domenica 11 giugno 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 388° pagina.


Aveva parlato di misteriosi veli di fuoco che serpeggiavano nel cielo prima dell’alba, di montagne di ghiaccio che galleggiavano nel mare, come isole che si spostavano nei freddi mari nebbiosi del Grande Nord, dei grandi leviatani del mare, alcuni simili ad enormi pesci che spruzzavano enormi colonne di acqua dal naso quando emergevano alla superficie, mentre altri, più mostruosi, avevano lunghissimi tentacoli ed enormi occhi sporgenti che brillavano nel buio.

Ma aveva parlato anche di vaste terre con catene di montagne coperte di ghiaccio, nelle cui valli vivevano i Sileni giganti, coperti di pelo nero, creature ben diverse dai miti e benevoli Sileni del Veltyan, perché erano enormi e feroci, e addirittura antropofagi, o almeno così si diceva. Le leggende locali dicevano che alcuni dei Giganti antidiluviani avevano mescolato il loro sangue con quello dei Sileni, finché dopo molte generazioni si era formata quella particolare razza silenica.

E aveva parlato anche delle enormi, gigantesche rovine di una città di pietra bianca, che sorgevano in riva ad un grande lago in mezzo alle fredde foreste, e la cui origine era del tutto sconosciuta. La pallida gente del luogo, tribù primitive che vivevano in povere tende di pelli e in palafitte, della stessa razza dei Nordici, non sapeva se l’avessero costruita i Giganti antidiluviani o qualche altro popolo venuto dopo, perché non era sepolta da strati di fango, come era per tutte le città antidiluviane.

Ma quando gli esploratori del Veltyan avevano girato per quelle rovine, si erano convinti che quella città fosse anche più antica di quelle dei Giganti, perché sembrava che in ogni caso coloro che l’avevano costruita e abitata non fossero stati Uomini, ma gente di un’altra stirpe.

Hulxas Meliakh l’aveva paragonata, per antichità e mistero, alla spaventosa Irhyel nel Deserto Rosso di Edan Synair, e Loraisan si era chiesto che città fosse stata quella di Irhyel, perché non l’aveva mai sentita nominare. Si ripromise di chiedere a Prukhu o al dottor Laran se conoscevano qualcosa di quell’antica città.

Il libro poi aveva parlato anche dell’altro continente dei Mari d’Occidente, la grande Anthyli, che si trovava invece a sud-ovest, coperta di foreste tropicali, di giungle impenetrabili dove anche lì pareva si trovassero le rovine di grandi città che, quello era sicuro, erano state costruite dai Giganti. Infatti là, anche dopo il Diluvio, erano sopravvissuti i Giganti Scuri, che si erano salvati salendo in cima alle alte montagne di Anthyli, dove si ergevano immensi castelli di granito e onice. Era da quella terra incredibile che era venuta la piccola tribù di Giganti che aveva cercato ospitalità nel Veltyan, tanti secoli prima.

Ma oltre al vagare con la mente nei territori di paesi favolosi e antiche leggende perse nelle nebbie del tempo, Loraisan si interessava anche alla conoscenza oggettiva della natura, anche se non era quella che la sua tutrice voleva.

 Oltre ai misteri dei paesi lontani  e ai segreti dell’antichità più remota, lo affascinavano anche quelli del cielo, del sottosuolo e delle profondità del mare.  Avrebbe voluto conoscere meglio gli astri e i loro moti, così come avrebbe voluto conoscere meglio i regni sotterranei dei Nani e quelli subacquei dei Tritoni.

Purtroppo, dei Nani e dei Tritoni i Thyrsenna ne sapevano molto poco, perché i loro domini erano aldilà della loro portata.

Ma dei moti degli astri se ne sapeva qualcosa di più, anche se non erano stati scoperti ancora i cannocchiali e tutte le osservazioni si svolgevano a occhio nudo , ma con l’aiuto di accurati calcoli matematici.

Così Loraisan apprese delle Tredici Ere Astrali, che duravano ciascuna 2016 anni. Una dottrina astronomica che trovò subito molto affascinante.

In un libro di astronomia, scoprì che molti secoli prima si era appreso che le quattro stagioni cominciavano ogni anno un poco prima. 

Era un avanzamento irrisorio, di un terzo di ora. Ma dopo settantadue  anni, la vita media di un Uomo, quel terzo di ora, accumulandosi uno dopo l’altro, diventava un giorno intero.
La causa di ciò era un particolare moto della Madre Terra più lento e meno percettibile degli altri, che era stato chiamato “moto di precessione”, e i suoi effetti erano stati chiamati  precessione degli equinozi.  Questo perché tale cambiamento veniva misurato con il progressivo, lento del sorgere del

Nessun commento:

Posta un commento