lunedì 15 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 383° pagina.


essa. Qualcosa a cui apparteneva, un qualcosa di ignoto e inimmaginabile, che trascendeva ogni aspettativa e ogni conoscenza non solo sua, ma di chiunque altro.

Molto tempo dopo, quando quella sensazione sarebbe divenuta familiare, e i suoi pensieri e parole di bambino fossero divenute quelle di un adulto, le avrebbe dato un nome.

L’avrebbe chiamato l’Orizzonte Splendente, un qualcosa verso cui si sentiva invincibilmente proiettato, qualcosa che si stendeva sempre di fronte a lui senza mai farsi veramente vedere, ma solo avvertire.

Qualcosa che un giorno avrebbe assunto un nome e un volto ben precisi, in un futuro indefinito, senz’altro molto lontano, poiché sentiva che tale presenza indefinita era nello stesso tempo infinitamente vicina e infinitamente lontana da lui. A pochi passi, eppure persa in un abisso di lontananza oltre i più lontani orizzonti conosciuti.

Tutta la sua vita, avrebbe imparato molto tempo dopo, sarebbe stata dedicata solo a definire l’Orizzonte Splendente, a trovarlo, ad attendere la sua manifestazione, anche se avesse dovuto impiegarci tutto il tortuoso corso della sua vita.





CAP. XXX: L’INCONTRO COL TERRORE



Passò un anno relativamente tranquillo, nel piccolo villaggio di Arethyan.  Il ciclo del tempo non poteva interrompersi a causa di qualche strana anomalia nelle vicende degli Uomini. La Natura seguiva sempre il suo corso e così anche le tradizioni della gente comune.

Certo, riguardo Arethyan c’era sempre qualcosa di cui chiacchierare che era molto più strano o preoccupante di quello che si sentiva raccontare riguardo altri paesi della pianura e delle montagne.

Le voci su strane possessioni e apparizioni si erano di nuovo propagate, e quasi tutte giravano attorno al Santuario d’Ambra. Mentre sette anni prima le paurose dicerie erano state solo la materia per racconti di spiriti, fantasmi e orrendi demoni che spiavano nella notte e terrorizzavano viandanti e abitanti di case ritenute infestate, questa volta tutto si era colorato di tinte mistiche. Si parlava di prodigi e di miracoli, e di apparizioni demoniache che proferivano agghiaccianti profezie nella notte a terrorizzati pellegrini.

Un gruppo di ragazzi avevano visto una strana figura nera, alta e ammantata, danzare forsennatamente e in modo inquietante in cima a una collina, ma quando avevano provato ad avvicinarsi per guardarla più da vicino, non avevano più visto nessuno.

Una donna al crepuscolo aveva sentito un coro di voci cantare una stranissima melodia con il suono di strumenti sconosciuti, provenire dal limitare del bosco accanto alla sua casa, dove brillavano delle strane luci. Ma quando va a cercare i cantori, non trova nessuno, e tutto sembra essere tornato avvolto dal silenzio e dall’oscurità.

Un bambino aveva visto sorgere dal fiume un gigantesco serpente acquatico, con le squame dai mille colori lucenti e con una cresta di piume scarlatte, che sembravano una cresta di gallo. Terrorizzato, aveva chiamato i famigliari, i quali avevano fatto appena in tempo a vedere il mostro scomparire in lontananza lungo il corso del fiume.

Nella notte, misteriose voci sussurrano linguaggi incomprensibili, mani misteriose bussano alle porte, misteriose luci scarlatte vengono viste vagare fra i boschi delle colline, mentre di giorno contadini attoniti vedono orme di nudi piedi invisibili formarsi nel fango dei campi e degli orti presso le loro case.

Le dicerie popolari parlavano di strani scherzi delle Fate, ma altri dicevano che non erano le maliziose e irriverenti Custodi del Fato, a provocare queste apparizioni, ma qualche forza ben più oscura, nata dagli abissi degli Inferi, nelle profondità della Madre Terra, nel regno dei defunti rimasti lontani dalla Luce di Sil.

Ma la versione che si diffondeva di più, soprattutto tramite le predicazioni di certi sacerdoti e di certi pellegrini, era che si trattasse solamente di segni dello sfavore divino, che lancia moniti a coloro che si erano allontanati dalla verità del Ninursha Silal.

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