempo dopo però sarebbe riuscito a capire il perché.

Comunque, la Reverenda Madre Fondatrice rimase sorpresa una volta di più nel vedere che Loraisan assorbiva le dottrine teologiche e filosofiche di Elaxantrin come assorbiva qualsiasi altro tipo di conoscenza, e anzi con una comprensione più profonda.

Era sconcertante per lei vedere in un bambino una capacità del genere.

Se ne rese conto quando lo interrogò sul contenuto del libro, scoprendo che lui aveva letto e compreso anche i capitoli che lei non gli aveva chiesto di leggere perché li considerava troppo difficili per la sua età.

Mentre Loraisan parlava di ciò che aveva letto, sembrava proprio un piccolo maestro di teologia.

«Per Elaxantrin, cinque sono gli elementi o aspetti fondamentali della Natura: terra, acqua, aria, fuoco ed etere, dal più pesante, denso e oscuro, al più leggero, sottile e luminoso.

L’elemento originario di tutte le cose è l’etere, la sostanza di cui sono fatti gli Dei e tutti gli spiriti, comprese le anime degli Uomini e delle altre stirpi di Kellur. Esso è invisibile, libero, senza alcuna forma definita, e tutti gli altri quattro elementi non sono altro che varie forme di condensazione e appesantimento dell’etere. Il fuoco è più denso e pesante dell’etere, l’aria è più densa e pesante del fuoco, l’acqua è più densa e pesante dell’aria, la terra è più densa e pesante dell’acqua.

I cieli sono fatti di fuoco, come dimostra il fatto che il sole e le stelle brillano di luce propria. La luna invece ha una natura più simile a quella terrestre, di fatto ha la stessa natura di Kellur, ed è fatta delle stesse sostanze, ma comunque è più luminosa ed ignea. Essa splende di un fuoco freddo, pur essendo simile alla Madre Terra.

Nove sono i Cieli che circondano Kellur, la Madre Terra, che è un globo al centro dell’Universo Mondo.

Il primo è il Cielo di Tiur, la luna, poi c’è il Cielo di Turmis, Dio delle Arti e del Commercio, il Terzo Cielo è quello di Turan, la Stella del Mattino, Dea dell’Amore, il Quarto Cielo è quello di Usil, il sole, il Quinto Cielo è quello del rosso astro di Laran, Dio della Guerra, il Sesto Cielo è quello di Tinian, Dio dei Venti e delle Tempeste, il Settimo Cielo è quello di Satras, Dio dell’Abbondanza e della Sapienza, l’Ottavo è  il Cielo delle Stelle Fisse, dove brillano tutte le costellazioni, e dove regna Arthini, la Dea delle Stelle, che ha la sua sede nell’Orsa Maggiore. L’Ottavo Cielo è composto da una barriera oscura, una sfera di vetro nero, con infiniti fori da cui traspare l’involucro di fuoco che si trova di là da essa. Questi fori sono le stelle, sono porte per il Nono Cielo, dove vivono gli Dei Celesti e gli spiriti degli Uomini più grandi e santi. Esse sono sorvegliate dalle schiere dei Demoni Celesti, e per questo le varie costellazioni sono rappresentate da figure di antichi eroi e esseri prodigiosi del passato, perché appunto i Demoni Celesti sono gli spiriti dei grandi eroi e dei grandi esseri del passato.

Se non esistesse l’involucro oscuro dell’Ottavo Cielo, tutti gli altri cieli divamperebbero di fuoco divino e l’Universo Mondo finirebbe incenerito.

L’involucro di fuoco esterno è generato dall’etere del Nono Cielo aldilà, sfolgorante di luce infinita, dove regna Sil, il Sole Spirituale, l’Anima del Mondo, lo Spirito Santo. Esso è il Cielo Etereo dove giungono gli spiriti degli Uomini più giusti.

Dai raggi del Sole Spirituale o Sole Etereo, perché fatto di puro etere, puro spirito, è stato generato l’intero universo, e tutte le cose visibili ed invisibili.

Anche le nostre anime provengono da Lei, e ad esse devono tornare. Il sole non è che l’immagine visibile di Sil nel cielo terreno, il riflesso e la copia inferiore del vero Sole Spirituale da cui provengono tutte le cose.

La Luce di Sil è presente invisibilmente in ogni cosa terrena, e per questo la Sua Luce è la vera Anima del Mondo.

LOVECRAFT 306: LA NUOVA VISIONE DEGLI ANTICHI NE "ATTRAVERSO LA PORTA DE...

domenica 21 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 384° pagina.


L’Eminente Pontefice Mezenthis vigilava con mano di ferro, proibendo il possesso di armi a tutti i pellegrini e gli stranieri che si avvicinavano al Santuario. La tensione che aleggiava attorno al sacro ipogeo era sempre percepibile.

Di questo, il piccolo Loraisan sapeva poco o nulla. Isolato nell’eremo in mezzo a quelle strane donne rasate a zero e perennemente vestite di bianco e azzurro, la sua mente era concentrata tutta su altre cose, e assorbiva conoscenze come una spugna. Le regole rigide dell’eremo, che in parte doveva seguire anche lui, non gli pesavano più di tanto, a causa del suo carattere solitario e meditativo, e che con il tempo sarebbe diventato anche piuttosto perfezionista e rigoroso.

Le monache gli facevano leggere soprattutto testi religiosi e libri di storia, poemi classici e biografie di grandi personaggi, e per il resto dicevano anche loro che “certi altri libri e certe materie le avrebbe studiate quando sarebbe stato più grande, perché troppo difficili per lui”.

Il che lo frustrava anche più di quando lo sentiva dire dagli adulti della sua famiglia, o quando glielo diceva il dottor Laran.

Era convinto, da quello che gli avevano narrato dell’eremo delle Spose di Sin, che queste avessero avuto molta più sapienza di chiunque altro nella contrada di Arethyan e dintorni.

Tra l’altro, tutto quello che le riguardava gli appariva così strano, così avvolto dalla segretezza, che dopo un po’ cominciò a credere che nascondessero chissà quali segreti.

Fra le prime letture di Loraisan ci fu uno dei testi fondamentali di tutti i sacerdoti del Veltyan:  Il Libro degli Dei e del Mondo, scritto dal grande sacerdote e pensatore Elaxantrin Milesakni il Venerabile, vissuto più di duemila anni prima.

Era stato questo grande teologo che aveva sistematizzato il culto di Sil, formulando una serie di dottrine teologiche, filosofiche e morali che avevano dato una fisionomia unitaria ai culti dei vari Dei dei Thyrsenna e in particolare della loro divinità suprema Sil, la Dea del Sole.

Quando, durante le sue lezioni, Harali gli aveva dato una copia di quel libro sacro spiegandogli il suo contenuto, Loraisan ne fu entusiasta, perché sperava di trovare in esso la risposta a tutte le domande che si poneva sugli Dei e sugli antichi miti che li riguardavano, e in particolar modo sui misteri dell’origine del mondo e dell’umanità.

Lo interessò soprattutto la vita del Venerabile Elaxantrin, di cui si sapeva molto poco, e che aveva non pochi lati oscuri e misteriosi. Pareva che fosse stato di umili origini per parte di madre, ma che suo padre fosse stato un principe della città di Atri.

Divenuto adulto, si era imbarcato ancora molto giovane su una nave che commerciava con l’Oriente, e a quanto pareva l’aveva fatto per raggiungere Iubar e conoscere i misteri del mondo prima del Diluvio.

Ritornato in patria dopo ventitré anni, raccontò di essere stato molto oltre le rovine di Iubar e di essere giunto sulle Montagne Celesti nel più remoto Oriente, dove aveva conosciuto un ordine di antichi sacerdoti che gli avevano insegnato le loro dottrine.

Dopodiché Elaxantrin aveva scritto il Libro degli Dei e del Mondo, che subito molti kametheina avevano considerato un libro ispirato da Sil stessa, e che con il passare del tempo era diventato la fonte dei dogmi teologici e il fondamento della mistica della religione dei Thyrsenna.

Era proprio il tipo di storia che affascinava Loraisan, soprattutto perché parlava dei lontani paesi dell’Oriente, su cui fantasticava praticamente ogni giorno, ogni volta che contemplava la catena delle Montagne della Luna dalle finestre dell’eremo, o dal suo vasto orto.

Man mano che la sua cultura si accresceva, man mano che scopriva cose nuove del mondo in cui viveva, si convinceva che aldilà delle pallide montagne orientali dovessero celarsi dei grandi misteri antichi, e che chi li avesse svelati sarebbe stato  ricompensato con gloria e meraviglie infinite.

Questa sua fantasiosa aspirazione finì con il diventare una vera e propria ossessione, attorno a cui ruotavano tutte le sue letture e tutti i suoi interessi.

Da quella mattina che aveva guardato le Montagne della Luna come se le vedesse per la prima volta, ogni volta che pensava ai misteri del lontano Oriente di là dalle montagne, sentiva vagamente quella sensazione magica che si rinfocolava in lui.

LOVECRAFT 404: CARTER COMINCIA A VEDERE L'ALTROVE NE "ATTRAVERSO LA PORT...

lunedì 15 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 383° pagina.


essa. Qualcosa a cui apparteneva, un qualcosa di ignoto e inimmaginabile, che trascendeva ogni aspettativa e ogni conoscenza non solo sua, ma di chiunque altro.

Molto tempo dopo, quando quella sensazione sarebbe divenuta familiare, e i suoi pensieri e parole di bambino fossero divenute quelle di un adulto, le avrebbe dato un nome.

L’avrebbe chiamato l’Orizzonte Splendente, un qualcosa verso cui si sentiva invincibilmente proiettato, qualcosa che si stendeva sempre di fronte a lui senza mai farsi veramente vedere, ma solo avvertire.

Qualcosa che un giorno avrebbe assunto un nome e un volto ben precisi, in un futuro indefinito, senz’altro molto lontano, poiché sentiva che tale presenza indefinita era nello stesso tempo infinitamente vicina e infinitamente lontana da lui. A pochi passi, eppure persa in un abisso di lontananza oltre i più lontani orizzonti conosciuti.

Tutta la sua vita, avrebbe imparato molto tempo dopo, sarebbe stata dedicata solo a definire l’Orizzonte Splendente, a trovarlo, ad attendere la sua manifestazione, anche se avesse dovuto impiegarci tutto il tortuoso corso della sua vita.





CAP. XXX: L’INCONTRO COL TERRORE



Passò un anno relativamente tranquillo, nel piccolo villaggio di Arethyan.  Il ciclo del tempo non poteva interrompersi a causa di qualche strana anomalia nelle vicende degli Uomini. La Natura seguiva sempre il suo corso e così anche le tradizioni della gente comune.

Certo, riguardo Arethyan c’era sempre qualcosa di cui chiacchierare che era molto più strano o preoccupante di quello che si sentiva raccontare riguardo altri paesi della pianura e delle montagne.

Le voci su strane possessioni e apparizioni si erano di nuovo propagate, e quasi tutte giravano attorno al Santuario d’Ambra. Mentre sette anni prima le paurose dicerie erano state solo la materia per racconti di spiriti, fantasmi e orrendi demoni che spiavano nella notte e terrorizzavano viandanti e abitanti di case ritenute infestate, questa volta tutto si era colorato di tinte mistiche. Si parlava di prodigi e di miracoli, e di apparizioni demoniache che proferivano agghiaccianti profezie nella notte a terrorizzati pellegrini.

Un gruppo di ragazzi avevano visto una strana figura nera, alta e ammantata, danzare forsennatamente e in modo inquietante in cima a una collina, ma quando avevano provato ad avvicinarsi per guardarla più da vicino, non avevano più visto nessuno.

Una donna al crepuscolo aveva sentito un coro di voci cantare una stranissima melodia con il suono di strumenti sconosciuti, provenire dal limitare del bosco accanto alla sua casa, dove brillavano delle strane luci. Ma quando va a cercare i cantori, non trova nessuno, e tutto sembra essere tornato avvolto dal silenzio e dall’oscurità.

Un bambino aveva visto sorgere dal fiume un gigantesco serpente acquatico, con le squame dai mille colori lucenti e con una cresta di piume scarlatte, che sembravano una cresta di gallo. Terrorizzato, aveva chiamato i famigliari, i quali avevano fatto appena in tempo a vedere il mostro scomparire in lontananza lungo il corso del fiume.

Nella notte, misteriose voci sussurrano linguaggi incomprensibili, mani misteriose bussano alle porte, misteriose luci scarlatte vengono viste vagare fra i boschi delle colline, mentre di giorno contadini attoniti vedono orme di nudi piedi invisibili formarsi nel fango dei campi e degli orti presso le loro case.

Le dicerie popolari parlavano di strani scherzi delle Fate, ma altri dicevano che non erano le maliziose e irriverenti Custodi del Fato, a provocare queste apparizioni, ma qualche forza ben più oscura, nata dagli abissi degli Inferi, nelle profondità della Madre Terra, nel regno dei defunti rimasti lontani dalla Luce di Sil.

Ma la versione che si diffondeva di più, soprattutto tramite le predicazioni di certi sacerdoti e di certi pellegrini, era che si trattasse solamente di segni dello sfavore divino, che lancia moniti a coloro che si erano allontanati dalla verità del Ninursha Silal.

LOVECRAFT 403: COMPARE LA GUIDA DI CARTER NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA ...

domenica 14 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 382° pagina.


Volò verso le leggende di stregoni e mostri e oscure divinità della natura che vivevano nelle sterminate foreste, spiriti dei ghiacci e delle nevi, delle nebbie e delle foreste, verso racconti di nere fortezze e palazzi di ghiaccio sulle vette, di Giganti sopravvissuti al Diluvio su remote isole in mezzo a mari nebbiosi dove il sole giunge di rado, di porte oscure sul regno dell’oltretomba, poste sul fianco di monti isolati, evitati da Uomini e altre creature, sorvegliate da Fate maligne e ingannatrici.

Mentre le sue labbra parlavano della gloria di Sin, un Dio che non conosceva neanche tanto bene, la sua mente immaginava straordinarie, eroiche avventure in cui sconfiggeva le creature dell’Ignoto che tanto lo terrorizzavano di notte.

Ma mentre la sua mente vagava, cercava sempre di ricordare le parole di Ravinthi: “Non siamo noi a non poter raggiungere Loro, sono Loro a non poter raggiungere noi, a meno che non glielo consentiamo noi”.

Poi il rito finì e Loraisan dovette tornare al mondo reale ancora per un po’.

Dopo il pranzo, salì in camera sua, ma prima di arrivarci, udì il singhiozzare di una delle monache dietro una delle porte. E assieme al singhiozzare, sentì il suono di una cetra e il canto di un’altra monaca. Incuriosito, si fermò nel corridoio ad ascoltare la musica, che gli parve di una particolare bellezza. Una di quelle musiche che lo aiutavano a sognare, a riprendere a vagare con la fantasia.

I singhiozzi facevano di sottofondo alla musica suadente, che sembrava parlare di pace ed armonia, come a voler contrastare la pesante atmosfera di silenziosa solitudine e ansia che sembrava aleggiare sull’eremo.

Poi i singhiozzi finirono, e la musica e il canto finirono qualche minuto dopo.

Loraisan lasciò il corridoio prima che qualche monaca passando di là gli chiedesse cosa stava facendo.

Loraisan aprì le ante della finestra della sua camera, e dette uno sguardo al panorama. La sua camera dava in direzione nord-ovest, e si poteva vedere gran parte dell’arco delle cime delle Montagne della Luna, che andavano appunto da nord-est a nord-ovest. Si poteva vedere anche una parte della pianura ai piedi di Monte Leccio, e le anse del fiume Eydin che serpeggiavano brillanti sotto la luce del sole.

Non aveva mai visto le montagne così bene da quando era nell’eremo. Certo, alcune delle cime si vedevano bene anche da casa sua, oltre le colline, ma non aveva mai visto in vita sua l’intero arco delle montagne così nitido, in tutta la sua magnificenza, con le guglie delle cime che parevano più che mai città e castelli incantati. I dettagli della catena gli apparivano con una nitidezza che lo stupiva.

Vedendole, gli pareva di sentire in esse la presenza degli antichi e misteriosi Nani nascosti fra le loro rocce, dentro profonde gallerie, assieme a quella delle Fate consigliere dei destini umani, e quella delle divinità della Madre Terra, Fuflun Dio delle Vigne, Selvan Dio delle Foreste e Kerris Dea delle Messi, Surmanth Dio degli Inferi e Semi, Dea della Terra.

E oltre a quelli, sentiva la presenza di qualcos’altro, qualcosa che non aveva immagine, ma che sembrava andare aldilà delle montagne stesse, eppure essere contenuto in esse. O meglio, gli sembrava che fossero le montagne ad essere contenute in una meraviglia più grande di loro.

Scoprì dentro di sé come un’emozione nuova e sconosciuta, a cui non sapeva dare un nome.Era come se la sua anima si aprisse e uscisse da lui stesso per lanciarsi oltre il visibile. Era come se le cime stesse e il cielo azzurrissimo gli parlassero di qualcosa che andava oltre di esse, come se la loro magnificenza parlasse di una gloria e di una bellezza ancora più grande, oltre ogni immaginazione.

Per la prima volta, ebbe una sensazione che in seguito, negli anni, l’avrebbe accompagnato spesso, fino all’età adulta. Una sensazione inspiegabile, che sembrava a volte avvolgerlo come un manto protettivo, che lo difendeva dallo scoraggiamento, dalla tristezza, dal senso di inutilità che spesso avrebbero funestato la sua difficile esistenza.
Per la prima volta avvertì la sensazone della presenza nella sua vita di un orizzonte sconosciuto verso cui era inevitabilmente incamminato, destinato fin dalla sua nascita, o forse ancora prima di

LOVECRAFT 402: I SIMBOLISMI DE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE D'ARGEN...

sabato 13 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 381° pagina.


Ovviamente erano tutte convinte, sia quelle che avevano visto il mostro, sia quelle che non avevano fatto in tempo a vederlo, che si trattasse di un pauroso segno divino, l’immagine di una minaccia annunciata ed evocata dagli Inferi più oscuri.

In una religione che un tempo era stata dominata dagli indovini che leggevano in ogni fenomeno naturale particolare il linguaggio degli Dei, ogni anomalia era vista inevitabilmente del pari come un segno divino. Ogni nascita di animali deformi, ogni strana luce nel cielo, ogni fulmine più devastante, ogni strano sogno poteva essere un messaggio dall’invisibile.

Ma quella indescrivibile visione non era comparabile a nessuna leggenda, a nessuna anomalia o mostruosità mai vista prima. Nemmeno le molteplici visioni del Prodigio del Sole Scarlatto erano state così enormemente spaventose.

Da quella mattina di terrore, il mostro nero sarebbe stato chiamato “la Mantide-Ragno delle Cime”, e avrebbe tormentato le notti dell’eremo per molto tempo ancora, rimanendo impressa per sempre nelle cronache delle Spose di Sin.

La mattina dopo, Loraisan tornò all’eremo. Anche quella giornata era splendida, il cielo non aveva perso la sua limpidezza e le montagne continuavano ad apparire nella loro magnificenza.

Quando arrivò all’imboccatura del sentiero di Monte Leccio, trovò Eukeni che lo stava già aspettando.

Dall’espressione del suo volto, dal tono della voce nel salutarlo, capì che qualcosa non andava.

Pensò che magari lei avesse fatto qualcosa che trasgrediva le regole dell’eremo, e che fosse stata punita in qualche modo. Intuendo che sua sorella non voleva parlarne, non insisté nel voler sapere.

Quando arrivarono all’eremo, Loraisan scoprì con sconcerto che anche le altre monache sembravano essere tutte di cattivo umore. Tese, riservate, non sembravano avere tanta voglia di fargli le feste come tutte le altre mattine di larantin, quando tornava all’eremo dalla visita alla sua famiglia.

Non riuscì a vedere neanche Harali, nemmeno di sfuggita, mentre invece ogni volta che tornava all’eremo aveva sempre un momento per salutarlo.

Quella giornata gli apparve molto strana, fastidiosa, priva di senso. Forse per quello la sua mente volò lontano dalla realtà più del solito.

Eukeni lo portò subito nel tempio dicendogli che doveva pregare molto e compiere riti di purificazione, ma senza spiegargli perché. Un’atmosfera di espiazione e di intenso misticismo sembrava guidare le azioni delle monache, come se fosse ancora usiltin.

Tutta la mattina il tempietto fu pieno di litanìe, canti, musiche, aspersioni di profumi e aromi, invocazioni a tutti gli Dei celesti e inferi, come se si volesse allontanare o scongiurare un pericolo.

Loraisan fu costretto a rimanere nel tempio due ore, seduto a gambe incrociate di fronte alla taurina immagine argentata di Sin, e per sopportare tutto questo naturalmente fece vagare la mente verso lontani regni della fantasia.

Ogni volta che era costretto ad annoiarsi, lui non si lamentava, non si ribellava. D’altra parte, lui non si lamentava e non si ribellava mai di fronte a niente, neanche di fronte al dolore che faceva urlare e piangere tanti altri bambini.

Sembrava che il suo terrore del buio e della solitudine trovasse la sua compensazione a una straordinaria sopportazione del dolore e dei disagi, in una incredibile capacità di adattamento che era già eccezionale per un adulto, ma che in un bambino era ancora più sconcertante.

Ma di fronte alla noia lui aveva sempre la sua scappatoia: il sogno ad occhi aperti. Un sogno che diventava spesso una vera e propria meditazione sull’immaginario.

Così, per l’occasione, mentre recitava i sacri mantra del culto a Sin assieme a sua sorella, la sua mente vagava negli sconosciuti regni del Grande Nord, cercando di immaginarsi storie e imprese dei guerrieri dai capelli rossi, cercando di visualizzare nella sua mente i lontani popoli dei Gaelna, degli Alverna, dei Teudanna, dei Dananna, dei Kymbrenna, dei Tauranna, degli Svedanna e dei Bayurna, tutti della famiglia dei popoli nordici, dai capelli rossi e dagli occhi azzurri o verdi, dalle strane lingue incomprensibili e dagli ancor più strani costumi.

Tanto lo aveva impressionato l’incontro con Kernon, lo schiavo che si era terrorizzato alla sua vista.

LOVECRAFT 401: LA TANA DEL SERPENTE NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE...

domenica 7 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 380° pagina.


occhi bianchi, a forma di mandorla. Una testa che, oltre che spaventosamente enorme, era anche immensamente sinistra. La testa di un maligno insetto di specie sconosciuta.

Ma era un insetto che doveva essere grande come l’intero villaggio di Arethyan se non di più. Assurdo, grottesco nella sua impossibile grandezza, s’innalzava lentamente sopra la vetta, aggrappandosi con le sue molte, sottili zampe di ragno.

A quel punto Akleini cominciò a urlare, un grido spaventoso e senza fine. Sembrava che la stessero uccidendo. Le altre consorelle, interrompendo il loro gioco, non si accorsero subito del motivo delle sue urla. Le corsero incontro e le urlarono a sua volta di calmarsi e di spiegare loro che stava succedendo, ma lei continuava a urlare fissando la cima del Perpennin, e solo quando una delle sue consorelle le giunse di fronte, ebbe la buona idea di guardare dove stava guardando lei.

Un secondo dopo la fanciulla crollò a terra svenuta, come un burattino a cui avessero tagliato i fili.

Il gigantesco mostro ora era emerso da dietro la montagna, e troneggiava sulla cima come un ragno troneggia nella sua ragnatela. Le sue lunghissime e sottili zampe, che reggevano un nero corpo affusolato come quello di una mantide o di una cavalletta, sembravano afferrare la cima come se volesse strapparla dalle rocce, mentre la testa ruotava attorno sopra un sottile collo articolato, come se stesse cercando qualcosa nelle valli circostanti.

Alle urla di Akleini si aggiunsero le urla di tutte le altre ragazze, perlomeno di quelle che non erano svenute dal terrore.

Alcune rimanevano paralizzate in piedi, altre correvano verso le porte dell’eremo.

Harali in quel momento si trovava nella sua stanza a leggere uno dei libri di teologia misterica della biblioteca dell’eremo, quando sentì le urla spaventose che provenivano dagli orti. Il suo alloggio si trovava accanto al portone d’entrata al pianterreno, e quindi non ci mise molto a raggiungere le consorelle, tre delle quali avevano già raggiunto il cortile interno.

Ma erano troppo isteriche per riuscire a spiegarsi, e quindi Harali dovette uscire dall’eremo, verso le altre fanciulle che continuavano a urlare o che semplicemente rimanevano ferme tremando da capo a piedi, limitandosi ad ansimare e gemere, guardando il mostro che se ne stava ancora sulla cima del Perpennin.

Quando Harali lo vide, si bloccò, ma non urlò. Tirò solo un grande sospiro gemente, poi rimase ferma, tremante.

Alzò la mano sinistra proferendo un’invocazione a Sil di liberazione dai Demoni Oscuri.

Ma l’essere stava già cominciando a mutare di aspetto, quando Harali lo vide. La matriarca dell’eremo poté cogliere solo gli ultimi istanti di quell’assurda apparizione, perché la sua nera figura cominciò subito a confondersi e a divenire evanescente, come se venisse avvolta da una nebbia che la rendeva sempre più grigia e trasparente, finché alla fine, al posto dell’immenso mostro grande come un paese, non rimase che un ammasso di piccole nuvole argentee che si staccavano dalla cima per dissolversi nel cielo, ben presto di nuovo completamente terso e luminoso.

Quando fu svanito del tutto, Harali si guardò attorno e cominciò a pensare a calmare la sua sconvolta comunità di sacerdotesse monache.

Un paio di loro dovette prenderle a schiaffi, perché continuavano a urlare istericamente, mentre quelle che erano rimaste dentro l’eremo, solo allora stavano uscendo per vedere cosa era successo.. Akleini invece si era ripiegata su se stessa ai piedi del noce, in posizione fetale, tremando e fissando il vuoto nel più completo silenzio. Dovettero raccoglierla in due per portarla dentro l’eremo.

Poco per volta si ripresero tutte, fuorché Akleini. La maggior parte delle monache che avevano visto l’orrenda visione continuarono ad avere incubi spaventosi per molto tempo. Una sviluppò una fobia invincibile per i ragni e gli insetti. Altre due divennero balbuzienti, ma Akleini perse del tutto la parola.

Anni dopo, qualcuna di loro, finito il triennio monastico e fattasi ricrescere i capelli, scoprì che erano divenuti bianchi, nonostante la giovane età.

Quando Harali ebbe completamente ripreso controllo della situazione, riunì tutte le monache nel tempietto di Sin, per passare tutta la giornata con preghiere, riti, offerte ed invocazioni esorcistiche.

LOVECRAFT 400: L'INIZIO DEL VIAGGIO DI CARTER NE "ATTRAVERSO LA PORTA DE...

sabato 6 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 379° pagina.


più del ricreativo, come andare a cercare funghi nel bosco o preparare dolci. Tanto che tutti i piatti da consumare ad usiltin dovevano essere preparati il giorno prima.

Oltre il tempo passato a celebrare riti religiosi, tutta la giornata poteva essere occupata solo dalla lettura di testi, dal canto, dalla musica, dal gioco nel cortile o anche nei prati accanto agli orti.

Quella mattina del Mese della Bilancia, subito dopo l’equinozio d’autunno, il cielo era splendido, senza una sola nuvola, come capitava normalmente in quel periodo dell’anno.

Nei giorni precedenti aveva piovuto abbondantemente, e sulle cime aveva nevicato, ma ora il vento aveva ripulito la volta celeste, e da Monte Leccio si poteva vedere il panorama delle bianche Montagne della Luna, dove la pallida roccia calcarea era stata sommersa dalla neve.

Non erano frequenti le giornate in cui l’aria era così limpida da permettere di vedere così nitidamente la catena delle cime, che parevano castelli e cittadelle incantate, perché l’umida foschia della pianura saliva fino alla cima delle colline pedemontane a offuscare la vista dei rilievi più lontani.

In una giornata così soleggiata e limpida, inevitabilmente le monache più giovani, dopo i riti del mattino e la colazione, si erano messe a giocare al limitare del bosco uno dei giochi più comuni e tradizionali dei Thyrsenna, il gioco della “cestapalla”, dove tutte le giocatrici avevano una piccola cesta con cui dovevano raccogliere al volo una palla e prontamente rilanciarla a una delle compagne. Se la si lasciava cadere per terra per tre volte, si veniva squalificate dalla partita e bisognava aspettare che la partita finisse, per poter rientrare in gioco. La partita si concludeva quando rimaneva una sola giocatrice non squalificata. Nel gruppo di giocatrici, quella mattina c’era anche Eukeni.

Oltre a lei, c’era una ragazza di nome Akleini, che fu fra le prime squalificate.

Un po’ imbronciata per la sua scarsa abilità, si era messa ai piedi di un giovane noce nel frutteto, a osservare lo spettacolo delle montagne, pensando che sarebbe stata una bella noia aspettare che le altre ragazze concludessero la partita.

La sua mente vagava lontano, mentre rimirava i particolari delle incantate guglie, simili a castelli, cittadelle fortificate e torri svettanti nell’azzurro, e immaginava di andare lontano da quell’eremo in cui sua madre, le sue zie e i suoi zii avevano voluto mandarla perché studiasse e imparasse i segreti dell’alchimia. Quasi desiderava di non aver scoperto in sé il talento alchemico, che sembrava essere alquanto potente. Senz’altro, molto più potente della sua abilità nel gioco.

Sognava di poter viaggiare e vedere le grandi città una volta che fosse divenuta un’abile alchimista, quando notò una piccola nuvola dalla forma molto strana che spuntava da dietro la cima del Perpennin, la grande montagna consacrata al Dio delle Vette e delle Nevi, Pennin, il rilievo che appariva più alto dal Monte Leccio.

Era una nuvola sottile e stranamente nera, come se fosse foriera di tempesta. Si alzava come una lancia nell’azzurro, e per qualche istante Akleini credette che potesse essere una scia di fumo, domandandosi chi potesse salire in cima al Perpennin per accendere un fuoco, e come potesse farlo, dato che lassù, sulle nude cime, non c’era legna da ardere e sicuramente c’era troppo vento per accendere un fuoco.

Eppure quella lancia di fumo nero sembrava innalzarsi sempre più, fino a quando, assurdamente, sembrò spezzarsi in due, e la parte superiore, rimanendo sempre dritta, si piegò verso il basso, fino a toccare le rocce della cima.

Per un istante Akleini rimase paralizzata dallo stupore, perché non capiva cosa stava guardando. Solo pochi istanti dopo ci riuscì, e cominciò il terrore.

Un’altra lancia nera si innalzò da dietro la cima.

E come l’altra, dopo essersi protesa molto sopra la montagna, si piegò su se stessa nello stesso identico modo. Era evidente che non si trattava di nuvole.

Si trattava di una sorta di gigantesche zampe. Poi apparve la testa del proprietario di quelle due zampe, proprio in mezzo ad esse.
Altrettanto nera, a forma di goccia rovesciata, con due enormi e sottili corna a falce di luna, apparve la testa di qualcosa che avrebbe potuto assomigliare a una mantide, o a una formica, con due grandi

LOVECRAFT 399: ANCORA SU IREM NE "ATTRAVERSO LA PORTA DELLA CHIAVE D'ARG...

lunedì 1 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 378° pagina.


Penthenetul, quel donnone tanto gioviale che all’occorrenza sa essere feroce come una tigre delle nevi, l’ha buttato fuori sulla strada, lui e i suoi vestiti sparsi per terra, a suon di bastonate! Poi però dopo un paio di mesi l’ha lasciato tornare a bersi le birre, ma non più di tre per sera…. e un boccale di vino di quelli leggeri….da allora si è comportato abbastanza bene, nel senso che Holai non l’ha più buttato fuori, anche se fa sempre lo sbruffone. È un gran bugiardo e racconta un sacco di storie incredibili su cose che avrebbe visto, fatto e vissuto là nel Grande Nord».

«Bei tipi, che frequentano il Kran Belz!» esclamò Syndrieli «È ancora peggio di quel che pensassi, dopo che hanno cominciato ad arrivare i pellegrini del Santuario!» Scommetto che sei anche amico suo? E magari dà anche fastidio alle nostre ragazze! Mi figuro come si sentirebbe una matriarca che vedesse sua figlia ricevere di notte la visita di quel selvaggio rosso, e magari dover allevare qualche testa rossa come nipote!».

«Oh, per quello puoi stare tranquilla! A Kernon non interessano le donne, quelli che infastidisce sono sempre i maschi! Mi ha detto che al suo paese è una cosa del tutto normale che gli uomini giacciano insieme, anche in tre! Lui dice che i Gaelna si sposano e fanno figli solo per la continuità della stirpe, ma che per loro è l’amore tra uomini che vale davvero, perché l’amore per una donna finisce per indebolire il guerriero, mentre l’amore per un uomo lo fortifica e accresce il legame con i commilitoni, a tal punto che tutti sono pronti a dare la vita per i compagni, tanto è il legame amoroso che hanno tra loro. E lui non ha rinunciato a questa tradizione. Quando è ubriaco, cerca sempre di abbracciarti e ti recita poesie d’amore…. Noi lo lasciamo fare perché è divertente. Anche perché è così strano…. lui non cerca i fanciulli, quelli a cui deve ancora crescere il pelo, come è normale per un uomo adulto. Lui li cerca proprio della sua stessa età! Mai visto un tipo del genere! Ma immagino che al suo paese sia una cosa normale….».

Syndrieli storse la bocca, perché faceva fatica di immaginarsi due maschi adulti che giacevano assieme. Per i Thyrsenna era normale l’amore fra un uomo adulto e un fanciullo adolescente, quando ancora ha la bellezza e la delicatezza di una donna, ma l’amore fra due uomini pelosi e sgraziati le appariva assurdo; tuttavia non fece ulteriori commenti. Pensò che era meglio che quello schiavo ubriacone non spargesse il suo seme selvaggio nel grembo di qualche brava ragazza della zona. Ragazze che avrebbero potuto essere anche le sue figlie, che ormai erano tutte o quasi vicine al momento in cui avrebbero avuto il permesso di praticare il matrimonio notturno.

Loraisan rimase colpito da quello che aveva raccontato il padre, e la sua fantasia cominciò a partire, come al solito.

Si ripromise di cercare fra i libri dell’eremo qualcosa che parlasse dei popoli nordici e dei loro usi e costumi. Lo affascinava in particolar modo la credenza che i guerrieri morti in battaglia fossero destinati ad andare in un regno paradisiaco aldilà del mare per poi tornare dopo molti anni e vivere una nuova vita su Kellur.

Quella notte sognò i Gaelna, un’orda immensa che calava dalle montagne come una marea di formiche, urlando selvaggiamente con le loro barbe rosse, i loro corpi tatuati, i loro elmi cornuti, così come li aveva visti in alcune illustrazioni.

Lui li vedeva avanzare verso la sua casa, il suo paese, e rimaneva paralizzato dalla paura, pensando a cosa poteva fare. Poi si accorgeva di avere in mano una sorta di bastone, o di lungo scettro, di pesante metallo, e guardandosi le mani si accorse che erano le mani villose e grandi, dalla pelle indurita, di un uomo adulto. Poi, stranamente, fu come se si vedesse in uno specchio, e scoprì di non essere più un bambino, ma un uomo alto, grande e forte, con una lunga barba nera.

A quel punto, piantava l’asta di metallo nel terreno con tutta la sua forza, creando un crepaccio che rapidamente si trasformava in una voragine che inghiottiva le schiere di invasori.

Dopodiché il sogno finì, per lasciare il posto ai primi bagliori del mattino.

Ma se l’aurora segnava la fine di un sogno per Loraisan, nell’eremo invece fu l’annuncio di un incubo vissuto nella realtà.
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