sabato 6 maggio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 379° pagina.


più del ricreativo, come andare a cercare funghi nel bosco o preparare dolci. Tanto che tutti i piatti da consumare ad usiltin dovevano essere preparati il giorno prima.

Oltre il tempo passato a celebrare riti religiosi, tutta la giornata poteva essere occupata solo dalla lettura di testi, dal canto, dalla musica, dal gioco nel cortile o anche nei prati accanto agli orti.

Quella mattina del Mese della Bilancia, subito dopo l’equinozio d’autunno, il cielo era splendido, senza una sola nuvola, come capitava normalmente in quel periodo dell’anno.

Nei giorni precedenti aveva piovuto abbondantemente, e sulle cime aveva nevicato, ma ora il vento aveva ripulito la volta celeste, e da Monte Leccio si poteva vedere il panorama delle bianche Montagne della Luna, dove la pallida roccia calcarea era stata sommersa dalla neve.

Non erano frequenti le giornate in cui l’aria era così limpida da permettere di vedere così nitidamente la catena delle cime, che parevano castelli e cittadelle incantate, perché l’umida foschia della pianura saliva fino alla cima delle colline pedemontane a offuscare la vista dei rilievi più lontani.

In una giornata così soleggiata e limpida, inevitabilmente le monache più giovani, dopo i riti del mattino e la colazione, si erano messe a giocare al limitare del bosco uno dei giochi più comuni e tradizionali dei Thyrsenna, il gioco della “cestapalla”, dove tutte le giocatrici avevano una piccola cesta con cui dovevano raccogliere al volo una palla e prontamente rilanciarla a una delle compagne. Se la si lasciava cadere per terra per tre volte, si veniva squalificate dalla partita e bisognava aspettare che la partita finisse, per poter rientrare in gioco. La partita si concludeva quando rimaneva una sola giocatrice non squalificata. Nel gruppo di giocatrici, quella mattina c’era anche Eukeni.

Oltre a lei, c’era una ragazza di nome Akleini, che fu fra le prime squalificate.

Un po’ imbronciata per la sua scarsa abilità, si era messa ai piedi di un giovane noce nel frutteto, a osservare lo spettacolo delle montagne, pensando che sarebbe stata una bella noia aspettare che le altre ragazze concludessero la partita.

La sua mente vagava lontano, mentre rimirava i particolari delle incantate guglie, simili a castelli, cittadelle fortificate e torri svettanti nell’azzurro, e immaginava di andare lontano da quell’eremo in cui sua madre, le sue zie e i suoi zii avevano voluto mandarla perché studiasse e imparasse i segreti dell’alchimia. Quasi desiderava di non aver scoperto in sé il talento alchemico, che sembrava essere alquanto potente. Senz’altro, molto più potente della sua abilità nel gioco.

Sognava di poter viaggiare e vedere le grandi città una volta che fosse divenuta un’abile alchimista, quando notò una piccola nuvola dalla forma molto strana che spuntava da dietro la cima del Perpennin, la grande montagna consacrata al Dio delle Vette e delle Nevi, Pennin, il rilievo che appariva più alto dal Monte Leccio.

Era una nuvola sottile e stranamente nera, come se fosse foriera di tempesta. Si alzava come una lancia nell’azzurro, e per qualche istante Akleini credette che potesse essere una scia di fumo, domandandosi chi potesse salire in cima al Perpennin per accendere un fuoco, e come potesse farlo, dato che lassù, sulle nude cime, non c’era legna da ardere e sicuramente c’era troppo vento per accendere un fuoco.

Eppure quella lancia di fumo nero sembrava innalzarsi sempre più, fino a quando, assurdamente, sembrò spezzarsi in due, e la parte superiore, rimanendo sempre dritta, si piegò verso il basso, fino a toccare le rocce della cima.

Per un istante Akleini rimase paralizzata dallo stupore, perché non capiva cosa stava guardando. Solo pochi istanti dopo ci riuscì, e cominciò il terrore.

Un’altra lancia nera si innalzò da dietro la cima.

E come l’altra, dopo essersi protesa molto sopra la montagna, si piegò su se stessa nello stesso identico modo. Era evidente che non si trattava di nuvole.

Si trattava di una sorta di gigantesche zampe. Poi apparve la testa del proprietario di quelle due zampe, proprio in mezzo ad esse.
Altrettanto nera, a forma di goccia rovesciata, con due enormi e sottili corna a falce di luna, apparve la testa di qualcosa che avrebbe potuto assomigliare a una mantide, o a una formica, con due grandi

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